«Sentivo i polmoni bruciare, ma il medico non mi visitava»
Mentre sui protocolli Covid at home siamo ancora fermi alle promesse del viceministro Sileri al comitato dei medici per le cure precoci, il professor Remuzzi dell'Istituto Mario Negri annuncia alla Bussola: «Avviato uno studio controllato con lo Spallanzani, presto i risultati». Ma si continua a finire in ospedale per scarse cure tempestive a casa. Le storie di abbandono terapeutico raccolte dalla Bussola di pazienti, anche anziani, salvati dal gruppo di medici Ippocrate.
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Cure domiciliari, siamo ancora indietro, intanto i malati continuano ad arrivare all’ospedale perché curati male a casa o non curati affatto. Dopo l’incontro col viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri del Comitato Terapie domiciliari covid 19 nato dall’esperienza del gruppo di medici Ippocrate, sono seguite le relative promesse del viceministro pentastellato, ma ancora non si vede una revisione dell’attuale protocollo medico, insufficiente, emesso con circolare del 30 novembre dal ministero.
Si muove qualcosa nell’opinione pubblica: parlamentari, sindaci e governatori, ultimo il caso dell’Umbria che sta seguendo i passi del Piemonte, stanno cercando di spingere per un aggiornamento delle linee guida che al momento prevedono il dominio incontrastato della Tachipirina e della vigile attesa. Chi si sta dando da fare è uno dei primi sostenitori della necessità di curare precocemente il covid da casa con farmaci antinfiammatori.
Il professor Giuseppe Remuzzi (Istituto Mario Negri) ha deciso di passare all’azione e sta studiando un apposito protocollo costruito sulla base delle evidenze cliniche emerse nel corso di quest’anno. «Abbiamo avviato uno studio controllato approvato dal Comitato Etico dello Spallanzani – spiega Remuzzi alla Bussola - e i risultati saranno disponibili a breve. A quel punto avremo tutti gli elementi (a rigor di scienza) per poter parlare di cure a casa».
Qualcuno che non si accontenta della fallace illusione data dalla priorità vaccinale c’è, perché da qui all'immunizzazione della popolazione, se mai si arriverà, trascorrerà molto tempo, anche un anno e in questo anno bisogna continuare a curare per evitare di continuare con la prassi che si continua a vedere ancora oggi nonostante dal secondo mese di questa pandemia si sappia che il covid va curato.
Si sprecano dunque le storie di abbandono terapeutico di pazienti che non sono stati curati adeguatamente a casa e poi sono dovuti andare in ospedale. Storie che la Bussola sta raccontando in questi giorni (qui e qui).
Come il caso di due anziani coniugi toscani, Ugo e Mirella. 84 anni lui, 81 lei. «Sono stati lasciati a casa con la Tachipirina e il medico non si è fatto sentire per dieci giorni – racconta alla Bussola il dottor Antonio Palma, uno dei coordinatori dell’esperienza di Ippocrate -. Stiamo parlando di persone che abitano in un piccolo centro di 3.000 abitanti dove il medico conosce anche i quadri appesi al muro, quindi assolutamente gestibili anche con visite a casa. Invece, la figlia ci ha chiamato perché vedendo la madre, affetta anche da demenza, ha capito che c’era qualcosa di grave». Palma ha detto loro di procurarsi immediatamente un saturimetro e poi, con una video chiamata ha provato a vederli in faccia: «Mi sono reso conto che il marito ormai respirava a fatica. Ho detto di non chiamare nemmeno l’ambulanza, ma di dirigersi subito in pronto soccorso e ho telefonato personalmente all’ospedale per annunciare l’arrivo dei due pazienti».
C’è poi chi, se non fosse stato per l’intervento tempestivo di Ippocrate, oggi racconterebbe un’altra storia probabilmente dalla corsia di un ospedale, come il caso di Luca e Lena, coniugi di Lugo di Romagna. È la moglie, una maestra di canto, a raccontare la sua storia alla Bussola: «Prima di Natale ricevo la telefonata di un mio allievo che mi informa di essere positivo. Iniziano i soliti sintomi. Il 27 dicembre anche mio marito si sveglia con la febbre alta. Il medico al telefono ci dice di fare solo Tachipirina e di aspettare. Ma qualche cosa non mi tornava». Lena trova così il contatto di Ippocrate.
«Il dottor Palma è stato super efficiente: ci ha detto di non stare ad aspettare l’esito del tampone, ma di iniziare subito le terapie. Se non fosse stato per lui saremmo andati senza dubbio in ospedale».
Chi invece in ospedale ci è stato è Luca Golinelli, 56enne di Mirandola (MO): «Alla Vigilia di Natale ho iniziato con febbre, il 25 ho mandato un messaggio al mio medico: avevo un mal di testa lancinante e febbre a 38 e mezzo, ma non mi dice nemmeno di fare il tampone, solo paracetamolo. Dopo giorni di attesa inutile, il lunedì seguente vado in un centro medico privato e mi faccio un tampone: positivo».
A quel punto per Golinelli inizia un calvario: «Il settimo giorno la saturazione è già scesa a 92, sento i polmoni bruciare, finalmente vado in pneumologia e mi diagnosticano una polmonite bilaterale. Inizio le cure e rimango ricoverato 13 giorni. Ora sto bene, ma la paura è stata tanta, mentre le cure iniziali assolutamente insufficienti».
Di storie come queste sono piene le case di tutt’Italia. Storie di abbandoni terapeutici, per negligenza dei medici o per paura degli stessi dottori che temono di dove rischiare del loro se si scostano da quelli che sono i protocolli ministeriali. Che devono cambiare al più presto se non vogliamo rimanere invischiati in questa pandemia ancora a lungo, indipendentemente dal successo della campagna vaccinale.
3/FINE
-1/«NOI, ABBANDONATI A CASA»
-2/«COSI' PAPA' E' STATO ABBANDONATO SENZA CURE