Cure a casa ok, fu omissione di soccorso di Stato
Lancet approva gli studi sulle terapie domiciliari precoci a base di antinfiammatori, tra i quali svetta l'indometacina: «Riducono il 90% delle ospedalizzazioni». Corriere e media esultano solo ora, per la Bussola è una notizia "vecchia" di due anni. Anni segnati da cure negate nel nome della vigile attesa di Speranza & Co e nell'imposizione dogmatica del vaccino. Ora chi pagherà per le migliaia di morti curati tardi, per gli ospedali collassati e per i medici sospesi o indagati?
La prestigiosa Lancet Infectious Disease ha messo una parola definitiva sulla bontà delle terapie precoci domiciliari a base di antinfiammatori nella cura del covid. Per il Corriere della Sera, che ieri ci ha fatto l’apertura del giornale on line per qualche ora, è una notizia. Per i lettori della Bussola è quello che giornalisticamente si chiama un cavallo di ritorno perché è una notizia che ritorna e che è stata ampiamente digerita sulle nostre colonne.
Non solo perché a scrivere il lavoro su Lancet è il prestigioso Istituto Mario Negri (leggi QUI lo studio), ma anche perché tra i principali studi analizzati con favore c’è il protocollo Fazio-Bellavite a base di Indometacina. Il Mario Negri, infatti, è lo stesso Istituto che aveva prodotto un’indagine retrospettiva di successo (a base di ibuprofene o nimesulide) e di cui la Bussola aveva parlato nel silenzio assordante del mediasystem nell’aprile del 2021, intervistando il clinico principale che la aveva adottata, il dottor Fredy Suter dell’ospedale di Bergamo.
Del protocollo Fazio-Bellavite, invece, e di come l’indometacina (associata a Quercetina e Aspirina a basse dosi) sia il miglior antinfiammatorio con caratteristiche antivirali in chiave anti covid abbiamo parlato lungamente (QUI, QUI, QUI).
In tutti i casi la Bussola ha sposato le cure precoci con antinfiammatori e lo ha fatto in tempi non sospetti (leggi il dossier COVID AT HOME), nel corso di questi due anni. Tempi nei quali parlare di terapie domiciliari poteva costare l’ostracismo, tempi in cui difendere terapie a base di farmaci che non fossero la Tachipirina è costato ai giornalisti liberi l’accusa di essere negazionisti del covid e ai medici il lavoro. Ricordate il caso del dottor Alberto Dallari, indagato per le sue cure? E i tanti medici sospesi perché curavano come Gerardo Torre? E quelli emarginati? Ricordate la censura contro i medici di Ippocrateorg? E il comitato per le terapie precoci lasciato fuori dal Ministero? Tempi, insomma, in cui la parola d’ordine era vaccino e non cure.
Ebbene. Da oggi anche il Corsera deve ammettere a titoli cubitali che «gli antinfiammatori riducono le ospedalizzazioni del 90%», una percentuale che il vaccino si sogna di raggiungere, come abbiamo purtroppo visto.
I dati nel concreto.
L’articolo deve iniziare dicendo che i vaccini hanno contribuito nella riduzione dell’infezione da Covid 19, ma subito dopo introduce un “tuttavia” che dirige finalmente lo sguardo sulle cure e non sull’inoculo «per ridurre la grave malattia, il sovraffollamento degli ospedali e costi di trattamento».
Nel loro lavoro, Remuzzi & co illustrano i meccanismi patogeni alla base dei processi infiammatori della fase iniziale del Covid e analizzano il criterio per l'utilizzo di farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), nonché le prove del rischio-beneficio in ambito domestico e comunitario. In sostanza – spiegano – i FANS inibiscono la COX2, (ciclossigenasi), un enzima coinvolto in diversi processi fisiologici e patologici e che scatena la ormai nota tempesta citochinica, che poi è la vera responsabile della morte di migliaia di pazienti covid arrivati tardi in ospedale perché curati tardi e male a casa.
Molti gli studi citati che hanno coinvolto un totale di 5000 pazienti. C’è anche quello del Mario Negri che ha confrontato due coorti di 90 pazienti ciascuna, una trattata con FANS e l’altra con altre indicazioni mediche, tra cui il paracetamolo. Si è notato che il gruppo trattato con antinfiammatori «ha ridotto del 90% il numero complessivo di giorni di degenza ospedaliera e dei relativi costi di trattamento».
