Accordi prematrimoniali, la Cassazione sdogana il matrimonio S.P.A.
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La recente ordinanza della Cassazione n. 20415/2025 ha aperto una nuova breccia nel percorso di autorizzazione degli accordi prematrimoniali. Ma questi hanno la funzione di tutelare i singoli, non la famiglia. Così, il matrimonio fondato sul dono di sé si rovescia nel suo opposto: un calcolo di utilità.
- Il matrimonio cristiano, di Alessandro Rimoldi

Partiamo dall’art. 160 del Codice civile: «Gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio». La dottrina (ossia gli studiosi di diritto) è concorde nel ritenere che questi diritti e doveri inderogabili siano di natura patrimoniale e non personali. E dunque gli sposi non possono accordarsi, prima del matrimonio o anche durante, sull’assistenza economica reciproca e sull’obbligo di contribuzione secondo le proprie capacità, decidendo ad esempio che uno dei due sposi non versi un euro per le spese della famiglia. Né tanto meno possono accordarsi sull’assegno di mantenimento in caso di separazione, ad esempio convenendo che non venga per nulla pagato. Tali accordi sono nulli a motivo della illiceità della causa, ossia proprio perché i suddetti obblighi sono indisponibili, e perché contrari all’ordine pubblico, cioè contrari a quei principi fondanti il nostro ordinamento e il nostro vivere civile (cfr. Cass. sentenza 5302/2006; Cass. sentenza n. 2224/2017; Cass. ordinanza n. 11012/2021; Cass. ordinanza n. 20745/2022).
Nel tempo qualche piccola breccia si è aperta in questo assetto. In un caso si è ammesso che l’assegno di mantenimento potesse avere una scadenza già prevista dalle parti (Cass. n. 12781/2014). In un altro caso si è puntualizzato che i doveri inderogabili di carattere economico non possono vincolare gli sposi in modo troppo stretto. E così sono stati ritenuti legittimi gli accordi che prevedevano ad esempio la restituzione di una somma di denaro avuta in prestito al verificarsi dello scioglimento del matrimonio. In questo caso, così ha argomentato la Cassazione (19304/2013), non si tratterebbe del venir meno ad obblighi matrimoniali inderogabili, bensì si tratterebbe di tutelare la libertà contrattuale tra i coniugi. Appare però evidente che tale libertà potrebbe configurarsi come condotta in frode alla legge: ossia mi avvalgo di una norma – in questo caso la possibilità della stipula di contratti atipici – per eluderne un’altra (art. 160 CC).
Vi è infine la sentenza 18287/2018 che ha sancito che l’assegno divorzile non ha solo funzione assistenziale, ma anche compensativa e perequativa. In altri termini nel quantum dell’assegno occorre considerare non solo lo stato di bisogno dell’ex coniuge, ma anche quanto ha contribuito alla vita familiare non solo in termini economici. Se dunque l’assegno divorzile è voce patrimoniale calcolabile basata su contributi e sacrifici fatti durante il matrimonio, ci si potrebbe lecitamente domandare se lo stesso assegno può essere oggetto di quantificazione previa, ossia di un accordo previo tra i coniugi.
Questo percorso teso a permettere gli accordi prematrimoniali ha registrato una tappa importante nell’ordinanza della Cassazione n. 20415/2025 del 21 luglio scorso. Con questa ordinanza i giudici hanno considerato legittimo l’accordo tra i coniugi che prevede, in caso di separazione, la restituzione da parte del marito dei soldi versati dalla moglie per la ristrutturazione di un immobile di proprietà del marito. Il ragionamento articolato dalla Cassazione è analogo a quello della sentenza del 2013: l’accordo è permesso perché espressione della legittima autonomia negoziale tra i coniugi (art. 1322 CC). La separazione non viene intesa come causa della restituzione dei soldi – in questo caso l’accordo sarebbe nullo – ma come condizione sospensiva: ti restituisco i soldi nel caso in cui ci separeremo. Sottili distinzioni da legulei. È come dire che apro l’ombrello quando piove e non perché piove.
