«Le attese nelle cure si sono rivelate dannose»
Lo studio del Mario Negri è la prima pubblicazione controllata sul trattamento precoce domiciliare del Covid: «Pochi, semplici trattamenti antinfiammatori e solo il 2,2% ricoverato». L'infettivologo Fredy Suter, coordinatore della ricerca guidata dal professor Remuzzi, alla Bussola. «La vigile attesa con Tachipirina non è stata vincente: si è rivelata dannosa». La soluzione era a portata di mano? «Serviva il coraggio di uscire dagli schemi».
- LA LEGA PUNTA SUL COVID AT HOME di Paolo Gulisano
«Pochi, semplici trattamenti». È condensato in un sostantivo e due aggettivi il cuore del primo studio italiano sul trattamento precoce del Covid 19, che dimostra come sia discutibile la logica della vigile attesa con paracetamolo e suggerita dal Ministero della Salute e dall'Aifa.
A parlare è il primario emerito di malattie infettive dell'Ospedale Papa Giovanni XXIII, Fredy Suter. Un esperto nell'ambito infettivologico, ma anche il referente clinico dello studio appena pubblicato e condotto dall’Istituto Mario Negri guidato dal professor Giuseppe Remuzzi. La ricerca, dopo essere stata autorizzata dal comitato etico dello Spallanzani di Roma, è arrivata a confermare le evidenze di molti medici di medicina generale che da mesi ripetono che il Covid si sconfigge a casa e non in ospedale.
Lo studio va così a proporre un protocollo fatto di antinfiammatori FANS che ha già conseguito un risultato: di tutti i pazienti trattati, solo il 2,2% è stato ricoverato in ospedale. Un risultato che Suter (in foto), in questa intervista alla Bussola, definisce «molto incoraggiante».
Professore, qual è il disegno del vostro studio?
Con uno studio retrospettivo, che è consistito nella cura di 90 pazienti forniti da 7 medici sparsi per l’Italia che si sono resi disponibili a sottoporre i loro pazienti alle nostre terapie e 90 pazienti come gruppo di controllo.
Che cosa significa retrospettivo?
Che siamo andati a ricercare a posteriori dalla banca dati del Mario Negri, 90 pazienti che per età e caratteristiche si avvicinavano ai nostri e erano stati trattati precedentemente con approccio tradizionale.
«I DANNI DELLA VIGILE ATTESA»
E il risultato?
Su 90 pazienti trattati con antinfiammatori solo 2, cioè il 2,2% ha avuto necessità di un ricovero. Nell’altro gruppo in 13 pazienti sono stati ricoverati. Significa che abbiamo ridotto il numero dei ricoveri dell’80%.
È fondamentale il tempo di intervento, trattandosi di fase precoce?
Assolutamente sì. Come noto il Covid presenta due fasi: una prima prettamente virale in cui il virus si moltiplica e che dura fino a sei-otto giorni ed è simile all’influenza. Successivamente il virus può attivare un enzima, chiamato Cox 2. Si tratta di un enzima proinfiammatorio che in una minoranza di casi esita in una fase flogistica, con reazioni esasperate e dannose.
La cosiddetta tempesta di citochine?
Esatto, e la polmonite. Ma anche gli episodi di trombosi.
Qual è la vostra “ricetta”?
Combattere l’infiammazione fin da subito, iniziando il trattamento immediatamente all’insorgere dei primi sintomi.
Ma non bisogna aspettare il tampone?
Noi crediamo di no: quando una persona mi dice che ha tosse, febbre e non sta bene, lo tratto subito da Covid il prima possibile con i protocolli da noi proposti.
Perché?
Attese eccessive nel ricoverare i pazienti gravi e ritardi nelle cure possono rivelarsi molto dannose.
L’accoppiata vigile attesa-paracetamolo e tampone ha creato problemi?
Diciamo che non è stata vincente perché stare a casa e aspettare che possa venire l’infiammazione e la tempesta citochinica si è rivelato non redditizio in termini clinici.
«COMBATTERE L'ENZIMA COX 2»
Torniamo a voi…
Dato che l’obiettivo è quello di scongiurare l’infiammazione successiva, noi cominciamo subito con gli antinfiammatori andando a scegliere preferibilmente quelli che inibiscono l’enzima attivatore Cox 2 (o ciclossigenasi 2).
I cosiddetti FANS?
Brufen, Oki, Voltaren tanto per citare i più noti che agiscono sia sulle Cox 2 che sulle Cox 1, ma i più efficaci anti Cox 2 sono il celebrex e il nimesulide, il principio attivo dell’Aulin.
Il tanto vituperato Aulin? Ma non era “caduto in disgrazia”?
È un farmaco antinfiammatorio tuttora molto diffuso, diciamo che era stato ridimensionato perché ha una tossicità epatica e può dare gravi epatiti, ma stiamo parlando del suo utilizzo a lungo trattamento. D’altra parte tutti gli antinfiammatori hanno effetti collaterali a lungo termine e devono essere gestiti da medici esperti. Non è certo il problema dei casi di Covid, che si esauriscono in appena due settimane.
Nel vostro studio parlate anche dell’Aspirina…
Sì, agisce sulle Cox 1 e 2 anche se meno specifica sulle 2, ma ha il merito di avere un’azione antitrombotica.
Nella vostra ricerca non vi siete concentrati sul cortisone…
Resta in assoluto il miglior antinfiammatorio, ma impiegato in fase iniziale del virus rischia di abbassare le difese immunitarie, che invece devono lavorare a pieno regime, meglio usarlo nella seconda fase in presenza di polmoniti o di flogosi.
USCIRE DAGLI SCHEMI
Crede che, leggendo la vostra pubblicazione, il governo si renderà conto che si deve subito correggere il tiro e modificare le attuali linee guida che prevedono in fase iniziale vigile attesa e paracetamolo?
Non lo so, non dipende da noi. Mi accontenterei che molti sanitari potessero sperimentare il nostro approccio e che si accettasse serenamente che il metodo della vigile attesa possa considerarsi superato.
Se ci fossimo mossi per tempo, sarebbe cambiato qualcosa?
Chissà. Certo è che quando hai una malattia nuova devi avere il coraggio di uscire dagli schemi. Insomma… diciamo che è andata così.