Promossi, dunque, antinfiammatori a base di ibuprofene, naprossene, nimesulide, diclofenac, celecoxib, meloxicam e piroxicam. Ma soprattutto l’indometacina i cui dati vengono definiti «più convincenti».
Partendo dagli studi in vitro dice che l’indometacina ha mostrato un effetto antivirale nella cura del Sars-CoV ed è un inibitore a largo spettro sia dell’enzima Cox 1 che Cox 2. Dunque, è in grado di fermare la tempesta citochinica sul nascere. Nella comparazione con altri farmaci, come ad esempio, il celecoxib, chi ha usato l’indometacina ha ridotto l’ospedalizzazione.
Viene citato dal Mario Negri anche lo studio retrospettivo fatto dal professor Serafino Fazio (secondo lo schema messo a punto con Paolo Bellavite, patologo dell’Università di Verona e firma della Bussola) che ha coinvolto 158 persone in cui il farmaco viene somministrato entro 3 giorni dai sintomi. Anche in questo caso si è azzerato il rischio di ricovero. E soprattutto si parla di un trial clinico randomizzato indiano che ha valutato «l’efficacia e la sicurezza dell’indometacina anche nei pazienti ospedalizzati».
C’è spazio anche per l’Aspirina, che viene approvata per il suo apporto antitrombotico a basse dosi (esattamente come nel protocollo Fazio-Bellavite) in grado di ridurre non solo l’ospedalizzazione, ma anche la mortalità.
Nelle conclusioni, l’Istituto di Remuzzi scrive: «I principali FANS raccomandati sono indometacina, ibuprofene e aspirina, spesso come parte di un protocollo multi farmacologico».
«Si tratta di una pietra miliare – ha commentato con soddisfazione alla Bussola il professor Fazio – per l’autorevolezza dell’autore dello studio (il Mario Negri, ndr) e della rivista». Rivista, fa notare Fazio, che è stata fin da subito a favore dei vaccini. «Il fatto che scenda in campo così favorevolmente per le cure domiciliari dovrebbe sdoganare definitivamente questo approccio terapeutico».
Ma soprattutto dà ragione di un metodo scientifico che in questi due anni è stato denigrato e censurato: quello della cura sul campo. Le evidenze a cui il Mario Negri e Lancet arrivano oggi, non sono altro che il lavoro sotterraneo di medici che nel silenzio e nell’ostilità degli stessi ordini dei medici hanno continuato a curare e a somministrare in scienza e coscienza i farmaci che ritenevano più adatti sfidando apertamente la raccomandazione criminale della Tachipirina e vigile attesa “imposta” dal Ministero nel corso di due governi, sia il Conte II che l'esecutivo Draghi. Una raccomandazione che ha causato migliaia di morti nel letto di un ospedale, dove i pazienti arrivavano quando ormai era troppo tardi. Una raccomandazione che ha costretto gli ospedali a intasarsi e che alla fine ha indotto ad affidarsi al vaccino come unico rimedio miracoloso pur in assenza di studi sulla sua sicurezza.
Di questi ritardi, di questa cieca volontà a non guardare la realtà, ma ad affidarsi solo all’ideologia nella speranza di un vaccino miracoloso e remunerativo per le grandi case farmaceutiche, qualcuno adesso dovrebbe rispondere. A cominciare dal Ministero dove si è fatta letteralmente la guerra ai medici che visitavano a casa. La responsabilità politica di Roberto Speranza è evidente e sotto gli occhi di tutti. Per proseguire con l’Aifa che addirittura si è scontrata in tribunale con chi proponeva cure e per finire con i giornali.
C’è un articolo di Repubblica che in queste ore sta tornando a circolare. È datato 16 marzo 2020, nel pieno della prima ondata pandemica. Dice: «Non prendete antinfiammatori». Di titoli così il web è pieno. Intanto la gente era a casa con i polmoni in fiamme ma senza essere visitata. Invece la soluzione era a portata di mano, ma è stata nascosta. Ma si può dire soltanto oggi che l’intento di vaccinare oltre il 90% della popolazione è stato raggiunto.
Un'omissione di soccorso di Stato sconcertante, che appare sempre più evidente col passare del tempo e il diradarsi della cortina fumosa di interessi sul vaccino. A prezzo però di morti che potevano essere risparmiate e di danneggiati da vaccino che avrebbero rinunciato volentieri all’inoculo sperimentale se solo qualcuno avesse detto loro che il covid si poteva curare a precise condizioni.