Il pifferaio di Davos, ovvero: gli obiettivi del Great Reset
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Dalle origini del Forum di Davos al ruolo (da frontman) di Klaus Schwab, fino al Covid sfruttato per far avanzare il piano del Great Reset. Le ricadute disastrose su tanti campi: auto e case incluse. Il videoincontro della Bussola con l’economista Maurizio Milano.
Che cos’è veramente il Forum di Davos? Chi è Klaus Schwab? Cosa si intende quando si parla di Grande Reset e che ruolo ha avuto al riguardo il Covid-19?
A queste e altre domande, fatte dal direttore Riccardo Cascioli, ha dato delle interessanti risposte l’economista Maurizio Milano, firma nota ai lettori della Bussola. L’occasione è stata quella del videoincontro di ieri intitolato Il pifferaio di Davos, che segna la ripresa dell’iniziativa I venerdì della Bussola (alle 14 l’inizio delle trasmissioni sul nostro sito e i nostri canali social), ideata per approfondire alcuni temi forti trattati dal nostro quotidiano.
Un incontro il cui titolo riprende quello del libro, fresco di stampa, di Milano, appunto Il pifferaio di Davos (D’Ettoris), che si basa sull’analisi di documenti pubblici, volumi scritti dallo stesso Klaus Schwab, informazioni e video presenti sul sito ufficiale del World Economic Forum: dunque, non un libro basato su “teorie cospirazioniste”, ma su affermazioni precise e facilmente verificabili.
COS’È IL FORUM DI DAVOS?
Approfondire i temi del Forum di Davos, le cui origini risalgono al 1971, è di grande importanza, «perché riguardano la nostra vita quotidiana», come ha sottolineato Cascioli.
Sono temi che investono tantissimi ambiti, ma con un filo conduttore comune, che Milano riassume così: «I vari punti del programma di Davos sono in realtà collegati all’interno di quella che loro chiamano l’iniziativa del Great Reset». Più in particolare, si tratta del «Great Reset del capitalismo», cioè dell’idea di superare il modello delle piccole e medie imprese, su base nazionale, per sostituirlo con una nuova governance sovranazionale a livello politico ed economico. Il Wef punta cioè a una coalizione tra pubblico e privato, «quindi tra i grandi gruppi industriali e finanziari a livello multinazionale, il potere politico, le banche centrali, le grandi istituzioni finanziarie che tra l’altro siedono nel board (consiglio d’amministrazione, ndr) di Davos. Nel libro – aggiunge Milano – ho messo nomi e cognomi, quindi è tutto verificabile».
Fin dai suoi esordi, quando si chiamava Simposio europeo del management, il Forum di Davos ha propugnato le idee di un ambientalismo catastrofista e, sostanzialmente, antiumano. «A una delle prime riunioni, nel 1973, di quello che era ai tempi il forum europeo, avevano invitato Aurelio Peccei, del Club di Roma». Questo avveniva proprio un anno dopo l’uscita del rapporto I limiti dello sviluppo, la cui idea di fondo era quella di ridurre la popolazione mondiale, secondo l’assunto del “siamo troppi” e della “sostenibilità”, pena una serie di conseguenze negative, per la presunta insufficienza di risorse. Ma tutte le previsioni nefaste di quel rapporto – compresa la fine imminente dei combustibili fossili – «non si sono avverate», come ricorda Milano. «Anzi, la popolazione è aumentata, ma la ricchezza è aumentata ancora più velocemente, tant’è vero che sono uscite dalla povertà centinaia di migliaia di persone, grazie proprio alla libertà economica, allo scambio e al commercio».
KLAUS SCHWAB E I SUOI MENTORI
Riguardo al ruolo di Schwab, va inquadrato correttamente, senza cadere nell’errore di credere che esista «un grande vecchio che tira le fila, perché in realtà cambiano i soggetti, ma certe dinamiche vanno avanti quasi con una loro meccanica». Ecco perché, aggiunge Milano, «più che il regista, io lo chiamo il frontman», nel senso che Schwab è quello più visibile a Davos, ma certamente l’influenza di personaggi come Bill Gates, George Soros e prima ancora Henry Kissinger, morto solo pochi mesi fa, è maggiore. Del resto, dice l’autore de Il pifferaio di Davos, Schwab «era un normale docente universitario e non si capisce come abbia fatto a fare questo salto», se non con la presenza di persone influenti dietro di lui, che gli hanno permesso via via di «creare una rete internazionale», con l’intento di «collegare tutte le persone potenti a livello politico, economico, finanziario», in vista di una governance globale.
Il Wef mira in pratica a una governance fortemente elitaria «dove i migliori – e qui è chiara la vena tecnocratica – guideranno dal centro e dall’alto verso “la nuova normalità”, accentrando risorse e decisioni. Per fare questo puntano sulla narrazione».
