Occidente contro tutti: effetto-boomerang della linea Biden
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L'iper-atlantismo di USA, Nato, G7 e UE che ha generato la linea di scontro frontale con la Russia, sta coalizzando tutti i Paesi emergenti almeno in una opposizione chiara ai disegni dei Paesi occidentali. E la Cina emerge sempre più come il Paese catalizzatore.
Fino a poco tempo fa gli entusiasti cantori della linea di scontro frontale con la Russia tenuta dall'amministrazione Biden, dalla Nato, dal G7, dall'Ue rispetto alla crisi ucraina continuavano a storcere la bocca beffardamente, con aria di superiorità e di commiserazione, davanti a osservatori meno entusiasti e più preoccupati di loro. Preoccupati perché indicavano come questa linea (sostegno militare senza riserve e senza nessun compromesso all'Ucraina, sanzioni durissime a Mosca) non soltanto non guadagnasse alcuna adesione da parte di paesi non alleati, ma al contrario stesse allontanando sempre più dall'Occidente molti paesi del “Sud globale” - compresi alcuni di rilevante peso precedentemente vicini, come India, Sudafrica, Brasile e altri latinoamericani – e stesse sempre più rafforzando la posizione di potenza della Cina. Non solo, il processo vedeva formarsi intorno all'organizzazione dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) un embrione di coalizione multinazionale potenzialmente alternativa e ostile rispetto alle democrazie liberali di mercato di area Nato e G7.
Quei baldanzosi osservatori ultra-atlantisti sostenevano che l'impressione di un isolamento occidentale era sbagliata, frutto della propaganda russa e di una valutazione distorta della situazione. In realtà, secondo loro, l'appoggio cinese a Mosca era solo di facciata, perché Pechino avava bisogno assoluto dei mercati occidentali e presto avrebbe costretto Putin a più miti consigli; l'India si sarebbe presto o tardi aggregata alle posizioni occidentali allentando i legami con la Russia per non favorire la Cina, sua rivale geopolitica principale; i Brics avrebbero continuato a essere un nano politico, internamente minati da divisioni invalicabili.
Ora, indubbiamente non siamo ancora alla nascita di qualcosa di simile al Patto di Varsavia, e nemmeno al Fronte dei Paesi non allineati. E la nuova guerra fredda nata con la bipolarizzazione tra Stati Uniti e Cina rimane a un livello strisciante, tra picchi di tensione (su Taiwan e l'Indo-Pacifico) e consultazioni diplomatiche, aspirazioni al decoupling e persistente interdipendenza economica e tecnologica. Tuttavia, a ormai quasi un anno e mezzo dallo scoppio del conflitto russo-ucraino, i segnali del consolidamento di una situazione che potremmo definire di “Occidente contro resto del mondo” sono sempre più numerosi, evidenti e correlati, e non si individua pressoché alcun indicatore in direzione inversa.
Soltanto nelle ultime settimane se ne sono accumulati molti, su cui, come ormai avviene regolarmente dall'inizio della guerra, il sistema mediatico occidentale, tranne limitate eccezioni tarato ormai su una propaganda a reti unificate, ha fatto calare un imbarazzato silenzio. Ne elenchiamo qui di seguito alcuni. A fine giugno il primo ministro indiano Narendra Modi, incontrando il presidente Joe Biden a Washington, pur stipulando importanti accordi di collaborazione con gli Stati Uniti in campo tecnologico e militare, si è rifiutato ancora una volta (come aveva fatto in occasione della riunione del forum Quad, che unisce Washington, Nuova Dehli, Australia e Giappone) di condannare l'invasione russa o di aderire alle sanzioni contro Putin. I Paesi aderenti alla Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici (Celac) in preparazione al vertice tra l'organizzazione e i leader dell'Ue che si terrà oggi e domani (17 e 18 luglio) a Bruxelles hanno respinto la bozza preparatoria inviata dagli europei, chiesto di espungere dalla stessa qualunque presa di posizione unilaterale sulla guerra e posto con decisione il veto all'invito all'incontro del presidente ucraino Volodymir Zelensky.
