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IL CASO

Corso per giornalisti censurato. L’Odg Lombardia cede al diktat Lgbt

Il 23 settembre doveva tenersi un corso per giornalisti dedicato al tema della disforia di genere. Tra i relatori Massimo Gandolfini. Ma dopo un articolo dell’Espresso, che lamentava la presenza del neurochirurgo leader del Family Day, l’Ordine della Lombardia ha cancellato il corso. Una decisione inquietante.

Attualità 27_09_2022
Massimo Gandolfini

La fluidità di genere può essere insegnata ai giornalisti, anche se a farlo è una persona di parte senza competenze particolari. Ma non può essere messa in discussione, anche se a farlo sono medici, neuropsichiatri, neurochirurghi che espongono dati presenti nella letteratura scientifica. Paradossi della nostra epoca che fa largo uso di termini come “diversità”, “pluralismo”, “uguaglianza”, ecc., ma alla prova dei fatti, spesso, veicola solo un tipo di visione, che è pure contraria al bene comune.

I fatti, dunque. Venerdì 23 settembre era in programma, a Milano, un corso dal titolo «Approccio alla persona con disforia di genere e medicina transgender», organizzato dalla Federazione delle associazioni scientifiche e tecniche (Fast) e da altri enti, d’intesa con l’Ordine dei giornalisti della Lombardia. La partecipazione al seminario, programmato da mesi e già svoltosi negli anni precedenti, prevedeva il riconoscimento - da parte dell’Ordine lombardo - di quattro crediti nell’ambito della formazione professionale continua. Ma un giorno prima è saltato tutto. Il come è presto detto. La mattina del 22 settembre, L’Espresso pubblicava un articolo («L’antigender Massimo Gandolfini insegna ai giornalisti come parlare di persone trans») a firma di Simone Alliva, in cui si contestava la presenza tra i relatori del leader del Family Day, nonché direttore del Dipartimento di neuroscienze e neurochirurgia e psichiatria della Fondazione Poliambulanza di Brescia. Un attacco ad personam e al contempo contro la visione fondata sulla morale naturale. A stretto giro usciva un comunicato del portavoce di Gay Center, Pietro Turano, che chiedeva all’Odg di «fornire spiegazioni e rimuovere Gandolfini dai relatori».

Risultato? A poche ore dall’articolo di Alliva - giornalista, attivista Lgbt e già relatore di corsi arcobaleno per colleghi - il sito e la pagina Facebook dell’Odg della Lombardia annunciavano la totale cancellazione del corso, senza fornire alcuna motivazione. Ci dice Gandolfini al telefono: «Il 22 settembre l’organizzatrice del corso, la dottoressa Luisa Monini, ha ricevuto una telefonata dalla segreteria dell’Ordine della Lombardia che la informava che il corso era stato cancellato. Alla domanda specifica di avere una motivazione per iscritto, le hanno detto che non ce ne fosse bisogno. L’impiegata ha solo aggiunto: “Credo che sia per la presenza di Gandolfini”». Ieri abbiamo mandato un’email all’Odg lombardo per conoscere la sua motivazione precisa, senza ancora ricevere risposta.

Ma di che cosa avrebbe dovuto parlare il neurochirurgo? «Il focus del mio intervento - ci spiega - doveva essere sullo stato delle conoscenze sulla disforia di genere. Avrei esposto i dati della letteratura scientifica che testimoniano i danni enormi subiti da bambini e adolescenti che si sono sottoposti a trattamenti ormonali e interventi chirurgici. Avrei informato i presenti come dei Paesi che sono stati dei pionieri, per così dire, nel sostenere le richieste del movimento transgender - Finlandia, Inghilterra, Svezia, ecc. - stanno facendo delle drastiche marce indietro per i disastri che si sono verificati. Avrei detto che la medicina, da sempre, sposa il principio di precauzione, dunque è giusto applicare questo principio, in primo luogo per bambini e adolescenti. Avevo preparato delle slide da proiettare, con i dati e i riferimenti bibliografici, senza ideologie».

Tra questi dati: il fatto che i pazienti che si rivolgono ai centri per il trattamento della disforia di genere presentano tassi di comorbidità psichiatrica del 40-50% (Adolescent Health, Medicine and Therapeutics, 2018, 9:13-41); tra i problemi più comuni si riscontrano ansia, depressione, autolesionismo, condotte suicidarie [Journal of Adolescent Health, 2016; 59 (5): 489-495]. Questi fatti, che i gruppi Lgbt tentano di attribuire allo stigma sociale, si verificano con caratteristiche simili in tutti i Paesi, compresi quelli più progressisti e libertini. Vedi, per esempio, il caso dell’Olanda, dove uno studio ha rilevato un aumento del 51% della mortalità tra la popolazione trans sottoposta a trattamenti ormonali (del tipo “da maschio a femmina”), rispetto alla popolazione generale: un incremento dovuto a suicidi, Aids, malattie cardiovascolari, abusi di droga e altre cause sconosciute [European Journal of Endocrinology, 2011 164(4), 635-642].

E questa è solo una parte dei dati che Gandolfini si proponeva di esporre al corso cancellato. Dati che, del resto, combaciano con i risultati di ricerche realizzate anche da organizzazioni per i diritti dei transgender, con la sola differenza - come accennato - che queste attribuiscono la colpa alla "transfobia", la quale però non spiega molti elementi oggettivi, fondati su comportamenti a rischio (vedi qui).

Un paio di riflessioni finali sul giornalismo e in particolare sulla formazione professionale continua, che da anni - da quando cioè è divenuta obbligatoria per i giornalisti - è oggetto di colonizzazioni ideologiche più volte descritte su questo quotidiano. I giornalisti hanno come «obbligo inderogabile» - a norma dell’art. 2 della legge 69/1963 regolante la professione - «il rispetto della verità sostanziale dei fatti». Rimane un mistero come si concili questo principio elementare con l’accettazione acritica di un’ideologia quale il transessualismo che fa prevalere la percezione soggettiva - il «mi sento uomo, donna, ecc.» - rispetto al reale dato biologico.

A essere vittima di questa conciliazione impossibile sono innanzitutto - insieme alla verità - le stesse persone che si pretende di tutelare assecondando le loro percezioni, le richieste di cambi di nome, eccetera: ce lo ricordano i dati drammatici cui abbiamo accennato e le testimonianze degli stessi “detransitioners”, cioè coloro che si sono pentiti dei danni arrecati al proprio corpo, rivelando l’inganno in cui erano caduti (vedi, tra i tanti, i casi di Keira Bell e Walt Heyer). C’è poi un’altra evidente conseguenza. Il fatto di assecondare Tizio che si fa chiamare Tizia o viceversa - e che come tale deve godere di una serie di diritti e prassi dell’altro sesso, riguardanti bagni, carceri, competizioni sportive, quote rosa, uso di nomi e pronomi, spogliatoi, ecc. - si sostanzia in possibili multe, cause giudiziarie e perfino licenziamenti per chi non si adegua. Un giornalismo che non solleva il problema in che cosa si distingue dall’opera di coloro che nella stampa e in altri ambiti professionali hanno avallato certe menzogne, spacciate per scienza, di regimi del passato?

Il caso di Gandolfini conferma il ribaltamento in atto: non solo si consentono corsi che negano la realtà biologica, dando valore di insegnamento a idee distruttive; ma si nega anche diritto di cittadinanza al pensiero di chi semplicemente ricorda l’importanza di rispettare la nostra natura, quella di esseri umani creati come maschi e femmine.