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IL CASO

L’icona della Sacra Famiglia e le bugie abortiste

Cgil e Pd chiedono che un’icona della Sacra Famiglia venga rimossa dal reparto di ostetricia dell’Ospedale Civile Santi Giovanni e Paolo di Venezia. Perché? Offenderebbe le donne che vogliono abortire o hanno abortito. E giù i soliti luoghi comuni su laicità e obiezione. Ma Gesù e i suoi genitori sono i migliori a dare aiuto. In più, le leggi e i dati smentiscono le parole degli abortisti.

Editoriali 21_01_2023

Pare che la Sacra Famiglia sia scesa in campo in quel di Venezia per infastidire gli abortisti. La vicenda è la seguente, così come raccontata da Il Gazzettino. È Natale e alcuni operatori sanitari del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Civile Santi Giovanni e Paolo di Venezia portano in processione un’icona che raffigura la Sacra Famiglia. L’icona poi rimane lì in reparto, in bellissima mostra di sé.

Ai rivoluzionari in servizio permanente però quel Bambinello in braccio a sua madre non va proprio giù. E sì, perché per chi ha la coscienza sporca basta poco per sentirsi sotto accusa. Volano gli anatemi da parte di Cgil e Pd: che l’icona venga subito rimossa perché offende le donne che stanno per abortire o che hanno abortito. Sbattere in faccia una natività a chi vuole abortire è gesto perlomeno di cattivo gusto se non addirittura illegale.

Val la pena di leggere il j’accuse dei protagonisti. Iniziamo con il segretario generale provinciale della Cgil Daniele Giordano: «Pare che l’installazione si trovi proprio nei pressi delle stanze dove avvengono i colloqui per valutare le interruzioni di gravidanza. Il conforto che le donne devono trovare in un momento così particolare e delicato come quello del parto, o di una scelta complessa e spesso dolorosa come quelle dell’interruzione di gravidanza, non devono in alcun modo essere accostati a un credo religioso che potrebbero mascherare comportamenti da “stato etico” che non possono trovare in alcun modo cittadinanza a Venezia».

Sulla stessa frequenza di Giordano troviamo la capogruppo dem in consiglio comunale Monica Sambo che ha diffuso una nota firmata anche dal consigliere regionale Jonatan Montanariello: «Come Pd chiediamo che si rimuovano immediatamente tutte le rappresentazioni religiose che vanno contro la sensibilità delle donne e il rispetto dei loro diritti. Il compito dell’Ulss è di garantire alle donne il loro diritto a una libera scelta, in tempi adeguati, rimuovendo tutti i vincoli e le difficoltà che oggi ci sono».

La nostra risposta. In primo luogo, se le donne cercano conforto, così come auspicato da Giordano, possono trovarlo tra le braccia di quel Gesù bambino e dei suoi genitori che le attendono in reparto, dato che i componenti della Sacra Famiglia sono esperti, più che i membri dei consultori, a proporre soluzioni efficaci a gravidanze inaspettate. In secondo luogo, a dar retta proprio alla 194 la donna deve essere messa nelle condizioni di decidere liberamente. È infatti la stessa 194, agli artt. 2 e 5, che ci dice che il consultorio deve prima di tutto offrire alternative all’aborto. Se quell’icona è un richiamo a valori profondi condivisi dalla donna, tanto profondi da farle cambiare idea, non sarebbe da benedire la presenza di quell’innocua raffigurazione sacra perché ha permesso di compiere una scelta in libertà così come esige la 194? La libertà è tale se ha la possibilità di orientarsi su diverse opzioni, non se di fronte a sé ha un’unica opzione, che nel caso qui presente si chiama aborto. Si parla tanto di consenso informato e libero: se quell’icona rende più efficace il tempo di riflessione previsto dalla stessa 194 (art. 5), perché farle guerra?

Proseguiamo: il credo religioso, seppur fastidioso a molti, ha diritto di cittadinanza a Venezia come in tutta Italia, perché tutelato dalla Costituzione, e quindi ha diritto di cittadinanza anche in un ospedale pubblico. Che se ne facciano una ragione i laicisti. Terz’ultima considerazione: tutti gli stati sono etici perché tutti gli stati scelgono, anche tramite le proprie leggi, cosa sia bene e cosa male per i cittadini. La 194, legge dello Stato, ha deciso che abortire è un bene, cioè un diritto. Anche questa decisione, dunque, è espressione di uno stato etico. Penultima riflessione: volesse il Cielo che grazie a quell’icona anche una sola donna avesse rifiutato di abortire. Ultimo pensierino, il più importante: se la scelta di abortire è dolorosa, come afferma Giordano, significa che abortire è uccidere il proprio figlio. Altrimenti perché sarebbe dolorosa? Se fosse solo un grumo di cellule perché definire l’aborto una decisione drammatica? Ma quando, al di là di ciò che stabilisce la legge, è giusto uccidere un essere umano innocente? Mai.

