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ATTACCO ALLA NUOVA BQ

Vietato parlare dei drammi trans: cronista alla gogna

Le lobby gay danno il via alla caccia alle streghe, prendendo di mira la Nuova BQ e la cronista Benedetta Frigerio. La colpa? Aver commentato l'indagine del National center for transgender equality sulle condizioni di vita dei trans. Così è partita la petizione-gogna all'ordine dei giornalisti per chiuderci la bocca. 

Libertà religiosa 12_01_2017
Dal film The Danish girl

La caccia alle streghe è appena cominciata e c’è da scommettere che sarà lunga. Ma dato che chi ben comincia è a metà dell’opera sarà bene mettere subito giù i termini della questione: è in corso un attacco intimidatorio che punta a chiuderci a bocca limitando la libertà di espressione e di esercizio della professione. Le cosiddette lobby gay acquistano potere sfruttando lo strumento della minaccia mediatica. Come? Segnalando agli ordini professionali i comportamenti di quei professionisti giudicati secondo il loro metro omofobi. Così a cadere nella tagliola Lgbt questa volta sono state due donne, due professioniste e due cattoliche. Che cos’hanno fatto? Hanno, rispettivamente nel loro campo, quello medico e quello giornalistico, detto la verità su alcuni aspetti dell’omosessualità.

La prima ci tocca di vicino perché colpendo lei è stata colpita tutta la Nuova BQ nello svolgimento della sua opera giornalistica. L’articolo firmato dalla nostra Benedetta Frigerio “Il dramma dietro i lustrini: ecco come vive un trans” non era altro che una riflessione su dati pubblicati National center for transgender equality sul tenore di vita dei transessuali. L’indagine parlava di molestie, tentativi di suicidio, Aids, disagio psicologico con percentuali altissime. Questi i fatti. Ma a qualcuno evidentemente non sta bene che si parli di certe “controindicazioni” per non infrangere il falso mito che gay è bello e che la colpa è della società che non accettandoli li costringe a questa vita. Così si è pensato di organizzare una petizione per dare una lezione a quell’impertinente della Frigerio, la quale non ha fatto altro che il suo lavoro.

Una petizione caricata sulla piattaforma change.org per chiedere nientemeno all’ordine dei giornalisti di radiare la giornalista. Neanche accontentarsi di un richiamo. No, per certi giornalisti ci vuole l’onta massima della radiazione. La petizione parte così: “Le persone transgender sono sempre più al centro di un continuo tiro al bersaglio da parte di alcuni media. Scorrettezza lessicale, forma stereotipate, narrazioni pruderistiche sono segno di un'inadeguatezza di taluni giornalisti a trattare vicende e istanze di donne e uomini, di cui si stenta a riconoscere (o non si vuole riconoscere) l’identità di genere”. Circa l’articolo della Nuova BQ si parla addirittura di violenza verbale e si accusa la cronista di “contravvenire alle norme più elementari di rispetto verso la persona nonché di corretta informazione e incita al disprezzo verso donne e uomini transgender”. Quindi “si chiede che siano avviate le normali procedure perché Benedetta Frigerio sia radiata dall'Ordine dei Giornalisti”.

Per la verità rileggendo l’articolo, noi questo linguaggio violento non lo abbiamo riscontrato. Ci siamo soltanto limitati a fotografare una realtà utilizzando i loro stessi dati e la abbiamo commentata, esattamente come hanno fatto quelli del National center for transgender equality. Quindi: diritto di informazione e libertà di opinione. Dov’è lo scandalo? Dov’è il linguaggio violento? Forse perché abbiamo parlato di stili di vita? E’ forse diventato un reato offrire criteri morali per inquadrare la sofferenza delle persone?

A noi sembra che il linguaggio violento sia proprio questo: lanciare petizioni e manifesti per chiudere la bocca. Un vecchio vizio coccolato dalla Sinistra che alberga ancora in qualche sacca ideologicamente orientata e ben finanziata. Un tentativo estremista, con una metodologia squadrista che rispediamo al mittente. 

Ma siamo fiduciosi che l’ordine dei giornalisti, che è ancora un’istituzione seria, sappia affrontare la questione con serietà e professionalità. E soprattutto avendo ben chiaro il ruolo, anche scomodo, dei giornalisti, che non è quello di inchinarsi al sentimento comune di questo o quel potere, ma è offrire uno sguardo vero e sincero su una realtà. Intanto abbiamo provveduto a informare il presidente dell’ordine stesso Enzo Iacopino del tentativo di intimidazione e di minaccia che ci cela dietro queste petizioni. Negli anni ’70 le raccolte firme avevano il nome minaccioso di “manifesto” e sappiamo, vedi il caso Calabresi, come è finita. Di sicuro queste minacce non ci intimidiranno.

La stessa determinazione è quella mostrata da un medico, Silvana De Mari, che è finita nel tritacarne Lgbt per alcune affermazioni pubblicate sulla sua pagina Facebook. La De Mari è abituata a lottare. Anzitutto perché è medico chirurgo, e lotta contro il male. Ma anche perché è diventata la scrittrice fantasy più quotata d’Italia e i suoi personaggi lottano giorno e notte contro draghi e orchi. I suoi libri, come quelli della saga di Hania sono considerati eredi della grande tradizione fantasy anglosassone.

Ha detto che il comportamento omoerotico è contro natura. Dove ha sbagliato? Nell’intervista che la Nuova BQ le ha fatto, forse ha sbagliato a mettere a disposizione le sue competenze di medico nello spiegare il perché di quell’espressione oggi tabù. Ma questo le è costato una segnalazione all’Ordine dei medici che dovrà occuparsi della sua radiazione. In realtà come ci ha spiegato lei il disegno finale è quello di colpire il cattolicesimo perché è il concetto di vita che si vuole stravolgere. Quel concetto, anzi sarebbe meglio dire, quel bene supremo, di cui si vuole disporre a piacimento. E in questa strategia il cristianesimo rappresenta un ostacolo insormontabile. Ecco perché nelle accuse della comunità Lgbt la De Mari viene sempre definita ultra cattolica. Ma peccato che sia anche un medico battagliero. Pronta a tutto per difendere la verità.

Professioniste, donne e libere. La caccia alle streghe è iniziata. Sarà una grande battaglia per la verità.