Il matrimonio cristiano. Fedeltà e indissolubilità coniugale
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Fedeltà e indissolubilità sono proprietà necessarie e complementari, condizioni fondanti e non rinunciabili del matrimonio cristiano.

Il matrimonio cristiano ha le sue fonti nella sacra scrittura (Vecchio e Nuovo Testamento) e quindi nel diritto divino rivelato, nonché nel diritto divino naturale, che secondo l’insegnamento di San Tommaso d’Aquino, è il complesso dei principi impressi da Dio nella coscienza dell’uomo, in quanto «alla legge naturale appartengono le cose cui l'uomo tende per natura; e tra queste c'è la tendenza propriamente umana ad agire secondo la ragione» (Summa Theologiae, I-II, q. 94, art. 4).
Il matrimonio cristiano è solo fra l’uomo e la donna, perché la duplicità del maschile e femminile è differenza originale inscritta nella natura. Secondo il racconto biblico, Dio creò l’essere umano maschio e femmina (Gn 1,27). La donna è stata creata per l’uomo perché non è bene che l’uomo sia solo (Gn 2,18), e per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne (Gn 2,24).
Il matrimonio canonico ha natura contrattuale (si perfeziona con lo scambio dei consensi degli sposi) ed è definito dal codice di diritto canonico come il patto (foedus) «con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla generazione e educazione della prole (…) elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento» (can. 1055). Dall'amore sponsale di Cristo per la Chiesa discende il carattere sacramentale del matrimonio: l'amore degli sposi conferma l'Amore di Cristo per la Chiesa. Dalla natura sacramentale del vincolo derivano le proprietà essenziali del matrimonio (can. 1056): l’unità, che consiste nell’unicità ed esclusività del vincolo (che si instaura tra un solo uomo ed una donna con esclusione di qualunque forma di poligamia o poliandria); e l’indissolubilità, che esprime la definitività del matrimonio che non può essere sciolto per volontà dei coniugi o di qualsiasi autorità umana.
Sulla base dell’insegnamento di Sant’Agostino, la dottrina canonica ha individuato i tre grandi «beni» (elementi essenziali) del matrimonio: il bonum prolis, consistente nel diritto-dovere di generare ed educare la prole; il bonum fidei, ovvero il diritto di ciascun coniuge di pretendere l’esclusività del vincolo coniugale da cui deriva la reciproca fedeltà; il bonum sacramenti, consistente nell’indissolubilità del vincolo. Nella costituzione Gaudium et spes del Concilio Vaticano II si afferma che «è Dio stesso l'autore del matrimonio»; dall’origine divina del matrimonio consegue che l’«intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità» (art. 48).
La dottrina cristiana ha avuto il merito di favorire la piena parità dei diritti e doveri in capo a ciascun coniuge, superando la tradizionale preminenza riconosciuta in epoche passate all’uomo rispetto alla donna. Ma è soltanto con la teologia cristiana che il valore della fedeltà coniugale assume un significato tutto nuovo, disancorato dal fine della certezza della prole. Secondo l’insegnamento del Catechismo della Chiesa cattolica, la fedeltà degli sposi «esprime la costanza nel mantenere la parola data. Dio è fedele» (art. 2365). Mediante la fedeltà coniugale i coniugi rendono testimonianza della fedeltà di Cristo alla Chiesa. L’infedeltà coniugale è peccato grave condannato dalle Sacre Scritture. L’adulterio, ovvero la relazione sessuale con persona diversa dal coniuge, viola il sesto e nono comandamento: «Non commettere adulterio» (Es 20,14); «Non desiderare la moglie del tuo prossimo…» (Es 20,17). Il Nuovo Testamento proibisce l'adulterio in modo assoluto (Mt 5,32; 19,6; Mc 10,11-12; 1 Cor 6,9-10). Cristo condanna l'adulterio anche se consumato con il semplice desiderio: «Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,27-28).
L’esclusività del vincolo e la reciproca fedeltà hanno perso la dignità di elemento qualificante i nuovi modelli culturali di famiglia. Nelle unioni di fatto tende ad affermarsi quel concetto di “libero amore” che già Papa Giovanni Paolo II, oltre trent’anni fa, aveva condannato come causa di rovina delle famiglie: «Certamente contrario alla civiltà dell'amore è il cosiddetto «libero amore», tanto più pericoloso perché proposto di solito come frutto di un sentimento «vero», mentre di fatto distrugge l'amore. Quante famiglie sono andate in rovina proprio per il «libero amore»! Seguire in ogni caso il «vero» impulso affettivo in nome di un amore «libero» da condizionamenti, significa, in realtà, rendere l'uomo schiavo di quegli istinti umani che san Tommaso chiama «passioni dell'anima»» (Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie Gratissimam sane, 14).
L'introduzione del divorzio nelle legislazioni civili e il progressivo diffondersi delle coppie di fatto (prive di ogni forma di tutela di scioglimento del rapporto di coppia) insidiano l’indissolubilità del matrimonio, che trova la sua verità ultima nel disegno che Dio ha manifestato nella sua Rivelazione e nell’obbedienza alla santa volontà del Signore: «Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi» (Mt 19,6). L’indissolubilità matrimoniale è voluta e donata da Dio «come frutto, segno ed esigenza dell'amore assolutamente fedele che Dio ha per l'uomo e che il Signore Gesù vive verso la sua Chiesa» (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familaris consortio, 20).
Fedeltà e indissolubilità sono quindi proprietà necessarie e complementari, condizioni fondanti e non rinunciabili del matrimonio cristiano. L’inscindibile connessione che intercorre fra questi due elementi e la relazione d’amore trova la sua più bella definizione in un discorso che Benedetto XVI pronunciò a Fatima nel corso di un incontro con sacerdoti, religiosi, seminaristi: «La fedeltà nel tempo è il nome dell’amore» (Benedetto XVI, Fatima, omelia del 12 maggio del 2010). Essa esprime la necessità di una scelta consapevole e di un impegno costante nel tempo per custodire e preservare la lealtà alla propria vocazione, perché un’autentica relazione d’amore – a Cristo nella vocazione religiosa o sacerdotale, fra coniugi nel rapporto matrimoniale – è il frutto di una donazione totale ed esclusiva, garantita nel tempo da una promessa irrevocabile e definitiva.