Questa ordinanza dunque non dice che i coniugi possono pattuire in merito al contenuto dell’assegno di mantenimento o in merito ai doveri di reciproca contribuzione in seno alla famiglia, ma “semplicemente” che i coniugi possono stipulare accordi su alcuni aspetti patrimoniali nel caso in cui si separassero, accordi che però, lo ribadiamo, non possono interessare l’assegno di mantenimento. Detto ciò, però, appare evidente che, accolto il principio che ci si possa accordare su questioni economiche in caso di separazione, questo principio per analogia potrà essere applicato all’assegno di mantenimento e alla contribuzione economica in costanza di matrimonio.
Questa ordinanza, come gli altri pronunciamenti prima indicati, sta recependo alla fine gli umori e i giudizi diffusi tra le persone sull’istituto matrimoniale: “Il matrimonio deve essere una condizione che soprattutto deve rendermi felice”. Lo slittamento è evidente: dalla tutela dell’istituto del matrimonio in quanto tale, con i suoi diritti e doveri, alla tutela degli interessi del singolo coniuge da controbilanciare con gli interessi dell’altro coniuge. Quest’ultima tutela trova il suo abito migliore nel contratto che è un accordo tra le parti per mediare su interessi divergenti. Quando voi comprate un’auto, il vostro interesse è quello di portarvi a casa l’auto spendendo il meno possibile, interesse opposto a quello del venditore che vuole darvi l’auto ricavando il più possibile. Gli accordi prematrimoniali vanno in questa direzione: tutelare le esigenze contrapposte dei singoli, non della famiglia. Il matrimonio viene quindi inteso come una S.P.A. (società per azioni) in cui io entro con le mie quote e, se dopo un certo periodo, gli utili non ci sono, esco dalla società. Il contratto matrimoniale scolora in un contratto patrimoniale. Il matrimonio fondato sulla gratuità del dono di sé si rovescia nel suo opposto: è un calcolo di utilità. E, volendo fare un inciso di carattere antropologico, se prima di sposarci pensi già di divorziare vuol dire che non mi ami.
Significativa a questo proposito l’esegesi che nel tempo si è sviluppata sull’art. 160 CC il quale, come accennato, stabilisce che quando ti sposi non puoi venire meno a certi diritti e doveri. L’art. 143 CC elenca i doveri matrimoniali: fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia, coabitazione, contribuzione economica, e non solo, ai bisogni della famiglia. Come abbiamo visto, la dottrina e anche la giurisprudenza hanno affermato che l’inderogabilità dei doveri matrimoniali ex art. 160 CC riguarda solo quelli patrimoniali, non quelli personali. Dunque, dal punto di vista giuridico, i coniugi possono accordarsi di non essere fedeli, di venir meno alle responsabilità familiari, di fare ognuno la vita che vuole. La negoziabilità degli obblighi matrimoniali, non negoziabili invece per diritto naturale, si è già sviluppata da tempo su doveri ben più rilevanti di quelli di natura patrimoniale. È evidente e inevitabile che, a fortiori, tale negoziabilità poi riguarderà anche gli aspetti economici.
Di contro, chi ha redatto il Codice civile aveva in mente un’idea di matrimonio inteso come istituto le cui esigenze dovevano prevalere sulle esigenze dei singoli: se ti sposi giustamente rinunci a certe rivendicazioni, ma questo sia per il bene tuo – l’inderogabilità di alcuni doveri facilita l’osservanza degli stessi in capo ai soggetti più fragili – sia per il bene del coniuge più debole, dei figli e dell’intera società. Infatti, l’impossibilità di rinunciare ad alcuni doveri e diritti concorre alla indissolubilità matrimoniale e questo non può che essere di giovamento per tutti.
In breve, gli accordi prematrimoniali che la Cassazione pian piano sta sdoganando sono l’immagine efficace e decadente di come viene intesa la vita matrimoniale dai più: un patto societario per il benessere dei singoli che si può sciogliere preventivando ricavi e perdite reciproche. E c’è chi lo chiama amore.