IL COVID, «GRANDE OPPORTUNITÀ»
La gestione del Covid ha impresso un’accelerazione al progetto di Davos, tant’è che Schwab ha scritto un libro al riguardo, intitolato Covid-19. The Great Reset (luglio 2020) in cui «lui aveva definito l’epidemia una grande opportunità, un’occasione da cogliere, da cogliere in fretta proprio per attuare questa trasformazione complessiva di come viviamo, di come mangiamo, di come ci muoviamo: insomma, non esattamente un progetto democratico».
Per questa trasformazione serve far leva sul linguaggio, sulla comunicazione, costruendo – con la complicità dei grandi media – delle narrazioni capaci di condizionare le masse, fino a far perdere loro il senso della realtà e spingerle ad accettare grandi sacrifici, come la riduzione delle libertà fondamentali, i lockdown, i ricatti sulla vaccinazione, in vista di un bene presentato di volta in volta come più grande (la salute, l’ambiente, ecc.). Lo abbiamo visto, appunto, con il Covid.
LA GRANDE NARRAZIONE
E questo sistema di pensiero è ben presente in un altro libro di Schwab, La grande narrazione (2022), dove il fondatore del Wef, spiega Milano, «dice una frase che fa accapponare la pelle: “Le narrazioni guidano il nostro comportamento”». Schwab sa benissimo che la realtà è tenace, ma sa anche che diffondendo continuamente lo stesso messaggio, facendo leva sui sentimenti e sulle emozioni, cambia la percezione della realtà e cambia il comportamento delle persone, che si convincono ad accettare «dei sacrifici inimmaginabili», illudendosi che, così facendo, «andrà tutto bene».
Schwab e soci, aggiunge Milano, «la chiamano narrazione, ma il termine più corretto è propaganda a reti unificate a livello mondiale».
Vedi anche quello che avviene con il catastrofismo climatico, attorno a cui il cosiddetto “consenso” scientifico c’è, almeno a livello di percezione, perché tutti quelli che la pensano diversamente – tra i tanti, il Premio Nobel per la Fisica, John Clauser – «vengono allontanati» e ostracizzati. Questo avviene chiaramente servendosi dei media, con l’uso di etichette e vocaboli ben studiati (complottisti, negazionisti, no-vax, fake news, ecc.) per screditare a priori anche le argomentazioni più solide.
AUTO E CASA, 2 BERSAGLI DEL GREAT RESET
La seconda parte de Il pifferaio di Davos chiarisce cosa vuol dire il Great Reset in tanti campi concreti, per l’esattezza 12, tra cui l’auto e la casa. Riguardo all’auto, spiega Milano, «sembra che l’ideologia sia un po’ alle corde», perché ci si sta accorgendo che far passare tutte le persone a un’auto completamente elettrica è impossibile, «semplicemente non ci sono i materiali per costruirla, i prezzi schizzerebbero alle stelle. L’attuazione di questa agenda, di fatto, vorrebbe dire innanzitutto togliere la seconda automobile alle famiglie che ce l’hanno: e nelle città significherebbe togliere anche la prima». Questa idea, far cioè scomparire l’auto privata, emerge anche dalle dichiarazioni dei sindaci del C-40, il gruppo che riunisce alcune delle principali città metropolitane del mondo.
Riguardo alla casa, afferma Milano, «è una bella tegola anche questa, perché l’obbligo di fare riqualificazioni energetiche su scala massiva è sicuramente irrealizzabile perché non avremmo né gli operai né i cantieri né i mezzi finanziari per riqualificare milioni e milioni di abitazioni contemporaneamente». E alla base c’è l’idea, ventilata anche da uno studio di Banca d’Italia di cui la Bussola ha parlato lo scorso 1 maggio, di impedire di affittare le case se non raggiungono un determinato livello di efficienza energetica. «Questi immobili perderebbero di valore – spiega l’economista – e così colpiremmo direttamente le famiglie più in difficoltà. E magari saranno rastrellati in futuro da fondi di investimento che li compreranno a prezzo di saldo». Un progetto che Milano chiama di «socialismo finanziario», che mira a colpire la proprietà privata, a partire appunto da un bene fondamentale come la casa.
La tua casa non è Green? Non l'affitti. Bankitalia viola il diritto di proprietà
Uno studio di Bankitalia suggerisce di impedire l'affitto di case non conformi alle classi energetiche più alte. Indicazioni che vanno ben oltre la recente direttiva europea e da parte di un ente che non ha nessun titolo per decidere la politica economica. Ma è l'inarrestabile spinta per realizzare il socialismo ambientale