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conflitto in ucraina

La guerra dei media: rappresaglia russa contro i divieti Ue

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Il Cremlino risponde alle restrizioni europee verso testate e tv. Le censure incrociate rischiano un effetto boomerang in Europa, evidenziando la debolezza dei governi, dei leader e dei loro messaggi.

Esteri 29_06_2024
imagoeconomica

Ha suscitato dure reazioni in Europa la decisione, resa nota il 25 giugno dalle autorità russe, di imporre restrizioni nei confronti di 81 media europei impedendone l’accesso tv e internet nel territorio della Federazione Russa.
Tra i media europei presi di mira figurano i siti di Rai, LA7, La Stampa e Repubblica, come spiega l'agenzia di stampa Ria Novosti, ma anche dei giornali tedeschi Der Spiegel, Die Zeit e Frankfurter Allgemeine Zeitung, dei quotidiani francesi Le Monde, La Croix e dell'agenzia France Presse (AFP) e dei Radio France. La Russia ha imposto restrizioni anche ai quotidiani spagnoli El Mundo ed El Pais, all'agenzia di stampa EFE, all'emittente statale austriaca ORF e ai giornali web Politico ed Euobserver.

L’iniziativa russa costituisce una “rappresaglia” sul fronte mediatico rispetto alla decisione assunta il 17 maggio dal Consiglio Europeo di vietare sul territorio dell’Unione la diffusione video e internet dell’agenzia Ria Novosti e dei giornali Izvestia e Rossiyskaya Gazeta.
«In risposta alla decisione presa dal Consiglio della Ue il 17 maggio di vietare "qualsiasi attività di trasmissione" su tre media russi (Ria Novosti, Izvestia e Rossiyskaya Gazeta) che entra in vigore oggi, 25 giugno, vengono adottate contro-restrizioni all'accesso introdotte dal territorio della Federazione Russa alle risorse radiotelevisive di numerosi media degli Stati membri dell'Ue e degli operatori di tutta Europa, che diffondono sistematicamente false informazioni sullo svolgimento dell'operazione militare speciale» in corso in Ucraina, come si legge nel comunicato del ministero degli Esteri russo.

I russi, prosegue la nota, hanno ripetutamente e a vari livelli avvertito che «le molestie politicamente motivate nei confronti dei giornalisti e i divieti infondati nei confronti dei media russi nella Ue non passeranno inosservati». Il comunicato nota che «nonostante ciò, Bruxelles e le capitali dei Paesi dell'Unione hanno scelto di intraprendere la strada dell'escalation, costringendo Mosca ad adottare contromisure speculari e proporzionali con un altro divieto illegittimo. La responsabilità di tale sviluppo spetta esclusivamente alla leadership dell'Unione europea e i paesi che hanno sostenuto tale decisione», ha sottolineato il ministero.

Del resto fin dall’inizio del conflitto la Ue aveva messo al bando testate televisive internet russe quali Russia Today e Sputnik con l’accusa di essere uno strumento mediatico del Cremlino.

La guerra dei media quindi è stata cominciata dall'Ue mostrando fin dall’inizio del conflitto di temere che il pubblico europeo potesse ricevere informazioni diverse da quelle filo-ucraine e anti-russe che, quasi a reti e testate unificate, vengono diffuse da quasi due anni e mezzo in Europa e in Italia.

La censura, comprensibile nelle nazioni in guerra, diventa spesso un boomerang nelle democrazie e nei Paesi non belligeranti come nel caso dell’Europa poiché evidenzia la debolezza dei governi, dei leader e dei loro messaggi. Non a caso per tentare di eliminare le poche voci dissonanti dal mainstream filo-ucraino sono state rese pubbliche su diversi media, anche in Italia, vere e proprie liste di proscrizione contenenti i nomi di intellettuali e giornalisti definiti “putiniani” e “filorussi”.

Alla luce di tutto questo appare decisamente sopra le righe la faccia di bronzo con cui la Ue ha reagito alla rappresaglia mediatica russa. Oltre il limite del ridicolo il comunicato dell’Alto rappresentate Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, presentato ai media dal portavoce Peter Stano. «L'Ue condanna la decisione del tutto infondata delle autorità russe di bloccare l'accesso a oltre ottanta media europei in Russia. Questa decisione limita ulteriormente l'accesso all'informazione libera e indipendente ed espande la già severa censura sui media in Russia. I media europei vietati lavorano secondo principi e standard giornalistici. Forniscono informazioni concrete, anche al pubblico russo, anche sulla guerra illegale di aggressione della Russia contro l'Ucraina. Al contrario, i mezzi di disinformazione e propaganda russi, contro i quali l'Ue ha introdotto misure restrittive, non rappresentano media liberi e indipendenti. Le loro attività radiotelevisive nell'Ue sono state sospese perché queste emittenti sono sotto il controllo delle autorità russe e sono determinanti nel sostenere la guerra di aggressione contro l'Ucraina».

In pratica la Ue dice ai russi che i loro media sono pessima propaganda putiniana ed è giusto bandirli dall’Europa mentre i nostri sono fonte di informazione indipendente, libera e professionale e anche a Mosa dovrebbero gioire per l’opportunità di abbeverarsene.
Non pago, Borrell ha concluso sottolineando che «il rispetto della libertà di espressione e dei media è un valore fondamentale per l'Ue che continuerà a supportare la disponibilità di informazioni concrete anche per il pubblico russo. Ecco perché condanniamo la decisione russa come totalmente infondata».

