Ru486, donne che raccontano l’inferno. E come ne sono uscite
Dopo il ribaltamento della Roe v. Wade, l’industria abortista spinge sempre più sull’invio di pillole come la Ru486. I dati della FDA testimoniano il pericolo per le donne (almeno 20 morte dal 2000 al 2019). Chi c’è passata conferma: Krissy Spivey e Dora Esparza si raccontano al Christian Post, svelando i traumi fisici e psichici legati all’aborto con pillola. E come si sono tirate fuori dall’abisso.
Dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ribaltato la sentenza Roe v. Wade, negando che vi sia un diritto costituzionale all’aborto, diversi centri abortivi hanno inviato nelle case americane pillole come la Ru486.
A confermare la pericolosità per la donna di abortire da sola in questo modo, in aggiunta all'omicidio del figlio, sono i dati pubblicati nel 2021 dalla Food and Drug Administration (Deaths and Severe Adverse Events after the use of Mifepristone as an Abortifacient from September 2000 to February 2019) che ha parlato degli eventi avversi legati all’uso della Ru486 dal 2000 al 2019. Di questi, 20 si sono conclusi con la morte della donna, 529 di loro invece sono state in fin di vita, mentre 1.957 hanno avuto conseguenze fisiche gravi. E probabilmente i numeri sono molto maggiori, data la scarsa segnalazione da parte delle donne che abortiscono.
Il Christian Post ha intervistato due donne che hanno abortito con questa pillola: Krissy Spivey e Dora Esparza. Nel marzo 2006, un mese prima che Spivey compisse 19 anni, fu violentata, perdendo da quel momento la “bussola morale”, tanto da rimanere incinta verso la fine di aprile senza sapere l'identità del padre del bambino. Spivey parlò con il gruppo della chiesa che frequentava del fatto di essere stata aggredita sessualmente, ma qualcuno non le credette. Sola, pensò di interrompere la gravidanza. Appena una compagna dell'università seppe della gravidanza - sebbene cristiana, sposata e con due figli - le diede un biglietto con il nome di un medico e l'orario di un appuntamento. Il medico la fece abortire con la pillola a 11 settimane di gravidanza, mentre l’amica era diventata fredda e distaccata. Le diedero la prima pillola (mifepristone) in clinica, poi le fu consegnata la seconda (prostaglandina) da portare a casa e prendere il giorno successivo. “Dicevano che sarebbe stato naturale, proprio come una mestruazione davvero abbondante”.
Così Spivey prese la seconda pillola e andò a lavorare portando con sé alcuni assorbenti. «Ricordo il dolore… ho pensato: “Oh mio Dio. Questo fa male. Questo non è come i soliti crampi”». Spivey andò in bagno e la quantità di sangue era tale che fu costretta a togliersi i pantaloni, ma la cosa più terribile fu vedere la sua creatura perfettamente formata ma morta uccisa: “Ricordo di essermi accovacciata, di aver guardato e visto le sue piccole braccia e le gambe minuscole e i suoi occhietti”. Totalmente in panico, Spivey non sapeva se gettare i resti della sua bambina nella spazzatura o nel water. Dopo aver deciso di gettarli nel wc, temendo che i clienti o i suoi colleghi potessero vedere la piccola nella spazzatura, scappò dal lavoro senza mai tornare: «Sentivo il vuoto… E quella sensazione di disperazione: “Oh mio Dio. Cosa ho fatto?” E non l'ho nemmeno riconosciuta come una vita fino a quando non se n'è andata e quel vuoto era lì e l'oscurità mi consumava».
Spivey ricorda i mesi in cui passava il tempo sdraiata sul pavimento, bevendo per dimenticare. Due settimane dopo l'aborto, si fece tatuare sulla schiena il nome della figlia, Mackenzie May. Circa due mesi dopo confessò tutto ai suoi genitori, che però non le credettero. A quel punto fu ricoverata nel reparto psichiatria, da cui è entrata e uscita quattro volte: «Ogni volta che uscivo, cercavo di trovare qualcun altro a cui raccontare dell'aborto, del mio bambino, dello stupro… poi tornavo dai miei genitori e loro dicevano: “Oh, vomita di nuovo bugie”». Solo nell'ottobre 2020 Spivey è riuscita a ricordare più dettagli sull'esperienza dell'aborto e i suoi genitori le hanno creduto.
Oggi Spivey racconta di come Dio abbia fatto per lei un “lavoro straordinario”. Nel 2009 si è sposata e nel 2010 ha avuto una figlia; poi, dopo aver perso tre figli a causa di aborti spontanei, nel 2016 ha partorito nuovamente. Nell'autunno del 2020, Spivey ha frequentato uno studio biblico di 13 settimane, “un percorso di guarigione interiore che ha cambiato totalmente la mia vita”. Una volta che ha iniziato a condividere la sua storia, Spivey è rimasta stupita dal numero di donne che l'hanno contattata per raccontare esperienze simili. Oggi è certa che occorra “lasciare che il Signore vada in quei luoghi nascosti che ci sembrano tanto scuri e che la luce risplenda lì”.
