Parolin, il grande manovratore che vuol diventare Papa
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L'ex segretario di Stato è al momento in vantaggio, è personalmente a caccia dei voti mancanti, e c'è una gestione manipolatoria delle Congregazioni che impedisce di discutere le gravi questioni della Chiesa e quindi di far emergere anche le magagne del cardinale Parolin, dal caso Becciu al fallimentare accordo con la Cina. E la presenza a Roma del cardinale Zen....
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«È come per il Sinodo, stanno manipolando le Congregazioni generali». La delusione e la frustrazione tra i cardinali che speravano in un dialogo aperto e libero per la preparazione del conclave è palpabile. E chi sta manipolando? A gestire le assemblee dei cardinali che precedono il conclave sono soprattutto l’ex segretario di Stato Pietro Parolin (ex perché con la morte del Papa tutte le nomine ai vertici dei Dicasteri vaticani sono azzerate, esclusa quella del Penitenziere maggiore) e il camerlengo Kevin Farrell, ex prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita.
E in cosa consiste la manipolazione? Nel comprimere e pilotare il più possibile il dibattito sulle questioni più importanti per la Chiesa. Alcuni cardinali avrebbero voluto avere a disposizione anche tutta la settimana prossima, con più tempo per gli interventi, visto che c’è un numero senza precedenti di cardinali elettori – 135, ben oltre il numero massimo di 120 previsto dalla Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis (1996) -, che non si conoscono e che neanche conoscono bene la situazione della Chiesa universale; ma non c’è stato neanche il tempo di discuterne perché è stata immediatamente imposta una soluzione di compromesso al 7 maggio. C’è poi l’ordine degli interventi (alcuni cardinali lamentano di essere stati “dimenticati”), la compressione degli interventi da 10 minuti (che già sono pochi quando per la prima volta si devono affrontare temi seri) a 5.
Dopo 12 anni di un pontificato autocratico che ha accuratamente evitato la conoscenza tra cardinali, oltretutto nominati a ripetizione e presi da ogni angolo del mondo con criteri misteriosi, si poteva sperare che almeno in occasione degli incontri preparatori del conclave si potesse discutere apertamente della situazione della Chiesa e delle priorità e sfide che deve affrontare. E invece sembra prevalere la voglia di fare in fretta, giusto il tempo di assicurarsi i voti che mancano per raggiungere i due terzi necessari per la fumata bianca. Una fretta che serve soltanto al cardinale Parolin, che ha preparato il terreno molto bene negli ultimi mesi, mostrandosi da una parte vicino a papa Francesco e suo continuatore ma al contempo dando l’impressione di marcare una distanza che vorrebbe rassicurare chi ha sofferto la confusione (per usare un eufemismo) del pontificato appena concluso.
Ma è una fretta che serve a nascondere soprattutto le gravi magagne dell’ex segretario di Stato e anche un approfondimento del suo background e delle sue idee (vedi al proposito l’articolo di Luisella Scrosati).
Esemplare da questo punto di vista la scandalosa gestione del caso Becciu, grande antagonista di Parolin in Segreteria di Stato. Dopo una settimana in cui si è a lungo parlato sulla presenza o meno di Becciu in conclave, solo all’inizio di questa settimana il cardinale Parolin si è presentato alle Congregazioni generali annunciando che il caso si era risolto perché erano spuntate due lettere del Papa (settembre 2023 e marzo 2025) che ne decretavano l’esclusione.
La seconda addirittura in presunta forma di motu proprio firmata con una F. quando il Papa era già in ospedale in condizioni gravissime. Lettere che peraltro mai erano state notificate all’interessato, la cui successiva rinuncia aveva più il sapore del ricatto o della promessa di un ruolo futuro che non l’amore all’unità della Chiesa. È una situazione che ha lasciato increduli molti cardinali che però non hanno neanche avuto finora la possibilità di porre domande che risulterebbero “scomode”.
Ma le manovre di Parolin non si fermano alla consumazione della vendetta contro un suo vecchio rivale: per quanto possa al momento contare sui voti di chi propende per la continuità con Francesco (massimo una settantina, secondo esperti del collegio cardinalizio) deve trovare il sostegno di una ventina di cardinali nel campo avverso. Ecco allora che nelle ultime ore si parla di un accordo con chi era pronto a votare come primo candidato il cardinale ungherese Peter Erdo. Da nostre fonti sappiamo che è lo stesso cardinale Parolin ad aver approcciato alcuni confratelli promettendo di cancellare Traditionis Custodes (la caccia alle streghe contro il rito antico) e Fiducia Supplicans (la benedizione delle coppie omosessuali) in cambio del loro voto. E qualcuno magari si accontenta, bisogna vedere se basterà per arrivare al quorum.
Anche perché per votare Parolin bisogna chiudere gli occhi su altre questioni non di poco conto. Non tanto il fatto che non abbia alcuna esperienza pastorale (che pure sarebbe importante per un Papa), avendo sempre ricoperto ruoli diplomatici, ma soprattutto la fallimentare gestione della Segreteria di Stato. L’accordo segreto Santa Sede-Cina anzitutto: firmato nel 2018, e poi rinnovato ogni due anni e ora, dall’ottobre 2024, per quattro anni. Dovrebbe garantire alla Santa Sede di nominare i vescovi nelle decine di diocesi restate scoperte, ma finora: ha semplicemente peggiorato la condizione dei cattolici cinesi; ha legittimato la Chiesa patriottica, diretta dal Partito Comunista, abbandonando al loro destino i cattolici “sotterranei” che negli anni hanno pagato caro la fedeltà al Papa. Ma soprattutto in oltre sei anni le nomine episcopali sono state appena una decina ed è apparso evidente che si è trattato di nomine del Partito comunista a cui il Papa ha dato il suo assenso, volente o nolente.
E proprio a sottolineare questo aspetto, dopo la morte di papa Francesco sono state annunciate da Pechino altre due nomine episcopali, ovviamente senza consenso della Santa Sede: Wu Jianlin, ausiliare a Shanghai, e Li Jianlin a Xinxiang. Uno schiaffo post mortem al Papa ma soprattutto la certificazione del fallimento di un accordo che da segretario di Stato Parolin ha negoziato, firmato e difeso a spada tratta. La certificazione di una svendita della Chiesa che pure il vescovo emerito di Hong Kong, cardinale Joseph Zen, aveva in tutti i modi avversato, ovviamente inascoltato e, anzi, emarginato.
A proposito del cardinale Zen, 93enne, malgrado l’età e le difficoltà a spostarsi ha ottenuto un permesso dalle autorità cinesi (è ancora sotto processo per il sostegno alle manifestazioni pro-democrazia) ed è presente a Roma per le Congregazioni. Ma Parolin, in passato fatto oggetto di duri giudizi da parte di Zen, stavolta non sembra doversi preoccupare: parlare di Cina e di Parolin (sarebbe un attacco indiretto alla Cina) significherebbe per il cardinale Zen la prigione appena rimette piede a Hong Kong. Eppure la sua sola presenza dovrebbe essere un monito per chi pensa che papa Parolin sarebbe il male minore.