Corsi gender per giornalisti per scordare la natura umana
A Milano e a Roma sono programmati corsi per la formazione professionale dei giornalisti sulla comunicazione e i temi della transessualità. La direzione è ovviamente a senso unico: far passare il concetto, tipico dell'ideologia gender, che la differenza fra maschile e femminile sia solo culturale.
Nella mattinata del 12 ottobre, presso la sala conferenze del Palazzo Reale di Milano, si terrà un corso sul linguaggio da usare secondo i desiderata del transessualismo, accreditato dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia nell’ambito della formazione professionale. Già il titolo scelto dall’Odg è indicativo: «Nati in un corpo “sbagliato”. Luci e ombre nella comunicazione».
Il corso, rivolto anche ad altri ordini professionali, è di fatto parte di un più ampio convegno nella stessa sede, in programma per l’intera giornata e intitolato “Trans-Ame, trattiamo il genere”, dal nome dell’associazione dei medici endocrinologi (Ame) che lo organizza. Tra gli organizzatori figura anche l’Ala Onlus, un’associazione Lgbt di cui La Nuova BQ ha già parlato a proposito di un corso in una quinta elementare di Milano, rispetto al quale prima la preside e poi l’Ufficio scolastico regionale hanno negato la richiesta di esonero presentata da due genitori per la loro bambina (vedi qui e qui). Il corso accreditato dall’Ordine è sostenuto inoltre dall’Unamsi, un’associazione che riunisce giornalisti che si occupano di sanità.
Tra i relatori ci saranno vari membri dell’Ala e dell’Ame, assieme ad alcuni transessuali, secondo uno schema di interventi con un obiettivo preciso: contribuire a sdoganare la transessualità, come la scheda sulla piattaforma online dell’Odg rende chiaro. «La transessualità è un argomento vastissimo e antico, spesso sottaciuto e certamente misconosciuto, ma sempre rappresentato dal punto di vista storico, letterario, cinematografico, artistico, mistico [qui il punto interrogativo è d’obbligo, ndr], sociale, culturale, esistenziale. Tuttavia, quando si tratta di raccontare la cronaca, è palese una certa disinformazione che porta ad errori, alcuni dei quali dovuti proprio alla non conoscenza “di questo mondo”». La scheda, tra qualche maiuscola di troppo, prosegue così: «Questo corso vuole essere un’occasione per conoscere da un punto di vista scientifico il fenomeno TRANS per arrivare a valorizzare le strategie anti-discriminazione sui Media e nella rappresentazione pubblica delle persone transgender consapevoli che il pensiero viaggia sulle parole che, oltre ad essere un potente mezzo di comunicazione, sono uno strumento capace di produrre il cambiamento».
Il cambiamento che le organizzazioni trans vogliono produrre, agendo sulle parole, è la negazione della realtà. Basti pensare agli insulti ricevuti nelle ultime settimane dai promotori del “Bus della libertà”, il pullman di Citizen Go che sta girando per l’Italia con la scritta “I bambini sono maschi, le bambine sono femmine”: un’iniziativa per ricordare l’ovvio, che si è resa necessaria proprio alla luce della pervasività dell’ideologia gender e della pretesa di negare la natura del maschile e del femminile. A leggere i post condivisi su Facebook da due trans che insegneranno ai giornalisti come trattare i temi della transessualità, si scopre infatti che quella scritta così ovvia “semina odio”, “confonde, istiga, mistifica”, “ispira e fomenta la transfobia”, “è un incitamento all’odio gender e omo-transfobico”, eccetera (vedi qui e qui). E dovrebbero insegnare buone pratiche di comunicazione?
Ora, al di là di tutte le storture che si riscontrano quotidianamente, il dovere di un giornalista è raccontare la realtà. Chi all’interno dell’Ordine ha accreditato questo corso di formazione dovrebbe perciò spiegare se si rende conto che cosa significhi per la categoria veicolare le rivendicazioni del transessualismo, cioè di un’ideologia secondo cui la percezione soggettiva – il come ci si sente – prevale sull’evidenza oggettiva. Un’ideologia liberticida che pretende che tutti si adeguino a riconoscere questa percezione, attraverso l’uso di nomi, pronomi, documenti d’identità e perfino bagni pubblici non corrispondenti al sesso biologico. Siamo arrivati al punto che in diversi Paesi occidentali, sotto la pressione politica delle associazioni Lgbt, ci sono istituzioni che raccomandano “per rispetto” di non usare più termini come “donna incinta”, “bambino” o “bambina” e si presentano leggi che prevedono multe e a volte perfino il carcere per chi non rispetta il fantomatico diritto all’identità di genere. Se si assecondano le pretese del transessualismo, la conseguenza logica è una: anche in Italia si rischierà di essere multati per il solo fatto di essersi rivolti a un trans con il pronome che corrisponde al suo sesso biologico o perché lo si è chiamato con il suo vero nome. Davvero si vuole favorire questa deriva?
Un approccio che nega la realtà oggettiva per assecondare la percezione soggettiva di un particolare gruppo di persone ha conseguenze devastanti e dovrebbe essere superfluo ricordare che un approccio simile è la premessa dei regimi totalitari.