Esparza aveva 19 anni quando scoprì di essere incinta nel febbraio 2009: suo fratello reagì con rabbia. Chiamò quindi due amiche dicendosi spaventata, per cui stava pensando di abortire, pur essendo sempre stata pro life: “Promisero di aiutarmi a scegliere la vita”, ma il suo ragazzo voleva che abortisse: “Gli ho detto che non credevo nell'aborto e che non volevo averne uno. Mi chiese semplicemente se fossi disposta almeno a prenderlo in considerazione”. Esparza era innamorata e voleva compiacerlo. Inoltre gli amici del fidanzato “mi dicevano che l'aborto era la mia migliore e unica opzione… che eravamo troppo giovani… A quel punto ho iniziato a credere alle bugie e ho deciso di abortire solo perché avevo paura di perdere il padre del bambino e per tutte le pressioni”.
Esparza mentì alle sue amiche e al fratello dicendo loro che il test di gravidanza era un falso positivo. Il suo ragazzo fissò un appuntamento presso la clinica di Planned Parenthood a San Antonio, in Texas. Sola, seduta nella sala d'attesa, ricorda che “i fidanzati presenti non sembravano essere troppo coinvolti... ma quasi ogni donna in quella sala d’attesa piangeva”. Un'infermiera disse ad Esparza che era incinta di otto settimane, ma dopo aver ingerito la prima pillola era già pentita. Chiese quindi all'infermiera se fosse troppo tardi per ripensarci: "Mi disse che se non fossi andata fino in fondo, allora mio figlio sarebbe nato disabile… E così è arrivata la paura… di guardare mio figlio disabile sapendo che era colpa mia. Quindi, decisi di procedere”. Solo dieci anni dopo Esparza ha saputo che invece esiste un trattamento per bloccare gli effetti della pillola abortiva.
La giovane prese quindi la seconda pillola nell'appartamento del suo ragazzo. “Mi aveva detto che sarebbe stato come un normale ciclo mestruale, il che era una vera e propria bugia”. Entro 15 minuti cominciarono crampi insopportabili. Esparza si diresse verso il bagno. “Non ricordo per quanto tempo sono stata lì dentro. Direi almeno un'ora, ma ero sul water a svenire dal dolore… Era il travaglio”. Già prima di prendere le pillole, Esparza soffriva di depressione, poi iniziò a fumare e bere per cercare di non sentire il dolore. Due settimane dopo tornò a Planned Parenthood: c’erano ancora parti del suo bambino dentro di lei, avrebbero dovuto eseguire un raschiamento di emergenza. Le fu somministrato un insieme di farmaci per l'ansia e il dolore: “Ero davvero drogata a quel punto, molto insensibile a tutto ma ancora consapevole di cosa stava succedendo… la parte più difficile per me è stata semplicemente stare sdraiata lì, pensando che il mio bambino fosse un lottatore che stava facendo di tutto per sopravvivere”.
Per i successivi sei o sette mesi, Esparza smise di mangiare e di lavarsi. Lei e il suo ragazzo si lasciarono dopo qualche mese, quando lui la tradì. Tre anni dopo Esparza era ancora dipendente da stupefacenti e alcol e passava la maggior parte del suo tempo nei bar comportandosi in maniera promiscua. “Sono cattolica, quindi sapevo chi era Gesù, ma non era mai stato un Salvatore personale per me”. Solo dopo aver dato la sua vita al Signore, Esparza cominciò a vestirsi in modo rispettoso di sé stessa, smettendo di concedersi agli uomini. Incontrò infine suo marito nel giugno 2015, sposandolo dopo aver pregato e digiunato per capire se fosse la scelta giusta. Dopo essersi sposata ha avuto due figli.
Nell'agosto 2019 ha partecipato a un ritiro organizzato da La Vigna di Rachele, un ministero di guarigione che aiuta uomini e donne a riprendersi dopo un aborto attraverso la lettura delle Scritture, la preghiera e vari esercizi per elaborare le proprie emozioni. Esparza un anno fa ha iniziato a lavorare come consulente per La Vigna di Rachele, dove ha incontrato diverse donne: “Che le persone vogliano crederci o meno, c'è una maggioranza silenziosa che sta soffrendo e non condivide (la sua storia, ndr) perché è troppo dolorosa”.
Una maggioranza destinata a crescere anche in Italia, dove nell’agosto del 2020, con una semplice circolare, l'ex ministro della Salute Roberto Speranza ha esteso l’aborto farmacologico fino alla nona settimana e rimosso l’obbligo di ricovero di tre giorni (vedi qui). Impressiona il fatto che anche chi difende la scelta dell'aborto racconti storie atroci legate all’uso della pillola (contrazioni, travaglio, solitudine e intervento chirurgico finale). Ma, si sa, la Ru486 è stata inventata proprio per nascondere al pubblico l'atrocità dell'aborto.