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"SOCIALISMO FINANZIARIO"

Finanza su, economia giù: così pagheranno i risparmiatori

Mercati finanziari euforici, economie che affondano. La “finanziarizzazione dell’economia”, con fiumi di liquidità creata dal nulla e pompata nei circuiti dalle banche centrali di tutto il mondo, accentua lo squilibrio tra le dinamiche finanziarie e le dinamiche reali. Stiamo andando verso un “socialismo finanziario”, con la distruzione di quel poco che rimaneva di libertà e responsabilità economica. Fino a quando?
- INERZIA E FOLLIE ECONOMICHE, L'ITALIA DI CONTE&CO, di Romano l'Osservatore

Economia 23_06_2020 English Español
Dopo il crollo di marzo, le Borse hanno avuto un buon recupero

Con la diffusione dell’epidemia CoVid-19, da fine febbraio abbiamo assistito sui mercati finanziari ad un vero e proprio tracollo, con perdite delle Borse tra il 35% e il 50%, fortissime tensioni sui rendimenti dei titoli obbligazionari high-yield e dei Paesi emergenti oltre che dei debiti sovrani più esposti come quello italiano, insieme a forti cali nelle quotazioni delle materie prime, in primis il petrolio, e delle divise legate alle commodities. Da metà marzo, nonostante la persistenza dell’emergenza sanitaria, l’aggravarsi della crisi economica mondiale e la forte incertezza sui tempi e sui modi di recupero, i mercati finanziari hanno messo a segno una ripresa generalizzata e a “V”, che ha consentito mediamente di riportare le quotazioni non lontano dai picchi pre-CoVid.

La gigantesca bolla finanziaria, creata dalle politiche monetarie ultra-espansive della banche centrali a partire soprattutto dalla Grande Crisi Finanziaria del 2007-2009, era stata fatta scoppiare dall’ago del CoVid. Ora è stata rigonfiata grazie a migliaia di miliardi di dollari di ulteriore liquidità iniettata nei mercati finanziari nell’ultimo trimestre. Col contestuale forte peggioramento dell’economia reale la bolla è ancora più preoccupante di prima.

Per stabilizzare il sistema finanziario, le Banche centrali stanno acquistando di tutto e di più, dai titoli governativi in affanno come quelli italiani, ai titoli di debito privato, compresi quei titoli divenuti junk post-CoVid, proseguendo nella compressione artificiale dei rendimenti obbligazionari verso e sotto lo zero. Per evitare dei default de iure le politiche monetarie ultra-espansive mirano a sgonfiare in termini “reali” (cioè al netto dell’inflazione, di cui si persegue come obiettivo il 2% annuo) le gigantesche bolle di debito, circa 250 trilioni di dollari Usa a livello mondiale. Una “repressione finanziaria” senza precedenti, in cui i risparmiatori continueranno per anni ad essere privati della giusta remunerazione sui propri investimenti, col rischio di vederli anche calare in termini reali per l’effetto congiunto “interessi nominali nulli – inflazione”.

La formica, insomma, dovrà continuare a finanziare la cicala, senza neppure esserne consapevole pienamente. Senza risparmio “reale” – non la liquidità creata faustianamente dal nulla – non si possono sostenere gli investimenti, su cui si basa l’aumento della produttività e quindi le speranze di crescita di salari e stipendi “reali”. Spingere keynesianamente sui consumi – per di più a debito – non fa che rinviare il momento del redde rationem.

