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VIA LIBERA ALLA RU IN DAY HOSPITAL

Aborto fai da te, per la donna e i bambini non c'è Speranza

Gravissima decisione del ministro Speranza dopo il parere del Consiglio superiore della Sanità: l’aborto tramite RU486 dovrà essere fatto in regime di day hospital. Mezz’ora in ambulatorio e poi a casa dove la donna sarà lasciata sola con la morte del suo bambino tra effetti collaterali pericolosissimi e accertati ormai da tutta la letteratura scientifica. Le nuove linee guida confermano l'orientamento di molte Regioni che hanno tollerato la firma anticipata per la fine del ricovero. Ecco lo spirito malvagio della 194. 

Vita e bioetica 09_08_2020

Mentre sotto il caldo agostano siamo tutti asfissiati dalle misure di sicurezza anti-Covid per tutelare la nostra salute volute dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Governo, il Consiglio Superiore della Sanità e il Governo tolgono una misura di sicurezza a tutela delle donne che vogliono abortire. Paradossi che si spiegano benissimo con l’arsura ideologica di questi nostri governanti di rendere l’aborto sempre più fenomeno privato, usuale, ordinario.

Il ministro della Sanità Roberto Speranza, dietro il parere del Consiglio superiore della Sanità, ha deciso che l’aborto tramite RU486 dovrà essere fatto in regime di day hospital. Mezz’ora in ambulatorio e poi a casa. Queste le indicazioni nelle nuove linee guida per la somministrazione di questo preparato abortivo. Speranza ha dichiarato: «L’aborto farmacologico è sicuro. Va fatto in day hospital nelle strutture pubbliche e private convenzionate, e le donne possono tornare a casa mezz’ora dopo aver assunto il medicinale. Le evidenze scientifiche sono molto chiare. Il Consiglio di Sanità e la società di ostetricia e ginecologia hanno espresso un parere favorevole e univoco. Queste nuove linee guida sono un passo avanti importante e rispettano pienamente il senso della legge 194, che è e resta una norma di civiltà del nostro Paese». Vedremo invece che queste linee di indirizzo contrastano con le evidenze scientifiche in merito agli effetti negativi della RU sulla salute della donna e contrastano con la lettera della 194.

Partiamo da cosa dice la legge per verificare se queste nuove linee guida applicano la legge o la disapplicano. L’art. 8 stabilisce che tutto l’iter abortivo deve essere svolto presso gli ospedali o presso enti ed istituti indicati dalla legge. Non si può abortire a casa. La legge fu scritta quando l’unica modalità per abortire era quella chirurgica. Con l’avvento della RU486 il Ministero della Salute, nel 2010, redasse delle linee guida che rispettavano le indicazioni presenti nell’art. 8: l’aborto, anche quello in pillole, deve svolgersi all’interno delle strutture autorizzate e per un periodo di tre giorni. Perché un ricovero così lungo? «Per un’attenta sorveglianza sanitaria, in modo da ricevere un’assistenza immediata se si verifica un’emorragia importante», questo si leggeva nelle vecchie linee guida che ora verranno sostituite da quelle nuove volute dal ministro Speranza. Infatti l’aborto cosiddetto farmacologico - che si compone nella somministrazione di due pillole: il mifepristone, che uccide il nascituro, e una prostaglandina, che espelle il feto, da assumersi a distanza di 48 ore l’una dall’altra – non è per niente sicuro. 

In letteratura scientifica si sono segnalati questi effetti collaterali: abbondanti e prolungate emorragie, svenimenti, aumento della pressione, nausea, vomito, dolori e crampi addominali, endometriosi, aborto incompleto (cfr. R.M. De Hart, M. S. Moreheade, Mifepristone, in. Ann. Pharmacother, 2001 Jun 35 (6), studio che analizza tutti gli studi in inglese dal 1966 al 2000). A proposito di questo ultimo effetto indesiderato, segnaliamo che in Italia il 5% delle donne che hanno assunto la RU486 – le quali sono il 20% tra tutte coloro che hanno scelto di abortire - sono state poi costrette al ricovero ospedaliero per completare la procedura abortiva. Così le vecchie linee guida: «l’efficacia è del 93– 95%, e che quindi, nel 5% circa dei casi, è necessario sottoporsi comunque a un intervento chirurgico per completare l’aborto o fermare un’emorragia importante in atto».