In realtà la quasi totale sudditanza nei confronti dell’informazione ufficiale e della propaganda Ucraina/NATO /UE senza alcuna analisi critica ha reso gran parte dei media italiani ed europei ridicoli e inaffidabili non tanto agli occhi dei russi ma a giudizio dei lettori europei come dimostra il tracollo dell’audience e delle copie vendute. Un fenomeno che in Italia ha raggiunto un minimo oltre il quale è facile vedere la morte del giornalismo, rimpiazzato in buona parte da servilismo e piaggeria nei confronti di politica, potenze straniere e lobby di potere.

Non stupisce che anche il ministero degli Affari Esteri italiani si sia affrettato a condannare con forza la decisione della Federazione Russa di bloccare l'accesso sul suo territorio alle trasmissioni e ai siti di diversi media europei, tra cui gli italiani Rai, La7, La Repubblica e La Stampa ma sorprendono forse i toni utilizzati. «Esprimiamo rammarico per la misura ingiustificata adottata nei confronti di queste emittenti e testate giornalistiche italiane, che hanno sempre fornito un'informazione oggettiva e imparziale sul conflitto in Ucraina», recita una nota della Farnesina. «Questi media hanno seguito criteri di informazione oggettiva, e comunque legata a una interpretazione autonoma dei fatti conseguenti all'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione Russa».

Al di là del verdetto inappellabile dei lettori, circa l’indipendenza dei nostri media si potrebbero scrivere interi volumi ma è sufficiente limitarsi a ricordare che il direttore di Repubblica e la corrispondente Rai da Kiev sono stati decorati dal presidente Volodymyr Zelensky per i servigi resi all’Ucraina ed entrambi hanno espresso compiacimento per questo riconoscimento. La Stampa non solo ha seguito (come quasi tutti i giornali) una linea ben poco obiettiva ma riuscì a pubblicare la foto di civili uccisi dai bombardamenti delle truppe ucraine a Donetsk lasciando intendere, non specificando la natura dell’immagine, che fossero vittime di raid russi.

Circa la Rai, in due anni e mezzo si è in molte trasmissioni distinta per informazione a senso unico con ampio spazio alla propaganda ucraina spacciata per verità e censura sulle fonti e le informazioni dei russi. Lo stesso si può dire per La7 (con l’eccezione di pochissimi programmi) ma nella tv pubblica resteranno nella storia del giornalismo alcune interviste “in ginocchio” a Zelensky, episodi eclatanti di una tendenza che non ha mai visto nessuno porre al leader ucraino neppure una domanda sulle opposizioni messe fuori legge, sui giornalisti incarcerati, sulla “questione nazista”, sulla pulizia etnica dei “filorussi” nelle regioni orientali, sugli arruolamenti forzati nelle strade di “carne da cannone”, o sulle elezioni rinviate sine die nel momento di massima impopolarità del presidente.

Qui però non si tratta di stabilire chi meriti o meno censure e boicottaggi che non dovrebbero esistere per nessuno in nessuna nazione. Il tema vero è come potersi lamentare oggi del fatto che i russi bannano i nostri media quando noi abbiamo per primi cominciato a bandire i media russi fin dal 2022? Del resto che all’Europa non stia così a cuore la libertà d’informazione lo dimostrano le tante dichiarazioni contro il pericolo delle fake news russe (dichiarazioni tese quindi a sollecitare un maggiore controllo sui media) e lo si comprende bene dall’assordante silenzio delle istituzioni e (guarda un po?) di quasi tutti i media di fronte alle denunce di violenze contro la libertà di stampa e i giornalisti in Ucraina.

Come scrive lo statunitense Politico, il regime di Kiev sta prendendo di mira i giornalisti che indagano sulla corruzione tra i funzionari pubblici e mette a tacere i critici del governo. Evgeniy Shulgat ha subito minacce per un articolo sulla corruzione nel Servizio di sicurezza ucraino (SBU).
Anche altri giornalisti ucraini che si occupano della corruzione nel paese, come Alexander Salizhenko e Yuriy Nikolov, affermano che il governo utilizza varie tattiche intimidatorie. Tutti loro sono soggetti a molestie online, accuse di evasione dal servizio militare e minacce di essere mandati in prima linea.

Prima ancora di Politico l’organizzazione Reporters sans Frontiéres ha più volte denunciato le difficoltà dei giornalisti ucraini e il 19 giugno ha lamentato che «la pressione contro i media indipendenti in Ucraina è in aumento da diversi mesi. Sorveglianza, minacce di arruolamento nell'esercito, maggiore controllo da parte delle autorità… Sui media ucraini crescono pressioni politiche e ostacoli. Dall’inizio del 2024, almeno cinque giornalisti sono stati sorvegliati o minacciati a causa di pubblicazioni sulla corruzione».

RSF denuncia la nomina di un militare a direttore dell'agenzia di stampa nazionale Ukrinform il 24 maggio e la rivelazione il 29 maggio della diffusione di un elenco di ospiti da escludere dai programmi e l’impossibilità di fornire notizie attendibili sull’andamento (pessimo) della guerra.



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