Abusi nei bagni unisex e il trans nel carcere femminile
I dati sulle violenze nei bagni "gender free" crescono, mentre un uomo che si identifica come una donna, perciò detenuto nella prigione femminile, è stato spostato in quella maschile per aver abusato di alcune detenute. Ma la stampa continua a chiamarlo "lei" e il sistema non cambierà. Dove bisogna arrivare prima di accorgersi dei danni prodotti dalla menzogna?
Se ne prescindi e se le neghi, la realtà e la natura prima o poi si ribellanno. È per questo che ad un certo punto le ideologie, ossia il tentativo di piegare la verità del mondo alle proprie idee, crollano. Anche se spesso vengono meno solo quando la devastazione prodotta dalla menzogna ha raggiunto livelli tali da aver già convinto gli uomini della sua illusione.
Si vedono già i primi segni del male prodotto dall’ideologia relativista moderna, nella sua variante specifica della “teoria” gender, ma insieme anche il tentativo da parte del potere di continuare ad assecondarla senza però riuscire a non contraddirsi.
Giovedì scorso l’Inghilterra annunciava che un prigioniero transessuale (un uomo travestito da donna), David Thompson, di 52 anni, identificandosi come una donna (con il nome Karen White) dal 2014 ed essendo per tanto considerato tale dallo Stato, era stato detenuto in una prigione femminile nei pressi di Wakefield (Yorkshire Ovest) dove ha abusato di alcune carcerate. Nel passato di quest’uomo ci sono altre violenze verso le donne, una riguarda persino un bambino, eppure il suo “sentirsi” femmina è prevalso su tutto. Tanto che l'uomo è stato trasferito dove doveva essere dal principio, in un carcere maschile, solo dope le ultime accuse.
Nonostante tutto questo le testate inglesi che hanno riportato la vicenda da una parte giustificavano il fatto, sostenendo che l’uomo aveva cominciato ad identificarsi come donna nel 2014 senza che gli fosse stata diagnosticata una “disforia di genere”, ma dall’altra si riferivano al carcerato con pronomi e aggettivi femminili, perché così lui vuole. Significa che l’ideologia gender è arrivata ormai ad un punto per cui non serve una diagnosi particolare affinché sia impedito a qualcuno di imporre di farsi chiamare nel modo in cui preferisce, al di là che la sua idea sia o meno corrispondente alla realtà. Anche perché, come verificare se un uomo mente o meno, quando una sua affermazione non si basa su nulla di oggettivo ma su di un sentimento?
È quindi evidente la schizofrenia per cui si cerca di giustificare il fatto mettendo in dubbio la buona fede del detenuto, mentre però si teme di identificarlo per quello che oggettivamente e biologicamente è e dimenticando i dati pubblicati neppure dieci giorni fa dal Sunday Times sugli abusi in aumento nei “tolleranti” bagni e spogliatoi “gender free”. Di 134 denunce per “aggressione sessuale” in strutture pubbliche esposte nel Regno Unito fra il 2017 e il 2018, ben 120 (ossia il 90 per cento) sono avvenute negli spogliatoi “unisex” ideati per non discriminare chi, nato con un sesso biologico, pretende di appartenere a quello opposto. Il giornale rivela che stando alle statistiche si comincia a temere che i bagni e gli spogliatoi comuni, ideati per non mettere a disagio i transessuali e che per questo si stanno diffondendo sempre di più, rappresentino un pericolo per le donne.
Il problema non sono solo le offese fisiche, ma i filmati che possono essere girati negli spogliatoi delle palestre e delle piscine. Alcuni anche di origine pedofila dimostrano ancora una volta che se si accetta come normale una sessualità vissuta al di là dei limiti naturali si asseconda e favorisce qualsiasi deviazione. Non a caso, l’inchiesta del Sunday Times è partita dopo che il 51enne Darren Johnson è stato arrestato per aver filmato due 14enni mentre si cambiavano negli spogliatoi "gender free" di una piscina. Quando è stato arrestato la polizia ha trovato altre foto di donne e bambini scattate in bagni pubblici unisex. Il fatto fa quindi pensare che, oltre che alle denunce venute alla luce, questi bagni siano un richiamo per maniaci e pedofili, che spesso utilizzano filmati e foto nel settore della pornografia.
Eppure nulla cambierà. Basti pensare che dopo il trasferimento di Thompson, un portavoce del sistema carcerario si è scusato «sinceramente per l’errore fatto in questo caso», ma chiarendo che ciò non impedirà ad altri uomini che si identificano come donne «sensibili e in linea con la legge», di restare nella prigione femminile. Ma se anche dopo tutto questo il sistema non vacilla, dove bisogna arrivare prima di accorgersi dei danni che la menzogna, inizialmente capace di illudere l’uomo di una maggiore libertà e onnipotenza, produce sia in chi la abbraccia sia in tutta la società?