L'Afghanistan tornerà ad essere la base del terrorismo
La Nato era rimasta in Afghanistan per 20 anni, non tanto per "esportare la democrazia", ma per combattere il terrorismo dopo gli attacchi dell'11 settembre. E adesso, dopo la fine della missione? Gli accordi di Doha, che hanno preceduto il ritiro degli Usa, prevedevano pace in cambio della dissociazione dei Talebani dal terrorismo anti-americano. Ma i Talebani, già da ora, hanno disatteso le promesse. Invece che trattare con il governo di Kabul lo hanno rovesciato. Il rischio che torni il terrorismo dall'Afghanistan è forte: ci sono gli uomini, liberati dalle prigioni di massima sicurezza, ci sono le armi, lasciate indietro dagli americani. E c'è il "mito" jihadista del Paese che ha sconfitto l'America.
Dopo la precipitosa ritirata degli americani dall’Afghanistan, negli editoriali dei maggiori quotidiani occidentali leggiamo tanta sociologia. Sul fronte isolazionista, la tesi che va per la maggiore si riassume in: “abbiamo perso tempo, non potevamo neppure pensare di portare la democrazia in Afghanistan”. Sul fronte umanitario, invece, non si rimpiange affatto la guerra, ma al tempo stesso si piange per i perduti diritti delle donne e si predica l’accoglienza illimitata di tutti i futuri profughi dall’Afghanistan. Manca una domanda importante in questo dibattito, ben poco appassionante: a che punto è il terrorismo in Afghanistan?
Perché è per il terrorismo che i contingenti della Nato sono rimasti in Afghanistan per 20 anni. La lunga guerra non è scoppiata a causa della distruzione dei Buddha di Bamyan da parte dei Talebani e neppure a causa della violazione dei diritti delle donne, segregate in casa e private di ogni diritto dal 1996. La guerra è scoppiata per un motivo di sicurezza ben preciso: dopo gli attacchi di Al Qaeda a Washington e New York l’11 settembre 2001, gli Usa e poi a seguire tutti gli alleati della Nato, hanno deciso che l’Afghanistan non avrebbe più dovuto ospitare le basi dei terroristi internazionali. Purtroppo, la ritirata della Nato e la presa del potere immediata da parte dei Talebani, a seguito del rapidissimo collasso dell’esercito regolare afgano, possono consentire ai terroristi di tornare a usare l’Afghanistan come base e rifugio sicuro. Per tre principali motivi.
Primo: i Talebani non hanno mantenuto le promesse. Secondo gli accordi di Doha, negoziati dall’amministrazione Trump con i rappresentanti dei Talebani, la ritirata dei contingenti internazionali doveva essere il culmine di un processo che non è mai iniziato. Questo processo avrebbe dovuto includere la trattativa fra Talebani e governo di Kabul, una loro sostanziale normalizzazione politica e la promessa di non colpire più gli interessi americani all’estero. In sostanza: niente più guerra da parte degli Usa, niente più terrorismo da parte dei Talebani. Ma questi ultimi hanno già violato la prima delle promesse, rovesciando il governo di Kabul senza concludere alcun accordo. Si è saltato il passaggio fondamentale della “normalizzazione” politica. I Talebani, forti di una vittoria ottenuta sul campo e senza compromessi, già hanno gettato la loro maschera di “moderati” e “clementi”, dando la caccia ai collaboratori degli occidentali e sparando contro manifestazioni di oppositori. La realtà, che non vogliamo ancora vedere, è quella di un nuovo regime islamico completamente fuori controllo e imprevedibile.
Secondo: i terroristi sono stati scarcerati in gran numero. Merito, anche qui del collasso dell’esercito regolare afgano, secondo le stime della stampa statunitense da 5mila a 7 mila prigionieri, quasi tutti in odore di terrorismo, sono stati liberati. La maggior fuga di massa è avvenuta dal carcere di Pul-e-Charkhi, nei pressi di Kabul, la più grande prigione del Paese. Al suo interno c’era anche un blocco di massima sicurezza con i prigionieri di Al Qaeda e Talebani. Va ricordato, prima di tutto, che il movimento stesso dei Talebani è di natura terroristica. In Afghanistan e in Pakistan ha impiegato il terrorismo, in tutte le sue forme, anche e soprattutto quello suicida degli uomini-bomba. Però, finora, quello dei Talebani è stato un terrorismo territoriale, non è uscito dai confini afgani e pakistani (fra Talebani afgani e pakistani c'è un legame diretto, ma non sono la stessa organizzazione), diverso quindi dal terrorismo internazionale dello Stato Islamico e di Al Qaeda. Non scorre buon sangue fra i Talebani e lo Stato Islamico, quindi ci si potrebbe attendere una repressione e un controllo maggiori ai danni di quest’ultimo. Ma il legame fra Al Qaeda e Talebani non è mai stato reciso. La braca di Al Qaeda nella Penisola Arabica, attiva nello Yemen, ha subito emesso un comunicato di vittoria dopo la presa del potere dei Talebani a Kabul. Esterna alla galassia qaedista, anche un altro movimento armato islamista, Hamas (emanazione palestinese dei Fratelli Musulmani) da Gaza si è complimentato con i Talebani. Peggio ancora: l’Afghanistan, proprio come il territorio dello Stato Islamico dopo il 2014, potrebbe funzionare da catalizzatore per estremisti, terroristi e aspiranti terroristi, desiderosi di vivere la storia e l’epopea della terra in cui è stata sconfitta l’America (il “Grande Satana”).
Terzo: se non mancano gli uomini, a maggior ragione non mancano le armi e l’equipaggiamento militare a loro disposizione. Dopo il collasso dell’esercito afgano, 352mila uomini armati, tutto l’arsenale è a disposizione dei Talebani e del primo che se ne vuole impossessare. Secondo una stima recente statunitense, gli armamenti forniti negli anni di addestramento all’esercito di Kabul ammonterebbero a 7.000 mitragliatrici, 4.700 Humvee e 20mila granate, numerosi droni da ricognizione e 200 velivoli di vario genere. Le scene a cui abbiamo assistito in questi ultimi due mesi sono eloquenti: miliziani talebani che si filmano, trionfanti, a bordo degli elicotteri abbandonati a Herat. Mostrano con orgoglio le montagne di armi e mezzi sequestrati. Nella sola base di Sultan Khil, nella provincia di Wardak, i guerriglieri hanno messo le mani su 70 fucili di precisione, 900 armi da fuoco individuali, 30 Humvees, 20 pickup e 15 veicoli corazzati. Container carichi di telefoni satellitari, granate e mortai, ancora con la scritta “Proprietà del governo statunitense”, sono ora nelle mani degli “studenti” coranici. Ha fatto scandalo, all’aeroporto Kabul, il video di una montagna di armi leggere abbandonata all’aeroporto, alla mercé del primo che passa a prenderle. Il Pentagono, che non ha avuto il tempo, né di ritirare né di distruggere le armi lasciate in Afghanistan, ora non ha alcun piano pronto per andarle a recuperare.
Quanto tempo occorrerà prima di parlare di nuovo del terrorismo che viene dall’Afghanistan? Il generale Mark Milley, capo degli Stati Maggiori Riuniti americano (di fatto il comandante in capo) ha ammesso in Senato che dovrà rivedere le stime sui tempi di ritorno del terrorismo in Afghanistan. Nel precedente rapporto, in giugno, il rischio era considerato “medio”. Ora, ammette, i tempi del ritorno della minaccia terroristica in Afghanistan, potrebbero essere molto più rapidi del previsto.