USA, sì alle “nozze gay”: 12 Repubblicani votano con i Dem
Con il voto decisivo di 12 Repubblicani, il Respect for Marriage Act, che codifica le “nozze gay” a livello di legge federale, supera la soglia anti-ostruzionismo. La strada per l’approvazione è ora spianata. Modificato il testo, ma rimane l'attacco al matrimonio e il pericolo per la libertà di coscienza e religione.
Al Partito Democratico statunitense serviva raccattare i voti di 10 senatori Repubblicani: alla fine ne ha ottenuti addirittura 12, quasi un quarto della dote del Gop al Senato. Il Respect for Marriage Act (Rma), il disegno di legge che codifica le nozze gay a livello federale, ha così superato lo scoglio decisivo. Non è ancora legge, ma di fatto ha ormai la strada spianata. Nella seduta di mercoledì 16 novembre si votava per superare la soglia anti-ostruzionismo, che nella camera alta del Congresso equivale ai tre quinti dei voti (60 su 100, se votano tutti): con il voto di 62 favorevoli e 37 contrari, quella soglia è stata appunto superata, consentendo all’Rma di proseguire il suo cammino. Ora manca il voto dello stesso Senato sul testo effettivo e, poi, quello della Camera, dove il disegno di legge dovrà essere rivotato in quanto nel passaggio tra i due rami del Congresso ha subito delle modifiche. La sua approvazione, come già scrivevamo sulla Bussola, renderebbe vano ogni eventuale ribaltamento della sentenza Obergefell vs Hodges (2015).
Non è bastata dunque la mobilitazione dei gruppi pro famiglia, della Conferenza episcopale statunitense e dei membri di altre confessioni cristiane per stoppare l’iter di quello che il politicamente corretto chiama anche “matrimonio egualitario”. Ai voti, già annunciati nei mesi scorsi, dei senatori Repubblicani Susan Collins, Lisa Murkowski, Thom Tillis e Rob Portman, si sono aggiunti quelli di altri otto colleghi del Gop e precisamente: Mitt Romney, Roy Blunt, Richard Burr, Shelley Moore Capito, Joni Ernst, Cynthia Lummis, Dan Sullivan, Todd Young. Dodici voti che si sono sommati ai 50 (su 50) dei Dem. Ma se per questi ultimi il risultato di mercoledì equivale a una bandierina politica piantata, corrispondente cioè al proprio orizzonte ideologico, per i Repubblicani si tratta invece del tradimento del grosso della propria base elettorale (secondo recenti sondaggi, quasi il 60% degli elettori del Great Old Party sono contrari alla codificazione delle “nozze gay”, mentre solo il 30% è favorevole). La responsabilità pesa non solo sui 12 menzionati esponenti del Gop, ma anche sui vertici del partito che hanno rifiutato pure al Senato - come già per il voto alla Camera a luglio, dove erano stati 47 i Repubblicani a votare con i Dem - di prendere una posizione pubblica unitaria a difesa della verità sul matrimonio.
Questa mancanza è un altro elemento che fa apparire scontato - salvo sorprese clamorose - l’esito della partita sul Respect for Marriage Act. Al Senato basterà una maggioranza semplice per la sua approvazione. Lo stesso vale per la Camera, dove si prevede che l’Rma torni entro fine anno, dunque prima dell’insediamento del ramo del Congresso rinnovato dalle elezioni di medio termine: in sostanza, i Dem avrebbero quindi i numeri già da soli; e in ogni caso, per quanto visto, è facile prevedere che facciano nuovamente incetta di voti tra i Repubblicani, tanto più che il testo attuale va letto alla luce dell’emendamento presentato il 14 novembre (due giorni prima del voto sulla soglia anti-ostruzionismo) dai sostenitori dell’Rma, che ne hanno smussato in parte i contenuti radicali per renderlo più digeribile ai conservatori inclini al compromesso ed essere certi di portarne a casa l’approvazione, in primis superando l’ostacolo principale di cui abbiamo detto sopra. L’emendamento stesso - che racchiude più modifiche - è stato presentato da un fronte bipartisan: due Democratici (Tammy Baldwin e Kyrsten Sinema) e tre Repubblicani (Collins, Portman, Tillis).
In cosa consistono le modifiche proposte? Innanzitutto, esse riguardano la tutela della libertà di coscienza e di religione. A questo proposito, si afferma che «nulla in questa Legge […] deve essere interpretato per diminuire o abrogare la libertà religiosa o le tutele per la coscienza» già presenti nella Costituzione e nelle leggi federali. Le chiese, moschee, sinagoghe e in generale le organizzazioni religiose senza scopo di lucro «non saranno tenute» a fornire beni, strutture e servizi «per la solennizzazione o la celebrazione di un matrimonio». Il testo emendato precisa inoltre che l’Rma non dovrà essere usato per «negare o modificare» benefici, status o diritti legati a regimi di esenzione o agevolazione fiscale, sovvenzioni, borse di studio, contratti, eccetera, fin quando questi non sorgono «da un matrimonio».
Secondo l’Rma, nella sua amministrazione (atti pubblici, registri, procedimenti giudiziari), qualunque Stato degli USA è tenuto a riconoscere il «matrimonio tra due individui» contratto negli altri Stati federati, senza distinzione di «sesso, razza, etnia od origine nazionale». Rispetto alla versione originaria, nella sezione che tratta del riconoscimento del matrimonio a livello di amministrazione federale, si è introdotta una modifica per specificare che si intende un’unione «tra due individui». Un brano successivo dell’emendamento chiarisce ulteriormente che nulla nell’Rma deve essere inteso come un'autorizzazione federale alla poligamia. Si sono voluti così dissipare, su questo punto, i timori emersi nel fronte conservatore alla lettura della prima versione dell’Rma.
Ma al di là delle modifiche rimane la questione di fondo: il testo è inaccettabile perché riconosce quale “matrimonio” ciò che matrimonio non è, ossia un’unione contraria alla morale naturale, in cui manca la necessaria complementarità sessuale.
A ciò va aggiunto che l’emendamento non disinnesca la minaccia per la libertà di coscienza e di religione, lasciando privi di tutela specifica molti campi e soggetti. A parte qualche frase «di facciata», come osserva Greg Baylor, consulente dell’Alliance Defending Freedom, le modifiche all’Rma ignorano i punti più critici, come la tutela dei principi morali e religiosi - ad esempio - di agenzie di adozione o imprenditori come il pasticciere Jack Phillips, da anni alle prese (come tanti altri professionisti) con una persecuzione giudiziaria. «Il Respect for Marriage Act va ben oltre lo scopo della [sentenza] Obergefell, autorizzando il governo e le organizzazioni di attivisti a violare le libertà costituzionali di milioni di americani di parlare e vivere secondo la loro fede», scrive Baylor. E se le norme oggi esistenti a tutela della coscienza non bastano a evitare la gogna a tanti americani, «non ha senso credere che possano offrire protezione sotto un regime di applicazione più espansivo come previsto nel disegno di legge» ormai vicino all’approvazione.