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INTERVISTA / ALIMONTI

«Liberarsi del gas russo in 18 mesi? Improbabile»

In Italia il gas rappresenta il 40% delle fonti energetiche complessive, e il 40% del gas arriva dalla Russia. Sostituirlo non è semplice né rapido. Il governo ha promesso che in 18 mesi saremo totalmente indipendenti dal gas russo, ma ci sono fattori tecnici e politici che rendono improbabile questo obiettivo. Già un primo passo sarebbe far andare a pieno regime le sette centrali a carbone che restano in Italia, ma agli ecologisti chi glielo spiega? E per le rinnovabili ci vuole tempo ed equilibrio per evitare il disastro economico. Parla il professor Gianluca Alimonti, docente di Energetica.

Creato 02_05_2022
Centrale elettrica a gas

«Bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà», cantava Francesco Guccini negli anni ’70. Giudizio quanto mai attuale pensando all’emergenza approvvigionamento energetico provocato dalla crisi ucraina. Una crisi che ha colto di sorpresa i nostri governi e ci ha fatto scoprire di essere troppo dipendenti da una fonte energetica, il gas, e da un paese, la Russia, con cui oggi si vorrebbero tagliare i ponti e i gasdotti. Ma la crisi ucraina si innesta su un problema già presente: «Il prezzo dell’energia elettrica in Italia, che per molti anni si è mantenuto intorno ai 50 euro per Megawattora (MWh), è schizzato a circa 300 euro negli ultimi due anni, una impennata iniziata quando dell’Ucraina neanche si parlava», afferma il professor Gianluca Alimonti, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e docente di Energetica all’Università degli Studi di Milano. Dietro questa crisi ci sono diversi fattori, tra cui una gran parte giocano le politiche dell’Unione Europea volte a una rapida transizione energetica in nome dell’abbattimento delle emissioni di CO2 per contrastare il presunto riscaldamento globale di origine antropica.
In ogni caso, ora lo scontro con la Russia per l’aggressione all’Ucraina, e l’obiettivo di rompere il legame di dipendenza energetica dalla Russia, pone immediatamente il problema del gas visto che i paesi della UE importano annualmente 150 miliardi di metri cubi (mc) di gas proprio dalla Russia, il 40% circa del consumo totale.

Professor Alimonti, perché il gas è così importante e quanto davvero conta per il fabbisogno energetico?
Il gas naturale è molto importante, e lo è in modo particolare per l’Italia. Ma mi permetta di fare una premessa per far capire meglio la questione. Esistono tre settori energetici: quello dei trasporti, quello del riscaldamento, ovvero l’uso dell’energia termica, e quello dell’energia elettrica. Il gas naturale in linea di principio può essere utilizzato in tutti e tre i settori: in Italia viene bruciato in centrali termoelettriche a ciclo combinato per produrre energia elettrica; c’è poi un notevole utilizzo civile per scaldare gli ambienti e per la produzione di acqua calda sanitaria; potrebbe anche entrare nel settore dei trasporti, ma la quota di metano per trasporto in Italia è irrisoria; peraltro non va confuso con il Gpl che è invece un’altra cosa, non è il gas naturale di cui stiamo parlando.

A proposito di utilizzo civile, in Italia si usa il gas naturale anche per cucinare…
Sì, esattamente

Quindi è possibile che dopo averci invitato a non usare i condizionatori, in nome della pace il governo potrebbe anche suggerirci di privilegiare i cibi freddi: affettati, formaggi, frutta…
Eh sì, è possibile (ride)

Quindi in Italia quanto gas usiamo?
Mediamente tra i 75 e gli 80 miliardi di mc l’anno. Il che corrisponde al 40% circa delle fonti complessive che usiamo; la seconda fonte è il petrolio, usato quasi esclusivamente per i trasporti. Per quanto riguarda soltanto il settore dell’energia elettrica, questa viene prodotta per il 40% dal gas. In Europa, più dipendente dal gas c’è solo la Germania.

Ma perché noi dipendiamo dal gas molto più che gli altri paesi europei?
Si tratta di scelte che hanno a che fare sia con la geopolitica sia con la disponibilità e l’economicità delle altre fonti. La Germania oggi dipende molto dal gas anche perché ha in gran parte rinunciato al carbone per la produzione di energia elettrica; invece paesi del Nord come la Finlandia e la Norvegia usano poco il gas perché possono contare su abbondanza di energia idroelettrica. Così pure la Svizzera, che ha il 60% circa di energia elettrica prodotta da idroelettrico e l’altro 40% dall’energia nucleare. La disponibilità e la produzione poi condiziona anche l’uso delle fonti; per fare un solo esempio, paesi come la Francia che hanno abbondanza di energia nucleare a prezzo conveniente (tra l’altro noi ne importiamo dalla Francia una quantità pari alla produzione di sette reattori) usano l’energia elettrica anche per uso domestico in cucina, è più conveniente del gas.

