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Le elezioni

Bolivia, socialisti sconfitti: il presidente sarà di centrodestra

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A contendersi la presidenza boliviana al ballottaggio del prossimo 19 ottobre saranno due candidati di centrodestra: Rodrigo Paz Pereira e Jorge Quiroga. Questo l’esito del voto di domenica scorsa. Una svolta dopo vent’anni di dominio del “socialismo del XXI secolo”.

Esteri 20_08_2025
Rodrigo Paz, al centro, dopo i primi risultati delle elezioni del 17 agosto 2025 (Ap-LaPresse)

Dopo vent’anni di socialismo bolivariano, la Bolivia volta pagina. Dopo vent’anni di egemonia del Mas (Movimento per il socialismo), il popolo ha deciso che saranno due candidati di centrodestra, Rodrigo Paz Pereira (figlio dell'ex presidente Jaime Paz Zamora, in carica nel 1989-1993) e Jorge "Tuto" Quiroga (già presidente della Bolivia nel 2001–2002), a contendersi la presidenza boliviana al ballottaggio il prossimo 19 ottobre. Quasi otto milioni di boliviani si sono recati alle urne domenica 17 agosto per eleggere un nuovo presidente, un vicepresidente, i 26 senatori e i 130 deputati del Paese.

Nel voto di domenica Rodrigo Paz Pereira, del Partito democratico cristiano (Pdc), è in testa con il 32,2% dei voti, mentre Jorge Quiroga, dell'alleanza Libre, ha il 26,9%, secondo il Sistema di risultati elettorali preliminari del Tribunale Supremo Elettorale (TSE), con il 92,6% dei voti scrutinati. Al terzo posto c'è l'uomo d'affari dell'opposizione, anch’egli di destra, Samuel Doria Medina, dell'Alleanza dell'Unità, con il 19,9%; e solo al quarto il presidente del Senato, il socialista filogovernativo Andrónico Rodríguez, dell'Alleanza Popolare, con l'8,2%. Il candidato del Movimento per il socialismo, sostenuto dal governo, Eduardo del Castillo, ha ottenuto solo il 3,1% dei consensi. I voti validi sono stati il 78,27%, i voti non validi il 19,3% e le schede bianche il 2,43%.

Si è quindi chiuso il ciclo al potere del Mas, il cosiddetto "socialismo del XXI secolo" che ha governato la Bolivia attraverso Evo Morales (2006-2019) e Luis Arce (2020-2025), con la breve interruzione della presidenza di transizione di Jeanine Áñez (novembre 2019 – novembre 2020), al potere dopo le elezioni dell'ottobre 2019 e in carcere dal 2021 ad oggi (insieme a molti leader locali di centrodestra).

L’ex presidente Morales – ancora oggi tra i leader della sinistra anche se in contrasto con il suo ex pupillo, l'attuale presidente Arce – ha chiesto l'annullamento delle elezioni. Quando si perde così, ai socialisti rimangono sempre due opzioni: l’accusa al popolo che non capisce oppure l’arma dell'annullamento elettorale. I cittadini boliviani pretendono non un cambio di governo ma un radicale cambio di sistema politico. La crisi economica in Bolivia, Paese ricchissimo di terre rare, petrolio e di ogni ben di Dio, è ogni giorno sempre più drammatica.

Il candidato Doria Medina ha riconosciuto la sua sconfitta e ha promesso il suo sostegno al candidato Paz Pereira. «Come ho detto più volte, mantengo i miei impegni. Durante tutta la campagna elettorale ho detto che se non fossi arrivato al secondo turno avrei appoggiato chiunque fosse arrivato primo, se non fosse stato il Mas (governativo). Quel candidato è Rodrigo Paz e io mantengo la mia parola», ha dichiarato Doria Medina in una conferenza stampa nella notte di domenica.

I due candidati al ballottaggio, come in parte tutti gli altri, si sono particolarmente concentrati nella campagna elettorale sulle misure economiche indispensabili per risollevare le sorti del Paese e dei cittadini, distrutti dai vent’anni di economia socialcomunista. In particolare, il piano di governo di Paz è contenuto nella cosiddetta Agenda 50/50 che propone di decentralizzare la gestione delle risorse pubbliche, tornando alla sussidiarietà, mentre oggi lo Stato rappresenta circa l'85% del bilancio nazionale. Oltre alla promessa di una maggiore libertà economica e disponibilità di credito per tutti, senza aggravio per il bilancio dello Stato, Paz vuole una radicale riforma giudiziaria e la lotta alla corruzione. Tra i due candidati al ballottaggio, che propongono misure simili in campo economico, però solo Quiroga si è mostrato più volte un vero difensore della «famiglia e dei valori tradizionali», mentre Paz ha preferito sorvolare sui temi etici cari all’identità cattolica popolare.

Secondo Rodolfo Vargas, presidente del Collettivo LGBTI+ boliviano, i partiti e i candidati di centrodestra «non hanno un progetto politico con proposte chiare. Dal punto di vista dei diritti umani, i candidati hanno obblighi derivanti da trattati internazionali ratificati, non solo posizioni volontarie». Difficile pensare che chiunque diventi presidente della Bolivia nel prossimo ottobre voglia impegnarsi per eliminare i privilegi concessi alle lobby Lgbt del Paese nei vent’anni di socialismo, con il divieto costituzionale di discriminazione basata sull'orientamento sessuale e l'identità di genere, e decine di leggi e regolamenti successivi in materia.

In Bolivia, l'aborto è legale in casi specifici: quando la gravidanza è il risultato di uno stupro o incesto, o per proteggere la vita e la salute della donna. La sentenza costituzionale 0206/2014, scritta da giudici scelti dai vari regimi socialisti che si sono succeduti, stabilisce che le donne possano accedere all'aborto legale nei suddetti casi, senza bisogno di autorizzazione giudiziaria, richiedendo solo il consenso informato della donna e, nei casi di stupro, la relativa denuncia. È tutelata l’obiezione di coscienza di alcuni operatori sanitari. Vedremo anche su questo tema cosa faranno il nuovo parlamento, il governo e il presidente della Repubblica, per tutelare la vita del nascituro in un Paese, come la Bolivia, in cui il diritto alla vita è peraltro protetto ampiamente dalla Costituzione.