In vista dell'importante vertice dei Brics che si terrà a Johannesburg dal 22 al 24 agosto, il governo sudafricano guidato da Cyril Ramaphosa, pur aderendo alla convenzione Onu sul tribunale internazionale contro i crimini di guerra, si è rifiutato di dare corso al mandato di arresto pendente contro Wladimir Putin, se questi deciderà di essere presente alla conferenza. Intanto, negli ultimi mesi le richieste di adesione all'organizzazione, sempre più caratterizzata da un profilo apertamente politico di sfida alle politiche occidentali, si sono moltiplicate: aspirano a far parte del forum ben 20 paesi del Medio Oriente, dell'Africa, del Maghreb, del Sudamerica, tra cui Argentina, Indonesia, Nigeria, Etiopia, Iran, e soprattutto Arabia Saudita: Paese tradizionalmente vicino all'Occidente, che dopo gli “Accordi di Abramo” siglati sotto la guida di Trump con Israele, nel marzo scorso ha firmato un'intesa con l'Iran, precedentemente suo nemico numero uno, con la mediazione della Cina.
Infine – notizia degli ultimi giorni – Pechino ha annunciato che alle prossime esercitazioni militari che il suo esercito terrà nel Mar del Giappone (dall'intento esplicitamente intimidatorio contro possibili tentativi di freno da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati, Giappone in primis, di frenare le sue ambizioni egemoniche sulle coste del Pacifico) parteciperanno anche truppe russe. In questo modo si dà seguito concreto e, per gli americani, assai preoccupante a quella “alleanza senza fine” finora non smentita in nessuna sede, nonostante le aspettative di molti osservatori occidentali.
Il tutto in un quadro caratterizzato dall'ormai evidente fallimento totale delle sanzioni anti-russe, che hanno prodotto una vera e propria esplosione delle esportazioni di greggio da parte di Mosca verso Cina, India e paesi latinoamericani, con relativo aggiramento totale dei divieti attraverso triangolazioni da parte di altre nazioni. Insomma, non esiste ancora una “cortina di ferro” tra Occidente e “Sud globale” al seguito di Pechino, con annessione del “satellite” russo, ma sicuramente siamo già di fronte a un vero e proprio “muro di gomma”, sul quale vanno ormai regolarmente a rimbalzare i tentativi degli Stati Uniti, dei loro alleati, dell'Unione europea di attrarre il resto del mondo nella loro orbita e di indirizzarne le scelte politiche ed economiche.
E proprio la strategia aggressiva varata dall'Occidente contro la Russia dal febbraio 2022 ha ottenuto un clamoroso effetto boomerang, fornendo una grande spinta all'aggregazione e collaborazione tra tutti i paesi che non intendono conformarsi all'egemonia occidentale. È nato “un mondo contro”, come lo ha denominato uno studioso di geopolitica non certamente anti-occidentale come Dario Fabbri nel pregevole numero monografico recentemente dedicato al fenomeno dalla sua rivista Domino. Uno schieramento ancora in gran parte virtuale, ma già solidamente esistente nella mente, nei pensieri, nei sentimenti di coloro che ne sono attratti: animati da un latente, e oggi risorgente, spirito di rivincita anticolonialista, sostenuto dalla convinzione di avere il tempo, i numeri, le forze dalla propria parte.
Ci sarebbero molti elementi per interrogarsi serimanete sugli esiti dell'”iper-atlantismo” a base di anabolizzanti incessantemente spacciato da tutto l'establishment occidentale da 15 mesi. Ma sospettiamo che ancora una volta ciò non avverrà, e che si continuerà con le parole d'ordine ideologiche ad oltranza, fino a quando la realtà busserà alla porta con colpi talmente forti da sfondarla.
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