Il "premio verde" di Gates già lo paghiamo in bolletta: è il prezzo della transizione
Uno spettro si aggira per l’Italia: l’inflazione. Arrivano i primi rincari sui prezzi del carrello della spesa, ma l’impatto peggiore sarà sulle bollette energetiche. Le Banche centrali rassicurano: «Sarà un effetto temporaneo». E Bill Gates parla di «premio verde». Se le cause di lungo periodo dell'inflazione che già vediamo sono legate alla politica monetaria espansiva e quelle di breve ai lockdown (che ha disarticolato la catena produttiva), la causa specifica di questi rincari è la transizione verde. La nuova politica ecologista di cui Bill Gates è uno dei principali profeti.
Mentre si prospettano sensibili rialzi delle bollette energetiche, la macchina mondiale della propaganda accelera sulla «pandemia climatica»: non siamo ancora usciti dalla psicosi collettiva della supposta crisi sanitaria globale, che già media e governi hanno inaugurato la seconda fase, quella della pretesa incombente “emergenza climatica”. Visti i collegamenti logici tra le due fasi, non stupisce di trovare nuovamente lo «scrittore e filantropo» Bill Gates come capofila anche della «politica del cambiamento climatico», da lui definita come «la più grande sfida mai affrontata nella storia dell’umanità».
La diffusione della paura collettiva per un’incombente catastrofe ambientale prodotta dal riscaldamento globale di presunta origine antropica, su cui non esiste affatto un consenso unanime a livello scientifico, è forse funzionale a far accettare alle persone rialzi folli delle bollette energetiche? I prezzi, infatti, hanno iniziato a salire, sensibilmente, e non soltanto quelli del gas naturale, a cui si devono principalmente i rincari, ma anche quelli di petrolio, carburante, metalli e materiali industriali, fino ad arrivare ai prodotti alimentari. Qual è la causa di questo nuovo fardello che si sta abbattendo sulle famiglie italiane, già molto provate da 20 mesi di isteria collettiva?
Le motivazioni sono molte: tra le cause remote, le politiche monetarie ultra-espansive delle Banche centrali che da anni inondano di liquidità creata ex-nihilo i mercati, in accelerazione post-CoViD; tra le cause prossime, le politiche fiscali espansive attuate dai governi per fronteggiare la crisi economica indotta dai lockdown generalizzati, che hanno provocato anche la cosiddetta supply-chain disruption, ovvero la frammentazione delle filiere produttive e distributive, con sensibili restrizioni e strozzature lato offerta, anche sulle forniture energetiche, con ovvie conseguenze sui prezzi.
La causa specifica, tuttavia, è da ricercarsi nelle politiche per implementare la transizione energetica ed ecologica prevista dall’Agenda Onu 2030 sul cosiddetto «sviluppo sostenibile», uno tra i punti chiave, ma non l’unico, del progetto del Great Reset per gli anni ’20 del nostro secolo. Concentriamoci quindi sull’aspetto dell’incremento dei prezzi energetici.
Nel suo recente libro “How to avoid a climate disaster”, Bill Gates parla di «green premium», «premio verde»: suona bene ma non è una bella cosa, tutt’altro. Sta a significare l’extra costo legato all’utilizzo dell’energia verde, cioè l’aumento dei costi su materiali e prodotti energetici dovuti alla transizione ecologica verso le energie rinnovabili: secondo sue stime, si parla al momento di 5mila miliardi di dollari Usa su un’economia globale che vale circa 80mila miliardi di dollari (dati annui). Gates dice che i costi energetici potrebbero anche raddoppiare, e questo incremento viene appunto indicato col termine green premium, che assume un valore stimato differente a seconda del tipo di prodotto. Quello di Bill Gates non è, ovviamente, un monito nei confronti della follia dei progetti di «decarbonizzazione» delle economie mondiali per inseguire il mito ecologista; tutt’altro, è una semplice presa d’atto dei costi assai più elevati che bisognerà giocoforza sostenere «per evitare l’incombente disastro climatico», dipinto con tinte così fosche da rivaleggiare con le bibliche sette piaghe d’Egitto: «tempeste, incendi, rinnalzamento dei livelli dei mari, miseria e migrazioni dai Paesi poveri, guerre». Gates dice che se non iniziamo a bloccare subito le emissioni di gas serra, ogni anno moriranno milioni di persone per il cambiamento climatico, e contro ciò non ci sarà nessun “vaccino” disponibile.
Nel suo libro, Gates indica i settori che contribuiscono all’emissione di anidride carbonica: la produzione, in specie di cemento, acciaio e plastica (31%), insieme all’uso della corrente elettrica (27%); seguono poi l’agricoltura e l’allevamento, in specie di bovini (19%), i trasporti (16%) e, per ultima, la climatizzazione degli edifici (7%). Gates afferma che dobbiamo puntare innanzitutto sulla produzione pulita di energia elettrica ma che occorre cambiare anche ogni aspetto della nostra vita, ad esempio ridurre sensibilmente il consumo di carne, in specie quella bovina, a favore della carne artificiale (Gates è azionista di Beyond Meat e di Impossible Foods) e usare solo più auto elettriche. Ricorda che uno dei temi cruciali sarà assicurare che dopo l’eliminazione dei combustibili fossili non si verifichino blocchi nelle forniture di corrente (come accaduto in Texas nel febbraio 2021, con più di 4 milioni di persone rimaste senza luce e riscaldamento a causa di una straordinaria gelata, paradossalmente attribuita anch’essa, comunque, al “riscaldamento climatico”!): ciò sarà assicurato dall’immagazzinamento dell’energia, prodotta con l’energia eolica e solare quando le condizioni climatiche sono favorevoli, insieme al ricorso all’energia nucleare, non legata ovviamente alle condizioni meteo. Gates attribuisce un ruolo primario agli incentivi fiscali per attutire gli aggravi di costi legati all’abbandono dei combustibili fossili e afferma che i milioni di posti di lavoro che si perderanno nell’industria degli idrocarburi saranno più che riassorbiti dalle nuove industrie green.
