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INTERVISTA A DALLARI

«Ho curato, non ho ucciso: così colpiscono le terapie»

«Ho insistito io per il ricovero dal giorno prima, ma l'Usca non è mai arrivata e in ospedale lo tranquillizzavo. Come potrei aver provocato la sua morte dopo un mese?». E' indagato dalla procura di Ferrara per la morte di Mauro Gallerani, i media gli danno la caccia in garage, gli hanno sequestrato telefonino e pc. Ma in questa intervista alla Bussola, il dottor Alberto Dallari esce allo scoperto per fare luce su tutto. Preoccupato? «No, ma la Polizia mi ha chiesto se sono no vax (cosa che non sono) e se frequento associazioni cattoliche: ma che cosa c'entra?». «Ho lavorato 40 anni nell'emergenza, so gestire decisioni repentine e restare lucido. Con Ippocrate ho curato 400 pazienti: solo un decesso e tre ricoveri. Vogliono criminalizzare le terapie domiciliari usando questa storia».

Attualità 17_10_2021

«Ci sono i messaggi che testimoniano il mio interesse costante verso Gallerani, i farmaci prescritti sono quelli che si danno a tutti i pazienti nelle sue condizioni, i ritardi nella cura non sono stati certo i miei: l’Usca, ad esempio, non è neanche arrivata tanto che il giorno dopo si è reso necessario il ricovero». Al termine della settimana che gli ha sconvolto la vita, il dottor Alberto Dallari decide di passare al contrattacco per raccontare del caso di Mauro Gallerani, il paziente sessantottenne morto al Cona di Ferrara dopo essere stato in terapia intensiva per 30 giorni.

Dopo la segnalazione dell’ospedale, la Procura di Ferrara ora indaga per omicidio colposo, omissione di soccorso, oltre a colpa medica grave e punta i fari sull’associazione Ippocrateorg che in questo anno di pandemia ha creato una rete di medici disposti a curare i malati covid che non erano seguiti dai medici di base, inchiodati al protocollo della Tachipirina & vigile attesa.

Dopo la sua intervista in esclusiva al quotidiano modenese diretto da Giuseppe Leonelli, La Pressa, nel corso della quale ha raccontato la sua verità sulla gestione di Gallerani, per Dallari è iniziata la vera e propria caccia al mostro. È stato rincorso dai cronisti persino in garage, la sua privacy è stata sconvolta dall’irruzione in casa delle forze dell’ordine che, su mandato del pm Ciro Alberto Savino, gli hanno sequestrato per 24 ore il pc e il telefonino. E per lui, medico neurologo in pensione da appena due anni, una carriera specchiata trascorsa al Santa Maria di Reggio Emilia è iniziato un calvario, che lo ha visto fin da subito dover rinunciare alla collaborazione con la casa di cura Villa Verde, che lo ha sospeso.

Ora Dallari ha deciso di rialzare la testa «perché io non mi devo rimproverare nulla» e in questa intervista alla Bussola, risponde e racconta di sé, per allontanare dall’opinione pubblica l’insopportabile etichetta di mostro mediatico da rincorrere e cercando di chiarire quei punti oscuri su cui spera che la Procura faccia luce, anche ascoltandolo.

È così, dottore? Spera che la Procura la chiami a chiarire?
Certamente, spero che mi chiami al più presto.

Facciamo un passo indietro: come sta oggi?
Sono sereno. Certo, sono affranto per quanto è accaduto, ma non leggo i giornali e mi sento con la coscienza a posto.

Chi era il medico Alberto Dallari prima di essere un “mostro” indagato per omicidio colposo?
Ho fatto il neurologo e il geriatra per 39 anni al Santa Maria di Reggio. Ho lavorato nel dipartimento di emergenza/urgenza, nell’unità stroke: sono abituato a prendere decisioni rapide e immediate, non ho mai lasciato nulla al caso né al pressapochismo.

Durante la pandemia ha iniziato a collaborare con Ippocrateorg. Quanti pazienti ha seguito?
Circa 400.

Gallerani era uno di questi o – come ha detto Mauro Rango di Ippocrate – non è passato dall’associazione?
Non è passato dall’associazione, mi era stato segnalato da una conoscente che era sua amica. Ho utilizzato il modulo di Ippocrateorg soltanto per la liberatoria.

Veniamo al 25 agosto, al giorno in cui una sua conoscente, le sottopone il caso di Gallerani.
Anzitutto è bene dire che Gallerani era un paziente già critico: usava la Cpap notturna, era obeso, 107 kg e aveva sindrome da apnee notturne. Io l’ho sempre trattato tenendo bene in mente questi fattori di rischio. Era un paziente fragile, ma respirava bene.

E che cosa ha fatto?
Gli ho fatto l’anamnesi, la presenza fisica della sua amica mi ha aiutato in questo: ho fatto le ricette e le ho inviate via WhatsApp.

Aveva insufficienze respiratorie?
No.

Che farmaci ha prescritto?
Quelli che utilizziamo per la cura delle polmoniti virali: antinfiammatorio, cortisonici, eparina e antibiotici. 

Perché Gallerani si è rivolto a lei e non ha chiamato il suo medico di base?
L’ho chiesto successivamente alla sua amica: perché il suo curante era nuovo, non lo aveva mai conosciuto, gli avevano parlato bene di me perché a Cento ho curato altri pazienti covid. Così ha iniziato a fidarsi.

E come stava quando l’ha avuto in cura lei?
Mi informavo tutti i giorni: rispondeva alle cure e stava bene, ma verso i primi di settembre si è aggravato.

E lei che cosa ha fatto?
Ho insistito per il ricovero. Gli ho detto di avvertire subito il medico curante in modo da attivare un monitoraggio più stretto.