Nella scheda dell’Odg, come visto, si parla di far conoscere il fenomeno trans “dal punto di vista scientifico”. Ma sulla questione la scienza afferma quanto è evidente per il buonsenso, come ricorda un recente documento dell’American College of Pediatricians: «La sessualità umana è un tratto biologico binario oggettivo: “XY” e “XX” sono marcatori genetici sani, non i marcatori genetici di un disturbo. La norma del progetto umano è che si venga concepiti maschio o femmina. La sessualità umana è binaria nel suo progetto e ha per scopo palese il riprodursi e il prosperare della nostra specie. Questo principio è autoevidente. I rarissimi disturbi dello sviluppo sessuale (DSD), compresi tra gli altri la femminilizzazione testicolare [Sindrome di Morris] e l’iperplasia surrenale congenita, sono tutte identificabili devianze mediche rispetto alla norma sessuale binaria e sono a ragione riconosciuti come disturbi del progetto umano. Gli individui con DSD non costituiscono un terzo sesso».
La prima forma di rispetto è perciò dire la verità e aiutare queste persone a superare un malessere che spesso è solo transitorio, per il bene sia di coloro che oggi vivono questa confusione sulla propria identità sessuale sia delle future generazioni e dei bambini che rischiano di rovinare per sempre il proprio corpo, con tutto ciò che ne consegue: sono loro i soggetti più a rischio di fronte al dilagare di questa ideologia. Lo ricorda sempre l’associazione dei pediatri americani, dopo aver sottolineato tutti i pericoli per la salute derivanti dall’uso di ormoni del sesso opposto: «I tassi di suicidio sono venti volte superiori tra gli adulti che usano ormoni del sesso opposto e si sottopongono a chirurgia di riassegnazione sessuale, persino in Svezia, che è tra i Paesi che maggiormente sostengono gli LGBQT. […] Condizionare i bambini a credere che una vita di imitazione chimica e chirurgica del sesso opposto sia normale e sana è un abuso infantile. Avallare la discordanza di genere come normale, attraverso l’istruzione pubblica e le politiche legislative, confonderà i bambini e i genitori».
Va chiarito che il convegno organizzato dall’Ame si rivolge solo a maggiorenni e gli endocrinologi in buona fede non nascondono i rischi medici che accompagnano il cosiddetto percorso di transizione; ma ciò non toglie che assecondare una decisione che porterà a stravolgere i significati del corpo rimanga sbagliato, anche se nel solco delle leggi. E poi le associazioni e gli attivisti transessuali non si fermano a quanto veicolato attraverso questi convegni, ma fanno pressioni sulla politica per far passare tutta la loro agenda: promuovono infatti progetti scolastici rivolti perfino ai bambini dell’asilo, tanto più pericolosi se si considera che godono dell’appoggio indiretto delle linee guida dell’Oms e rischiano perciò di indurre all’errore i tanti che non sanno quanto sia politicizzata quell’agenzia dell’Onu e credono che ogni sua indicazione sia oro colato.
Il corso che si terrà a Milano non è l’unico controverso. Per il 30 ottobre è in programma a Roma il corso “Orientamenti sessuali e web”, che tra gli argomenti elenca “temi lgbt, sessismo e discriminazione in riferimento alla comunicazione web”. Tra i docenti compare Franco Grillini, presidente onorario dell’Arcigay, assieme a diversi altri giornalisti impegnati nella diffusione delle idee Lgbt, come per esempio Simone Alliva e Francesco Lepore. Quest’ultimo è caporedattore di Gay News ed è il promotore della petizione lanciata lo scorso dicembre per chiedere la radiazione dall’Ordine dei giornalisti della nostra redattrice Benedetta Frigerio, messa alla gogna per aver scritto un articolo sui drammi dello stile di vita transessuale, basato tra l’altro su dati diffusi da un’organizzazione trans.
Sebbene nell’articolo non vi fosse alcuna offesa e si spiegasse perché le politiche che favoriscono la cultura trans sono l’opposto della carità, Lepore lo aveva etichettato come pieno di "violenza verbale" e "disprezzo" verso i transgender, chiedendo all’Ordine la sanzione più grave che si possa infliggere a un giornalista. Se si predica tolleranza e si restituisce intolleranza, c’è quantomeno un’incoerenza di fondo. Ed è assurdo che un corso di formazione professionale sia tenuto da chi arriva a denigrare una collega solo perché la pensa diversamente.
I corsi di Milano e Roma sono due esempi di un tipo di formazione orientata ideologicamente, di cui questo quotidiano ha più volte parlato (clicca qui, qui, qui e qui). I corsi di formazione professionale hanno un senso se trasmettono contenuti veritieri, utili all’aggiornamento e al nostro dovere di informare correttamente. Per questo motivo, non possono finire per essere gestiti da individui e gruppi interessati all’indottrinamento dei media e attraverso i media. Si spera che i nuovi consigli e presidenti degli ordini regionali vigilino su questi abusi.