L'Ue Lgbt deferisce l'Ungheria alla Corte di Giustizia
La Commissione von der Leyen ha deferito l’Ungheria alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per la legge anti-pedofilia, che accresce la protezione dei bambini e vieta di fare propaganda Lgbt verso i minori. Bruxelles continua la sua guerra anche alla Polonia, tenendo bloccati i fondi del Recovery Plan per l’opposizione del Paese ai dogmi abortisti e arcobaleno.
La Commissione Europea getta la maschera e deferisce l’Ungheria alla Corte di Giustizia dell’Ue per la legge anti-pedofilia, perché vieta educazione e pubblicità di contenuti Lgbtqi+ nei confronti dei minori. E neanche alla Polonia va meglio.
La Commissione Europea, nella riunione periodica sulle procedure di infrazione nei confronti dei Paesi membri e dopo l’approvazione del proprio Rapporto sullo Stato di diritto, ha annunciato ieri di aver deferito l’Ungheria alla Corte di Giustizia perché ritiene che la suddetta legge ungherese violi le regole del mercato interno, i diritti fondamentali degli individui (in particolare delle persone Lgbt) e i valori dell’Ue. Il deferimento alla Corte è la fase successiva della procedura di infrazione avviata dalla Commissione il 15 luglio 2021, dopo la denuncia di 16 Paesi dell'Ue.
La legge ungherese prevede misure più severe contro gli autori di reati di pedofilia e accresce la protezione dei bambini. Alcune delle nuove norme limitano (vietano sino alla maggiore età) l’accesso dei minori a contenuti e pubblicità che “promuovono o ritraggono” la cosiddetta “divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita, al cambiamento di sesso o all’omosessualità”. Secondo la Commissione, la legge anti-pedofilia di Budapest violerebbe una serie di direttive (sui servizi di media audiovisivi, il commercio elettronico, la libera prestazione dei servizi, la trasparenza del mercato unico). Soprattutto, per la Commissione, la legge ungherese “viola inoltre in modo sistematico diversi diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Tra questi, l’inviolabilità della dignità umana, il diritto alla libertà di espressione e di informazione, il diritto alla vita privata e familiare e il diritto alla non discriminazione e anche i valori comuni sanciti dall’articolo 2 del TUE”.
La Commissione è ormai dipendente non solo dalle lobby Lgbt e abortiste, ma anche dalle loro truppe parlamentari che condizionano il Parlamento europeo e dall’inizio della legislatura chiedono senza alcun pudore la ‘testa’ dei governi ungheresi e polacchi. Si legge in questa linea ricattatoria l’approvazione, il 13 luglio, del Report da parte della Commissione Libe (Libertà civili, Giustizia e Affari interni) dell’Europarlamento, in cui si condannano gli “sforzi deliberati e sistematici del governo ungherese” per minare i valori europei sanciti dall’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea, una situazione che è peggiorata anche per la mancanza di un’azione decisiva da parte dell’Ue che avrebbe contribuito così al consolidarsi di un “regime ibrido di autocrazia elettorale”. I deputati europei deplorano anche l’incapacità del Consiglio di compiere progressi significativi per contrastare l’arretramento democratico e minacciano che ulteriori ritardi nell’agire per proteggere i valori dell’Ue in Ungheria equivarrebbero a una violazione del principio dello Stato di diritto da parte del Consiglio stesso.
Tutto semplicemente inaccettabile, ma che conferma, senza alcun infingimento, ciò che da tempo scriviamo sulla Bussola: l’Europa vuole imporre i dogmi Lgbt e abortisti a Ungheria e Polonia. Sì, perché nel lungo elenco di decisioni prese dalla Commissione ieri, c’è anche quella di procedere ulteriormente contro la Polonia per aver messo in discussione il primato del diritto europeo e non aver modificato sufficientemente la legge sulla Corte di controllo dell’operato dei magistrati. Anche in questo caso, come abbiamo detto, si tratta di banalissimi appigli della Commissione per tenere bloccati i fondi del Recovery Plan nei confronti di un Paese che rifiuta aborto, ideologia Lgbt e accoglie quasi cinque milioni di rifugiati ucraini a sue spese.
Pur avendo approvato a fine maggio il piano di ripresa di Varsavia dalla pandemia (35,4 miliardi di euro, di cui 23,9 miliardi in sovvenzioni), non un euro è arrivato in Polonia. Varsavia paga una multa giornaliera di un milione di euro imposta dalla Corte di Giustizia dell’Ue per la situazione del proprio sistema giudiziario, con un totale accumulato sinora di almeno 300 milioni di euro. Su questo tema, lo scorso 27 maggio il Parlamento polacco aveva approvato le riforme del sistema giudiziario richieste dalla Commissione, tra cui la Camera giudiziaria disciplinare; poi, a fine giugno, ha approvato una proposta di legge sul sistema giudiziario concordata dal presidente polacco Andrzej Duda e dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Purtroppo, però, la vicepresidente Vera Jourová ha dichiarato il 6 luglio che la legge approvata non è conforme a quanto richiesto, dunque i soldi non arriveranno in Polonia.
Perché? Presto detto: il ministro della Giustizia e procuratore generale polacco Zbigniew Ziobro (cattolico sino al midollo e fermissimo oppositore verso le angherie pro aborto ed Lgbt) non solo non è stato sfiduciato dal Parlamento ma ha accusato la Commissione europea di aver chiesto nuove riforme mai richieste prima. Non sfuggano due indizi inquietanti: il 14 luglio, si è svolta la seconda udienza per Justyna Wydrzyńska, abortista polacca ed eroina delle multinazionali abortiste, accusata del grave reato di “favoreggiamento dell’aborto”, per il quale rischia il carcere. Ieri, la Commissione del Parlamento per il Controllo del Budget europeo ha annunciato una visita a Varsavia dal 18 al 20 luglio per verificare come vengono spesi i soldi europei...