Quale la lezione da apprendere? Le banche centrali stanno di fatto annullando la percezione del rischio e spingendo ancora di più verso l’azzardo morale. I mercati finanziari rischiano di divenire un gigantesco casinò dove gli eventuali utili sono dei giocatori mentre le perdite vengono accollate alla collettività. Una sorta di “socialismo finanziario” che va a distorcere profondamente le regole del gioco, disincentivando il risparmio e incentivando consumi a debito e cattivi investimenti.
In tal modo, come ben insegna la scuola austriaca di economia, si accentua l’ampiezza dei cicli economici, con fasi di boom seguite da fasi di bust (tracollo), sempre più ravvicinate (quella in corso è già la quarta crisi del ventennio). Per di più, come dicevamo, con dei trasferimenti di ricchezza “opachi” e del tutto ingiustificati, che vanno ad accrescere le diseguaglianze sociali perché tendono a penalizzare soprattutto la classe media.

Motus in fine velocior”: l’accelerazione senza precedenti di immissione di liquidità post-Covid (oltre 6 trilioni di $Usa in un trimestre) fa pensare che il ciclo espansivo del credito si stia avviando verso la fase terminale. Le banche centrali non possono creare ricchezza dal nulla, possono dare liquidità ma non solvibilità. Potrebbero forse ancora – andando contro i propri mandati – comprare direttamente azioni, titoli obbligazionari spazzatura, titoli governativi sul mercato primario, procedere insomma ad un gigantesco bail-out dei debitori che salverebbe le imprese zombie con concorrenza sleale nei confronti di quelle sane.

Si altererebbe così definitivamente il meccanismo della price discovery, essenziale per una corretta allocazione delle risorse “reali”, che sono scarse per definizione. Potrebbero mettere denaro creato dal nulla nelle tasche dei cittadini (il cosiddetto helicopter money), per tentare un’uscita inflazionistica dalla crisi come capita dopo le guerre, o portare il sistema verso tassi nominali negativi sui conti correnti. Ancora, potrebbero penalizzare l’uso del contante ed introdurre divise digitali con rendimenti nominali fortemente negativi.Si arriverebbe così ad un accentramento completo del sistema finanziario presso le banche centrali stesse.
Ma poi? Le fragilità sistemiche, già evidenti pre-CoVid, sono state insomma accresciute dagli ultimi interventi delle banche centrali, che oramai non sanno più come uscire dall’impasse in cui si sono cacciate.

Tra le “cure” si aggiungono poi i forti incrementi di spesa pubblica a debito, da parte dei governi. Peccato che neppure i governi possono creare ricchezza dal nulla, e quindi gli interventi a “sostegno” corrispondono sempre a un incremento della pressione fiscale implicita, che non tarderà a divenire anche esplicita, aumentando così la quota di reddito nazionale gestita direttamente dal governo nelle sue varie articolazioni territoriali, cioè dalla classe politica e dalle burocrazie varie. Più cresce la spesa pubblica, infatti, più aumentano i legami di tipo clientelare, a danno dei settori e delle imprese meno colluse col potere politico, con un'evidente falsificazione delle regole di libera e leale concorrenza. A ciò si aggiunge il profondo effetto deresponsabilizzante sulla società intera, che rischia di divenire sempre più dipendente dalle politiche di “sostegno” pubblico.
Le crisi, la storia insegna, spingono sempre verso una concentrazione del potere, purtroppo con il consenso dei consociati che abdicano volentieri alla propria libertà in cambio della speranza, illusoria, di ricavarne in compenso maggiore sicurezza. Le crisi tendono a comprimere la sussidiarietà, quando solo il decentramento consentirebbe invece di fornire risposte mirate alle esigenze.

Il tutto in un contesto di crisi demografica profonda nella maggior parte dei paesi sviluppati, che comporterà aggravi crescenti di spesa pensionistica e sanitaria in termini assoluti e ancor di più in relazione ad una popolazione in età produttiva in contrazione a causa del crollo della natalità degli ultimi decenni.

Il paradigma della crescita a debito e dell’espansione monetaria ad libitum mostra le corde, e dovrebbe essere evidente a tutti che a problemi reali non si possono dare risposte monetarie. Il vaccino monetario non cura il virus economico: siamo entrati nella fase terminale, una sorta di “estate di San Martino”, che estate non è.