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DERIVA CONTINUA

Sanzioni e non solo, l’Ue rovinata dalle sue istituzioni

Alcuni fatti di questi giorni confermano il declino europeo. Il rapporto sulle persecuzioni dimentica i cristiani e promuove i diritti Lgbt; gli attacchi ideologici a Polonia e Ungheria, malgrado accolgano milioni di rifugiati; le parole sconsiderate di von der Leyen e Michel su sanzioni e armi.

Attualità 06_05_2022
Summit Bruxelles 25 marzo 2022

Il 9 maggio si celebra la Giornata europea, in memoria della Dichiarazione Schuman del 1950, ma l’Unione europea di oggi sfregia quella memoria e spinge l’intero continente alla rovina. Tre-quattro avvenimenti accaduti in questa ultima settimana.

Il primo è frutto delle molteplici votazioni in Parlamento e delle comunicazioni della Commissione europea. Il Parlamento ha approvato un Rapporto sulla persecuzione verso le minoranze religiose: peccato ci si sia dimenticati dei cristiani perseguitati, della nomina del nuovo Rappresentante speciale per la libertà religiosa (vacante dal settembre 2021), mentre invece si esprima solidarietà ad atei e umanisti e “profonda preoccupazione per l’uso improprio e la strumentalizzazione del credo o della religione per imporre politiche discriminatorie, leggi, comprese quelle penali, o restrizioni che contraddicono e minano i diritti delle persone LGBTIQ, delle donne e delle ragazze e limitano l’accesso (...) ai diritti sessuali e riproduttivi (…), all’aborto in tutti i casi”.

Europa dei popoli, quo vadis? Le proposte approvate dal Parlamento europeo, a seguito della tanto disertata Conferenza sul Futuro dell’Europa, vanno nella direzione opposta a quella tracciata dai padri fondatori e dai trattati, laddove si prevedono un accresciuto centralismo, modifiche dei trattati per diluire le ragioni nazionali, liste elettorali e candidature transnazionali (soggette a probabili campagne di lobby multimilionarie) e un federalismo accentratore di poteri, molto simile al centralismo democratico di sovietica memoria.

Non meno inquietanti gli attacchi a testa bassa del commissario alla Giustizia, Didier Reynders, che, intervenendo al dibattito sulla procedura di infrazione verso Polonia e Ungheria per violazione dello “stato di diritto”, ha ribadito che la Commissione europea userà gli strumenti a sua disposizione per difendere i valori fondamentali e gli interessi finanziari dell’Unione, contro l’Ungheria per il preoccupante “livello di corruzione” e contro la Polonia per le sue sfide al “primato del diritto comunitario e le minacce all’indipendenza della magistratura” (in realtà la “polacco-ungarofobia”, nata dalle leggi pro vita e antipedofilia dei due Paesi, cresce ogni giorno di più). Entrambi i Paesi, in prima linea nell’accoglienza dei rifugiati, non hanno ancora avuto un quattrino del proprio Recovery Fund, né per i milioni di rifugiati accolti; la Polonia invece “deve” già 160 milioni, per mancato rispetto delle sentenze della Corte di giustizia europea. Una follia totale.

Al dibattito, la presidenza di turno francese ha opportunamente evitato di presentarsi, dando prova di quella saggezza e intelligenza politica ormai scomparse a Strasburgo e Bruxelles. Non soddisfatta delle performance ottenute nei primi due giorni di lavori del Parlamento e di dichiarazioni dei commissari, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen mercoledì ha sfoderato il meglio del suo repertorio, presentando una proposta di taglio delle importazioni di idrocarburi entro sei mesi e proponendo l’idea di vietare le importazioni anche del gas dalla Russia il prima possibile. Rispetto a quest’ultima ipotesi, che la Bussola ha dimostrato essere irrealistica e improbabile, Enel ed Eni hanno confermato le difficoltà legittime del nostro Paese. Il discorso della presidente della Commissione è una conferma chiara che siamo in guerra contro la Russia, i cittadini europei devono far debiti per aiutare Kiev, la Russia è il nemico assoluto da abbattere per volere di Washington e anche a prezzo di crisi economiche, chiusura di imprese e cittadini alla fame. L’Europa dall’Atlantico agli Urali esiste ancora, ma il nuovo destino del continente, per Bruxelles e Strasburgo, è diventare una colonia del Partito Democratico statunitense.

Le parole sconsiderate della von der Leyen hanno provocato un aumento del prezzo del greggio (da 105 a 110 dollari al barile) e del gas in poche ore, aumenti che paghiamo tutti noi. A Bruxelles poco importa, men che meno che le multinazionali dell’energia stiano da mesi speculando e accrescendo i propri utili sulla pelle dei consumatori. A riprova della completa inettitudine della von der Leyen, la proposta fatta in Parlamento non era per nulla approvata dai capi di Stato e di Governo. Nella riunione informale degli ambasciatori dei Paesi europei, erano già emerse contrarietà da parte di Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Bulgaria e altri, per l’impossibilità di questi Paesi di approvvigionarsi e rendersi autonomi dagli idrocarburi russi nei sei/otto mesi proposti dalla Commissione. Ieri, l’Ungheria ha confermato l’intenzione di porre il diritto di veto, a tutela dei propri cittadini e della propria economia, sulla proposta; il ministro dell’Industria della Repubblica Ceca ha ribadito le sue obiezioni per la mancanza di garanzie di ridistribuzione nella proposta; la Slovacchia non appoggerà la scelta della Commissione; e la Bulgaria, dove la maggioranza del popolo appoggia l’invasione russa, ha già chiesto l’esenzione dall’embargo.

La ciliegina sulla torta? Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, in visita in Moldavia, promette aiuti in armi al Paese, una bugia che mostra il desiderio di guerra e che impone alla presidente moldava Maria Sandu di rettificare ufficialmente: gli aiuti europei non saranno militari ma economico-sociali. Noi festeggeremo la Dichiarazione Schuman, ma è un paradosso che coloro che oggi promuovono la guerra e la fame dei nostri popoli celebrino i padri fondatori che costruirono l’Europa perché “mai più ci fosse una guerra”.