L’Italia dunque ha puntato sul gas, ma perché siamo così dipendenti dalla Russia?
Intanto dobbiamo ricordare che quando parliamo di fonti energetiche non si può considerare soltanto il fattore puramente tecnico, anzi; si tratta anche di scelte politiche e molto anche di questioni geopolitiche. Sono fattori determinanti poi nelle scelte strategiche di ogni paese. Perché se uno non ha il gas nel proprio territorio deve per forza importarlo (l’Italia ne ha un po’, ma abbiamo molto diminuito la produzione). Per l’importazione ci sono due modi: o via tubo (i gasdotti) oppure in forma liquida attraverso navi metaniere. Se lo trasportiamo via nave deve essere per forza in stato liquido, perché allo stato gassoso ha una densità energetica talmente bassa che se ne potrebbe trasportare pochissimo. Quindi va reso liquido e poi il paese importatore deve avere disponibili i rigassificatori per trasformarlo ancora e immetterlo nella rete nazionale. Entrambi questi metodi richiedono infrastrutture importanti: nel primo caso i gasdotti, che magari possono essere lunghi anche migliaia di km. Questi ovviamente richiedono tempi di realizzazione e investimenti notevoli; inoltre vincolano in maniera indissolubile l’esportatore e l’importatore. Il gas liquido invece non ha questo vincolo, però richiede comunque infrastrutture importanti - anche il paese esportatore deve dotarsi di infrastrutture per liquefare il gas - e mediamente è più caro del gas via tubo. D’altra parte, proprio perché è meno vincolato, il paese importatore può decidere quanti rigassificatori costruire e dove, oltre che essere più libero di scegliere il miglior offerente. Ovviamente anche qui ci sono molti limiti, non è come andare al mercato e cambiare bancarella per comprare le mele. Ci sono contratti da rispettare e poi torna la questione dei fattori geopolitici.

Quindi la Russia è stata una scelta strategica.
Se l’Europa si è vincolata così alla Russia, da dove il gas arriva via tubo, è perché evidentemente c’erano convenienze economiche e strategiche per farlo. Il gas via tubo ovviamente costa meno del gas liquido. Dalla Russia arrivano in Italia 30 miliardi di mc l’anno; il secondo grande esportatore verso il nostro paese è l’Algeria, sempre via tubo: ne importiamo circa 20 miliardi di mc. Poi c’è la Libia, l’Azerbaigian più altri fornitori minori. Gas liquido invece arriva principalmente dal Qatar, ma in Italia abbiamo un solo rigassificatore di grandi dimensioni e due piccoli. Il primo è su un’isola artificiale a 15 km da Porto Levante, in provincia di Rovigo, che da solo immette nella rete 10 miliardi di mc l’anno. Gli altri due insieme arrivano a circa 3 miliardi di mc. Quindi il gas liquido in Italia copre poco meno del 20% del fabbisogno.

Il ministro della Transizione energetica, Cingolani, ha assicurato che in 18 mesi saremo indipendenti dal gas russo, e abbiamo visto in queste settimane membri del governo siglare accordi con Angola e Congo, come nuovi fornitori. Ma si tratta comunque di quantità limitate rispetto ai 30 miliardi di mc cui sopperire. Pensa che l’obiettivo dei 18 mesi sia realistico?
Qui stiamo parlando di gas liquido, vuol dire anche costruire nuovi rigassificatori o noleggiare piattaforme da mettere in mare. Ma come sappiamo non è un’operazione facile in Italia, visto che comuni e regioni insorgono ogni volta che infrastrutture del genere vengono proposte. Per cui pensare di risolvere tutto in 18 mesi… la vedo dura.

Altre possibilità di reperire gas?
Adesso si è tornato a parlare di un vecchio progetto di gasdotto, l’EastMed, mai realizzato per la forte opposizione degli Stati Uniti oltre che della Turchia. Sono stati scoperti ricchi giacimenti nel Mediterraneo, tra Cipro, Israele ed Egitto. Era stato pensato un gasdotto che avrebbe toccato la Grecia per poi finire a Otranto: così taglierebbe fuori la Turchia. Il progetto prevede la possibilità di trasportare dai 10 ai 20 miliardi di mc l’anno, una bella cifra. Ma come dicevo, c’è la forte opposizione degli Stati Uniti e della Turchia, e in ogni caso non è una faccenda che si risolve in 18 mesi.