Sia il segretario provinciale della Cgil che i politici piddini si lamentano poi che i medici obiettori in Veneto mettano il bastone tra le ruote alla macchina abortiva: il solito, stereotipato e frusto pretesto. In particolare la Sambo dichiara: «In Veneto il diritto all’interruzione di gravidanza è sempre più messo in discussione dalla diffusione dei medici obiettori e dalle tante difficoltà, anche burocratiche, che le donne trovano nel fare questa scelta». Ora, secondo l’ultima relazione del Ministero della Salute sullo stato di attuazione della 194 (riferimento anno 2020), la percentuale di medici obiettori in Veneto è del 66,6%, leggermente superiore alla media nazionale che è del 64,6%. Secondo la tabella 23 bis ben l’86,5% degli stabilimenti con reparto di ostetricia e ginecologia in Veneto effettua procedure abortive. Quindi la copertura è purtroppo capillare. Inoltre nella relazione (pp. 57-58) apprendiamo che ogni 100.000 donne in età fertile (15-49 anni), si contano in Veneto 3,3 strutture dove si effettuano aborti, cifra che è superiore alla media nazionale che è di 2.9. La media nazionale viene giudicata dal Ministero assai adeguata e quindi la media veneta ovviamente ancor più adeguata: dunque le donne venete non hanno problemi nell’accesso all’aborto. Questo il commento del report in relazione alla media nazionale: «Considerando quindi sia il numero assoluto dei punti IVG sia quello rapportato alla popolazione di donne in età fertile, la numerosità dei punti IVG appare adeguata rispetto al numero delle IVG effettuate» (p. 57). I tempi di attesa presso le strutture venete, secondo la tabella n. 21, tra il rilascio del certificato e l’operazione nel 54% dei casi è uguale o inferiore a 14 giorni, nel 25% tra i 15 e 21 giorni.

Ma veniamo al carico di lavoro per i medici non obiettori. Per Cgil e Pd non ci sarebbero sufficienti medici per effettuare aborti e quindi le donne dovrebbero aspettare troppo tempo per aver modo di uccidere il proprio bambino o, aggiungiamo noi, non potrebbero più abortire. Questo è palesemente falso se andiamo a leggere il report a pagina 59. A livello nazionale ciascun medico non obiettore compie un (1) intervento abortivo alla settimana. In Veneto tra il 2016 e il 2018 siamo ad 1,2 interventi a settimana, valore che scende nel 2019 a 1,1 e nel 2020 a 0,8. Questo perché anche in Veneto, come nel resto del Paese, gli interventi abortivi sono diminuiti nel tempo.

Si obietterà: ma presso l’Ospedale Civile di Venezia gli interventi potrebbero essere fuori media. Sempre a pagina 59 leggiamo che «Il valore massimo per singola struttura IVG» consta di 5,5 interventi a settimana e, aggiungiamo noi, ogni intervento impegna il medico abortista qualche decina di minuti. Dunque, sempre un carico di lavoro ininfluente. Questa differenza di media regionale e media della singola struttura - ammesso e non concesso che riguardi anche l’Ospedale Civile di Venezia - è da imputarsi alla mancanza di medici abortisti? No, lo dice sempre a chiare lettere la relazione ministeriale: «Eventuali problemi nell’accesso al percorso IVG potrebbero essere riconducibili ad una inadeguata organizzazione territoriale» (p. 59). A riprova di ciò si aggiunge «che, tra le Regioni con un tasso di abortività più alto della media nazionale, in alcune il carico di lavoro dei ginecologi non obiettori è inferiore o in linea con il valore medio nazionale (Piemonte, Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Emilia-Romagna), mentre in Puglia e nel Lazio il numero medio di IVG per ginecologo non obiettore è maggiore». Perciò quello che fa la differenza nel carico di lavoro non è il numero di medici obiettori o non obiettori, ma l’organizzazione interna.

È la medesima conclusione a cui era arrivata un’indagine ad hoc condotta sull’obiezione di coscienza da parte del Ministero della Salute nel 2016: «I tempi di attesa sono dunque connessi all’organizzazione dell’ospedale e non al numero di obiettori. Inoltre negli anni il numero di medici obiettori è aumentato, ma è rimasto invariato quello dei medici non obiettori. E dato che il numero di aborti chirurgici legali è diminuito, questo ci porta a dire che il carico di lavoro per i medici non obiettori è diminuito anch’esso negli anni. […] Lavorano così poco che più di un decimo di essi non è assegnato ad interventi abortivi perché non c’è bisogno».