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L’ANALISI

Il socialismo verde, il fine dell’ideologia green

I gruppi ecologisti chiedono un nuovo modello socioeconomico per “salvare il pianeta”. Volenti o nolenti, sono la cassa di risonanza delle élite, da Davos alla Commissione UE (Green Deal), all’Onu (Agenda 2030). Il catastrofismo è funzionale a un nuovo socialismo, che ha i tratti di una “religione civile” contraria alla vita e alla libertà, a danno di famiglie e ceti medi. L’ecologia è altro.

Creato 17_12_2022

L’uomo del XXI secolo, orfano di prospettive religiose autentiche e disilluso dai surrogati delle varie ideologie - liberale, socialista e marxista - trova conforto in una nuova “religione civile”: la sostenibilità ambientale in salsa Onu, una visione paganeggiante del pianeta, in cui l’uomo è l’unico elemento di perturbazione in un ordine altrimenti perfetto e compiuto. Su tali premesse si innesta l’utopia di un nuovo sistema economico, sociale e politico, all’insegna della “pianificazione democratica” e dello “statalismo climatico”, per costruire un mondo migliore. In mancanza di meglio, in qualcosa bisogna pur credere.

Un esempio tra i tanti dell’ideologia green si trova nelle posizioni deliranti dell’ex ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani, che ha definito l’essere umano «biologicamente un parassita perché consuma energia senza produrre nulla», in un mondo «progettato per tre miliardi di persone»: senza chiarire, evidentemente, né la fonte di tale sorprendente rivelazione né che cosa pensasse di fare con i circa cinque miliardi di “parassiti” in eccesso. Una dichiarazione che appare anche paradossale alla luce del suicidio demografico in atto nei Paesi sviluppati, che rischia di rendere insostenibile la sostenibilità dell’Agenda Onu 2030 per mancanza e non per eccesso di persone. Un autentico amore per la natura non può convivere con l’odio nei confronti dell’essere umano, da cui tutta la propaganda anti-natalità e pro-eutanasia, fino a volere prometeicamente riplasmare l’uomo seguendo l’ideologia Lgbt, in ostilità alla natura dell’uomo e alla famiglia naturale. Amare la natura e odiare l’uomo, e la “natura dell’uomo”, non è forse una contraddizione in termini? Si tratta di un attacco frontale alla concezione giudaico-cristiana dell’uomo e del creato, oltre che al semplice buonsenso sempre meno comune purtroppo; un attacco che rischia di diffondersi anche tra gli stessi credenti ingenui. Bene l’ecologia, certamente; purché sia un’autentica “ecologia umana”, che rispetti innanzitutto la natura dell’uomo, e conseguentemente anche tutto il resto del creato.

Nei programmi dei movimenti che compongono la variegata galassia ecologista, dai gruppi pacifici del tipo Fridays For Future a quelli che imbrattano le opere d’arte nei musei in favore di telecamere, da quelli che bloccano la circolazione stradale, ferroviaria o aerea ai gruppi eco-terroristi, è ben visibile, al di là dei mezzi differenti, un fil rouge: rosso è proprio il termine adeguato per indicare il filo che lega insieme questi ambienti, che agiscono di sponda all’iniziativa del Great Reset portata avanti, a tappe forzate post-Covid, dal Forum di Davos, dall’Agenda Onu 2030, dal Build Back Better dell’Amministrazione Biden, dal Green Deal della Commissione Europea.

Per giustificare gli enormi sacrifici richiesti - pensiamo ai forti rialzi dei costi energetici e alimentari aggravati dalla folle transizione ecologica in atto - le élite tecnocratiche portano avanti la “grande narrazione” di un pianeta destinato all’autodistruzione, per colpa dell’essere umano. E lo fanno inducendo paura e ansia, soprattutto ai danni delle giovani generazioni, per mantenere uno stato permanente di crisi e insicurezza, funzionale all’implementazione dei piani programmati. Prima si sollecitano le emozioni e i sentimenti con l’incombente emergenza climatica, poi se ne fornisce la soluzione: una revisione completa dei sistemi economici, sociali e politici, una “quarta rivoluzione industriale” per un “nuovo umanesimo”, verso una nuova normalità, caratterizzata da diminuzione della popolazione, decrescita economica, restrizioni alla proprietà privata, ai consumi e alla libertà di movimento. La narrazione promossa dai vertici viene amplificata dagli attivisti verdi e ripresa dai media. Si nota un afflato religioso e vagamente gnostico in tali movimenti, un nuovo pauperismo dove l’austerità e la decrescita sono viste come la salutare penitenza dei supposti peccati ecologici commessi dall’uomo, nella prospettiva della giustizia e solidarietà climatica, di una catarsi globale, dove la salvezza proposta è quella del pianeta-Gaia, salvezza dall’uomo ovviamente: il tutto nell’interesse delle future generazioni, ça va sans dire, sempre che ci siano ancora se prosegue tale propaganda, pessimista e ansiogena, ostile alla vita, alla famiglia e alla libertà.

Due punti da sottolineare:

1. “Green is the new Red”: l’ecologismo catastrofista è il grimaldello per arrivare a un nuovo “socialismo verde”, che si crede possa funzionare laddove ha fallito il socialismo d’antan. Una sorta di “socialismo liberale del XXI secolo”, caratterizzato da un neocorporativismo clientelare pubblico-privato ai massimi livelli, dove si conservano le strutture liberal-democratiche accentrando però risorse e decisioni in cabine di regia sempre più elevate, al di sopra degli stessi Stati nazionali, in nuove nomenklature;

2. I movimenti ecologisti sbraitano contro i governi, le grandi imprese e la grande finanza. Non è curioso, tuttavia, che ripetano in fondo lo stesso verbo promulgato da anni dalla Community di Davos, dove tali poteri pubblici e privati, ai livelli più alti, si incontrano per “plasmare le agende” nazionali e sovranazionali? Gli attivisti verdi sono la cassa di risonanza del grande potere contro cui, almeno a livello di militanti di base, ci si illude di combattere: alla fine si porta acqua allo stesso mulino.

Proprio come gli "utili idioti" della migliore tradizione comunista.