Cosa c’entrano gli Stati Uniti?
Vede, questa è la riprova che quando si parla di energia, bisogna fare i conti con questioni di geopolitica. E questo ovviamente non è il mio settore. Però posso notare che gli Stati Uniti, disponibili a far arrivare in Europa 15 miliardi di mc di gas che potrebbero crescere fino a 50, da importatori sono diventati esportatori importanti, grazie allo shale gas ottenuto con il fracking. L’Europa è il primo partner strategico e commerciale degli USA, per cui si può intuire che Biden abbia tutto l’interesse a staccare l’Europa da altri fornitori, Russia in primis.

Ma non si può sostituire il gas con altre fonti?
Per sostituire 30 miliardi di gas equivalente certamente bisogna pensare anche a modi alternativi di produrre elettricità. Dobbiamo anche considerare che in condizioni di emergenza si devono trovare soluzioni anche in base al tempo di realizzazione e a quello che è disponibile. Per fare un esempio: sembra che torni di moda in Italia parlare di nucleare. Ma per realizzare una centrale nucleare ci vogliono almeno dieci anni a partire dal momento dell’autorizzazione. Quindi questa non è la soluzione che stiamo cercando adesso, se vogliamo sostituire il gas russo. Dalle notizie pubblicate, pare che il nuovo decreto energia che dovrebbe essere varato a giorni preveda di far tornare a pieno regime quattro centrali a carbone: Brindisi, Civitavecchia, Fusina (VE), Monfalcone. Questa in effetti sarebbe una soluzione rapida ed economica, che – a seconda delle stime – potrebbe far risparmiare da 3 a 6 miliardi di mc di gas. Se poi si allargasse l’autorizzazione anche alle altre tre centrali a carbone che abbiamo in Italia, nel complesso si potrebbe arrivare a risparmiare fino a10 miliardi di mc di gas. Sarebbe già una bella fetta. Quindi, accendiamole subito: intanto che continuiamo a ricevere gas dalla Russia, aumentiamo le nostre riserve e ci creiamo un cuscinetto.

Poi però, per le centrali a carbone, bisogna fare i conti con gli ecologisti.
Ecco, appunto, è il solito discorso. Però qui si tratta di priorità, di pesare le varie questioni in gioco. Anche ammettendo che il riscaldamento climatico possa dipendere in parte dalle emissioni antropiche di CO2, qui abbiamo una doppia emergenza. Prima la crisi economica provocata dalla pandemia, in più adesso c’è la guerra in Ucraina, i cui effetti economici – oltre ovviamente che su Ucraina e Russia – gravano in modo particolare su di noi, sull’Europa. Allora facciamo i conti: le emissioni di CO2 dell’Europa rappresentano l’8% delle emissioni globali. In Cina si stanno costruendo centrali a carbone pari all’intero parco centrali a carbone in funzione in Europa. E noi ci facciamo problemi a riaccendere tre misere centrali a carbone che abbiamo? Che ci aiuterebbero ad affrancarci in parte dal gas e anche abbassare il prezzo dell’elettricità? Ragioniamo, mettiamo sul piatto della bilancia le varie opzioni. Questa per me è utile nell’immediato, poi non necessariamente deve essere la soluzione definitiva nel medio e lungo periodo.

E le fonti rinnovabili, fotovoltaico ed eolico?
Vanno bene anche le rinnovabili, ma non sono una soluzione immediata. Bisogna fare con raziocinio, con equilibrio, con le tempistiche giuste. Altrimenti si fanno disastri come negli anni passati, col fotovoltaico abbiamo di fatto sovvenzionato i produttori cinesi. In Italia non siamo stati capaci di creare una filiera nonostante i 7 miliardi di euro all’anno per venti anni che stiamo mettendo soltanto sul fotovoltaico. Dieci anni fa installavamo 10 Gigawatt di fotovoltaico in un anno quando in Cina, che pure erano produttori di impianti fotovoltaici, ne installavano 300 Megawatt. Come mai così poca in Cina? Perché non era una tecnologia economicamente conveniente. L’elettricità prodotta con il fotovoltaico a quel tempo costava dieci volte più dell’energia prodotta con fonti convenzionali. I cinesi erano ben contenti che la comprassimo noi e i tedeschi. Qualche anno dopo il costo di produzione del fotovoltaico è diminuito molto, però noi abbiamo finito gli incentivi, e in un anno ora installiamo (dati ufficiali del 2018, ma il trend è lo stesso) 400 MW di fotovoltaico e la Cina 44 GW, cioè 100 volte più di quella che installiamo noi. Quella è politica energetica. Quindi le cose vanno fatte nei modi e nei tempi giusti.