E poi?
Il 2 settembre mi riferisce che il medico ha attivato le Usca, ma lo stesso medico non sapeva dirgli se sarebbero arrivati in giornata o il giorno seguente. 

Quindi il suo medico non lo ha mai visitato?
No, e le Usca non sono mai arrivate perché quando ha comunicato i dati della desaturazione hanno mandato l'ambulanza.

Vi siete sentiti?
Sì, lo stesso giorno prima dell’arrivo dell’ambulanza. Al mattino alle 8 aveva paura di essere già morto all’arrivo delle Usca. Desaturava, mi diceva: “Spero che l’Usca arrivi presto: ho 56/74”. Alle 11.19 mi scrive: «Mi vogliono portare a Cona». Ma era dalle 15 del giorno prima che desaturava.  

Lei ha condiviso la necessità del ricovero?
Assolutamente sì. Lo ribadisco: ho insistito io per il ricovero. 

Una volta ricoverato ha mantenuto i rapporti con lui?
Sì, ci scambiavamo i messaggi, l’ospedale invece aggiornava l’amica quotidianamente.

Una volta arrivato a Cona si è ripreso?
Sì. Ci sentivamo per telefono. Ogni giorno l’amica veniva aggiornata dalla rianimazione: è stato stabile, poi in leggero miglioramento. Fino al 9 settembre.

Che cosa succede?
Mi telefona e mi dice: “Dottore, qua non mi curano, mi porti in ospedale da lei”, era agitatissimo.

E lei che cosa ha fatto?
Ho cercato di tranquillizzarlo, gli ho detto di fidarsi dei medici, gli ho garantito che lo stavano curando bene. Ma ha riattaccato. Il giorno dopo l’amica riceve la telefonata: Gallerani era stato sedato, era andato in escandescenze, voleva dimettersi, non era lucido, evidentemente.

Che cosa significa essere sedato?
Che devi essere aiutato a respirare. Da lì è stato intubato, poi pronato e infine tracheotomizzato. Dopo un mese, il 10 ottobre è morto.

Perché si parla di omissione di soccorso?
Non lo so proprio: l’ho seguito passo passo, ho cercato di favorire la sua ospedalizzazione, sia prima che dopo, mi sono accertato che le Usca arrivassero in tempo, e poi non sono arrivate. L’ho seguito anche in ospedale informandomi sulle sue condizioni. Guardi, non lo so proprio.

Forse sta nelle cure somministrate? Si è parlato della tanto discussa ivermectina.
Un falso problema. L’Ivermectina è arrivata tre giorni dopo l’inizio della terapia, ha fatto appena tre giorni di ivermectina, che lo ribadisco, è un farmaco per uso umano e non per cavalli, usato in molte parti del mondo. È ridicolo dare la colpa all’Ivermectina, che aveva assunto, per tre giorni un mese prima la morte. È una conclusione giornalistica sensazionalistica.

E allora che cosa può essere successo? Nell’intervista a La Pressa ha accennato a eventuali responsabilità di altri.
Lasciamo all’autopsia ogni chiarimento. Ripeto: io ho la coscienza a posto come medico e come uomo.

Gallerani a parte, dei pazienti covid che ha seguito con Ippocrateorg, in quanti sono morti?
Soltanto uno: aveva una grave pneumopatia cronico ostruttiva, avevamo appena iniziato la terapia, non ha neanche reagito.

E ricoverati poi in ospedale?
Tre pazienti. Tutti critici con obesità gravi, anche 130 kg.

Perché ha dichiarato che se tornasse indietro inizierebbe una terapia più pesante?
Perché ogni medico, quando si trova a dover fare i conti con un paziente che muore, si interroga su quello che avrebbe potuto fare in più. È una reazione naturale, istintiva, ma in coscienza sento di aver agito bene. Stiamo parlando, comunque, di aggiustamenti di dosaggio, non di terapie completamente diverse o di errori.

Resta il fatto che il problema delle cure nel covid è centrale. In un contesto normale Ippocrateorg o altre esperienze come quella delle Terapie domiciliari non dovrebbero neanche esistere, perché ci dovrebbero pensare i medici di famiglia.
Appunto, in un contesto normale, ma questo non è un contesto normale. Ai medici è stato vietato di andare a far visita ai loro pazienti covid e ospitarli in ambulatorio. Non vorrei che questa storia provocasse la criminalizzazione delle cure precoci a domicilio che invece sono la vera chiave per sconfiggere il coronavirus.

Lei è anche un medico no vax, ha influito questo nel suo operato?
No, assolutamente. E non sono un no vax, che è un’etichetta che non mi appartiene, è svilente della mia professionalità, sono semplicemente un medico che ha perplessità ragionate e motivate su questi vaccini, a maggior ragione se somministrati a tutta la popolazione. Questo non c’entra nulla col fatto che Gallerani non fosse vaccinato né c’entra con la mia libertà prescrittiva in scienza e coscienza di offrire le cure migliori per tutti. A patto che non si voglia indirizzare tutto per sostenere la narrazione del paziente no vax che è stato curato dal medico no vax e poi è morto. Spero non si arrivi a tanta meschinità e irrazionalità. Ma c’è qualcosa che mi inquieta.

Che cosa?
Quando è arrivata la Polizia a casa, l’ispettore mi ha chiesto: “Lei è un no vax?” e “lei fa parte di qualche associazione cattolica?”.

Che cosa c’entra?
Appunto, che cosa c’entra? Non vorrei essere usato come grimaldello per dare un colpo alle cure domiciliari.

Che cosa pensa ora?
Penso al povero Gallerani, al quale ora vanno le mie preghiere, però in tutta sincerità mi chiedo: come avrei fatto ad uccidere io una persona morta 30 giorni dopo le mie cure?