Visto che l’alba del “Nuovo mondo” decarbonizzato è fissata al 2050, nella fase di transizione, fino a quando cioè il sistema produttivo, distributivo e di consumo non sarà a regime, i sacrifici saranno ingenti, e i costi li pagheranno contribuenti e consumatori. Un po’ per volta, ed è l’auspicio di Gates, le nuove tecnologie diventeranno comunque sempre più convenienti anche lato economico, non solo per gli incentivi fiscali ma anche grazie agli investimenti e all’innovazione tecnologica: l’obiettivo per il 2050, afferma Gates, è di ridurre il green premium del 95%, da 5mila a 250 miliardi di dollari annui, a livello mondiale. Gates dice che anche Cina e India dovranno essere coinvolte sempre di più, altrimenti l’obiettivo di zero emissioni nette per il 2050 non sarà raggiungibile.
Nella fase di transizione, in quei Paesi che, come l’Italia, sull’onda emotiva del disastro nucleare di Černobyl’ del 1986 avevano chiuso definitivamente con l’opzione nucleare, si aprono scenari inquietanti di costi energetici fuori controllo. A partire dal gas naturale che, essendo considerato il più pulito tra le fonti energetiche fossili, è stato oggetto di fortissimi rialzi nei prezzi. Gli scatti in bolletta potranno essere parzialmente calmierati abbassando gli oneri di sistema e le aliquote fiscali, per attutire un po’ l’impatto complessivo sull’utente, ma, alla fine, il risultato netto sarà comunque pesante: anche se al momento è difficile stimarlo, sarà probabilmente dell’ordine di decine di punti percentuali di incremento dei costi per le bollette di gas e luce. Nessun sacrificio di benessere, libertà e privacy appare però eccessivo, sull’altare di Gaia: omnes dii gentium, daemonia (Cfr. Salmo 95,5); le ideologie sono sempre state costose, anche sul piano economico.
Gates prevede che nel 2050 il mondo sarà molto più ricco di adesso, intanto però bisogna arrivarci. Nel frattempo, qualcuno si arricchirà, in particolare le industrie green e la finanza cosiddetta sostenibile, ma la generalità delle persone ne subirà verosimilmente un cospicuo danno economico, sia a livello di pressione fiscale sia in termini di diminuzione delle possibilità di scelta, di maggiore pressione fiscale e di costi più elevati nelle bollette, alla pompa di benzina, al supermercato. Per tacere dei pesanti effetti distorsivi della concorrenza e dell’allargamento ulteriore del perimetro di interventismo pubblico. Non se ne sentiva proprio il bisogno in un momento di crisi come quello attuale: anche questo contribuirà alla contrazione della classe media, uno dei sintomi più evidenti della progressiva instaurazione del nuovo “socialismo liberale” prospettato dalle classi dirigenti mondiali.
Ci faranno cambiare modelli di consumo e di investimento, e sicuramente il controllo della popolazione mondiale sarà un fattore centrale della nuova normalità post-pandemica. Già, perché l’essere umano ha lo spiacevole effetto collaterale di emettere anidride carbonica, come i bovini: meno siamo e meno ci muoviamo, dunque, e meglio è. Chissà che il futuro non ci riservi anche possibili lockdown climatici, a livello locale, quando le pubbliche autorità lo riterranno “necessario”. La cosa più interessante sarà vedere come verrà venduta all’opinione pubblica italiana la necessità di riprendere il discorso sul nucleare: scommettiamo che proprio gli ideologi della sinistra che più l’avevano ostracizzata un tempo, ne diventeranno nei mesi a venire gli araldi più entusiasti?
Il ruolo della propaganda – pardon, dello story-telling – sarà quindi ancora più importante che nei mesi passati: bisognerà continuare a vendere all’opinione pubblica mondiale la necessità e l’urgenza della svolta in atto, per quanto costosa, per creare il consenso sociale e la convergenza della classe politica sul comune obiettivo. D’altronde, «la nostra casa è in fiamme», «non abbiamo più tempo»: i testimonial vari continueranno a svolgere diligentemente il compito loro affidato dalle élite di preparare il terreno alla semina del nuovo verbo, a partire dalle nuove generazioni che sono le più influenzabili. Se un giorno vedremo i nostri ragazzi in coda da McDonald’s con mascherina e certificazione verde, per acquistare un hamburger di carne artificiale, a prezzo superiore a quello vero, pagando con euro digitali, ebbene quel giorno capiremo che hanno vinto loro. Il mantenimento di uno stato di paura e di tensione continua è imprescindibile per far accettare alla popolazione i sacrifici richiesti e avanzare con l’agenda del Great Reset, senza perdere tempo.
Gli anni ’20 del secolo scorso sono passati alla storia come “the Roaring Twenties”, i ruggenti anni Venti; noi, invece, pare che siamo entrati nei Bleating Twenties, gli anni belanti: forse non raggiungeremo mai la mitica “immunità di gregge” ma in compenso il gregge pare essere pronto, anche se non mancano forti e importanti sacche di resistenza, anche nel nostro Paese. Acquisire, e far acquisire al nostro prossimo, consapevolezza dell’agenda ONU 2030 verso il «New Normal post-pandemico» è imprescindibile per non divenire dei sudditi belanti, senza neppure rendercene conto. È iniziata la fase due.