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HAWAII

A disagio con il trans nello spogliatoio? Problema tuo…

Honolulu, Kamehameha Schools: uno studente si "sente" donna, passa alla squadra femminile di pallavolo e inizia a frequentarne lo spogliatoio. Le pallavoliste, imbarazzate, manifestano il loro malcontento. Risultato? Un attivista Lgbt perfino le insulta invitandole a «cambiarsi in infermeria». Quel che è normale è ormai stigmatizzato. Una lezione da tener presente, specie tra i cattolici.

Vita e bioetica 01_09_2019

Non ti va di condividere lo spogliatoio con un trans? Sloggia pure, prego: quella è la porta. È una lezione che arriva dalle Hawaii, precisamente da Honolulu, dove, alle Kamehameha Schools, istituzione scolastica privata fondata nel 1887, è successo che un giovane studente sia passato alla squadra femminile di pallavolo. Un passaggio evidentemente bizzarro e motivato dal fatto che egli ora si sente trans e, quindi, più vicino al gentil sesso, che però non sembra gradire tutto ciò più di tanto.

Per la precisione, succede che questo giovane - come logica conseguenza dell’anzidetto «cambiamento» - abbia preso a frequentare gli spogliatoi femminili. Ebbene, ciò non sembra andare esattamente a genio alle pallavoliste, che non si sentono così a loro agio nel doversi denudare davanti a quello che, ai loro occhi, rimane a tutti gli effetti un maschio. Un malcontento, quello delle studentesse, condiviso con i loro genitori, alcuni dei quali lo hanno fatto trapelare all’esterno della scuola. Ne è così nato un caso di cui si è occupata, realizzandovi un apposito servizio al telegiornale, l’emittente KITV4.

Ebbene, da questo servizio e da com’è stata presentata la questione emerge un aspetto curioso e inquietante al tempo stesso, ossia che il vero problema, in tutta questa storia, non è il transgenderismo o il fatto che un maschio prenda di punto in bianco a frequentare spogliatoi femminili. Macché, no: il problema son le ragazze insoddisfatte delle pieghe che ha preso la vicenda, essendo ora obbligate, come si diceva poc’anzi, a spogliarsi alla presenza di un coetaneo - se la biologia conta ancora qualcosa - appartenente al sesso opposto.

Che le cose stiano in questi termini, e che quindi il problema sia chi non si adegua alle nuove tendenze, per così dire, è provato dalle parole di Dean Hamer, genetista, autore e regista americano componente della Honolulu Gay & Lesbian Cultural Foundation, il quale ai microfoni di KITV4 ha spiegato che le ragazze che hanno qualche difficoltà con il loro nuovo compagno di squadra «dovrebbero cambiarsi in infermeria o in qualche stanza separata». Un messaggio chiarissimo: se non sei convinto del nuovo corso ideologico Lgbt, fai meglio a nasconderti o ad andartene. Perché il problema sei tu.

Siamo insomma alla stigmatizzazione di quella che, fino a pochi anni fa, si poteva ancora chiamare con una parola banale eppure oggi impronunciabile: normalità. Il bello, si fa per dire, è che paiono esservi pochi appigli giuridici a tutela della sensibilità delle pallavoliste perplesse. I loro diritti non contano. Quanto sta accadendo è infatti perfettamente in linea con la politica adottata quasi due anni or sono dalla Hawaii High School Athletic Association, che ha «aperto», come va di moda dire oggi, alla possibilità per i trans di competere con le ragazze, senza manco porre particolari condizioni, come il (peraltro pericoloso) trattamento ormonale.

Che quanto sta succedendo alle Hawaii, per quanto bizzarro, sia purtroppo solo un antipasto di quello che accadrà anche altrove, è poi provato da alcuni episodi simili accaduti recentemente. Per esempio, questa primavera un giudice federale si è pronunciato su un caso simile in relazione a quanto avvenuto in un distretto scolastico dell’Illinois, qualificando addirittura come «lesivo» ogni tentativo da parte delle ragazze di considerare indesiderato un ragazzo trans nei propri spogliatoi.

Le pallavoliste hawaiane, tornando a noi, farebbero insomma meglio a evitare di adire le vie legali, dal momento che probabilmente si vedrebbero dare torto. Tuttavia, a ben vedere, anche questa stramba e grave vicenda presenta - per quanto indiretto - un aspetto positivo, o quantomeno utile. È una lezione che tutti, a partire dai cattolici, dovrebbero tenere ben presente: normalizzare quel che si considerava patologico comporta, prima o poi, il patologizzare quel che si considerava normale. Questo perché la società dei «diritti civili» e del «love is love» è in realtà una bomba ad orologeria, destinata prima o poi a deflagrare contro il buonsenso e contro la logica. Non se ne esce.