C’è poi da aggiungere che ormai si sono registrati anche alcuni casi di esito letale a carico della donna (cfr. R. Puccetti – G. Carbone – V. Baldini, Pillole che uccidono, ESD, pp. 173-179). Infine l’aborto con RU provoca pesantissimi effetti psicologici. Il Ministro Speranza vuole aggravare questi effetti e infatti permette che la donna assista da sola a casa sua alla espulsione del feto abortito con conseguenze sulla psiche devastanti (cfr. Ibidem, pp. 179-182). Forse è per questo motivo che le nuove linee guida sconsigliano di somministrare la RU alle donne particolarmente ansiose: uccidere il proprio bambino deve essere una procedura serena e tranquilla. Speranza ha poi protratto il tempo in cui si può assumere la RU486: dalla settima settimana di gestazione alla nona. Ciò esporrà la donna a maggiori rischi psico-fisici per la sua salute.

In breve le vecchie linee guida prevedevano un ricovero di tre giorni per intervenire tempestivamente nel caso in cui qualcosa fosse andato storto, per Speranza invece basta una mezz’oretta. Curioso come nel giro di una decina di anni, secondo un triplice parere del Consiglio Superiore della Sanità espresso nell’arco di tre legislature, la RU da pillola assai rischiosa per la salute della donna sia diventata, sempre a detta del medesimo Consiglio, innocua. Potenza dei comitati tecnico scientifici a supporto delle decisioni del Governo.

Ma come siamo arrivati a queste nuove linee guida? Fondamentalmente per due fattori. Il primo: la pratica delle dimissioni volontarie spesso suggerite dai medici stessi che negli anni è andata ad aumentare (solo nel 2010-2011 eravamo intorno al 76%). Vero è che la donna doveva rimanere in ospedale tre giorni, ma con le dimissioni volontarie poteva andare a casa subito. Le vecchie linee guida ammonivano: «fortemente sconsigliata la dimissione volontaria contro il parere dei medici prima del completamento di tutta la procedura perché in tal caso l’aborto potrebbe avvenire fuori dall’ospedale e comportare rischi anche seri per la salute della donna». Le nuove linee guida, in buona sostanza, sono andate a rettificare una situazione già assai diffusa nel Paese.

Secondo fattore: negli anni le Regioni, in piena autonomia e in accordo alle linee guida del 2010, si sono discostate da queste indicazioni e hanno optato per il ricovero in day hospital. Questo è stato il caso dell’Emila Romagna, della Toscana, della Liguria, del Piemonte e della Lombardia. Fece scalpore qualche settimana fa il caso del dietrofront dell’Umbria, duramente attaccata per questa decisione controcorrente. Anche in questo caso le nuove linee guida hanno confermato de iure e per tutto il territorio nazionale un orientamento sempre più presente a livello locale.

Abbiamo accennato al fatto che queste nuove linee guida sono in contrasto con quanto prescritto dalla legge 194, ossia con quanto indicato dall’art. 8. In termini tecnici questo è vero, però ad un livello un poco più profondo di analisi è falso. Vogliamo dire che la decisione del Governo non rispetta la lettera della 194, ma rispetta la ratio della 194, ossia la sua essenza, la sua natura intima. Qual è il fine della 194? Permettere alla donna di abortire e privilegiare la soluzione abortiva di fronte a gravidanze indesiderate. Partiamo dal primo aspetto: l’aborto nella 194 è un diritto. Se è un diritto deve poter essere esercitato il più liberamente possibile. Costringere le donne al ricovero per più giorni rappresenta un vincolo a tale diritto.

Passiamo al secondo aspetto: l’aborto deve diventare dal punto di vista sociale scelta privilegiata di fronte ad una gravidanza indesiderata, così privilegiata che deve imporsi e deve essere assunta anche a costo della salute della stessa donna. Ecco allora che possiamo concludere che il ministro Speranza ha interpretato correttamente lo spirito malvagio della 194.