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Netanyahu vola in Cina: un asse che non piace a Washington

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Non è il primo incontro del premier israeliano con Xi-Jinping, che scende in campo in Medio Oriente per dimostrare di contare più degli Usa. Un attivismo sgradito alla Casa Bianca e agli stessi israeliani.

Esteri 04_07_2023

Sarà il suo sesto viaggio internazionale, da quando, nel dicembre del 2022, è ritornato alla guida del governo israeliano. Benjamin Netanyahu volerà in Cina durante questo mese di luglio. La visita avviene poche settimane dopo quella del leader palestinese Abu Mazen, che è stato accolto con tutti gli onori in un incontro con il presidente cinese Xi Jinping e con il primo ministro Li Qiang.

L'annuncio che Netanyahu abbia accettato l'invito del presidente Xi non è stato accolto in modo favorevole né alla Casa Bianca, né tanto meno tra i cittadini israeliani. Ma anche gli analisti politici, giornalisti e soprattutto i vertici militari, non vedono di buon occhio questo viaggio in Cina, in un momento di tensione in tutta l'area mediorientale. Va detto infatti che un recente rapporto del Pew Research Center rivela che tra gli israeliani l'87% ha un'opinione favorevole degli Stati Uniti, mentre solo il 12% un parere negativo. «L'attuale visione di Israele degli Stati Uniti è la più positiva dal 2000», ha twittato Israel Nitzan, console generale ad interim del Consolato generale di Israele a New York, a proposito del sondaggio

Non è la prima volta, però, che Netanyahu incontra Xi Jinping. L'ultimo incontro ufficiale tra i due risale al 2017. Con questo invito, però, il presidente della Repubblica Popolare Cinese scende massicciamente in campo nell'area mediorientale e si propone come mediatore di storici conflitti, tra cui quello arabo-israeliano, approfittando dei buoni rapporti che Pechino intrattiene con l'Autorità palestinese. Ma anche per trarre vantaggio dalle attuali relazioni intricate tra Tel Aviv e gli Usa, con l’obiettivo di instaurare nuove opportunità diplomatiche con Israele. È evidente, infatti, che il presidente Xi, ricevendo prima Abu Mazen e poi Benjamin Netanyahu, voglia dimostrare di poter contribuire più degli Stati Uniti d'America alla stabilizzazione della regione. Tentativo, questo, molto difficile visto l'appoggio incondizionato della Cina alle rivendicazioni dei palestinesi. 

Alcuni anni fa il grande Paese asiatico aveva tentato una mediazione tra israeliani e palestinesi. Già nel lontano 2002 Pechino aveva provato di instaurare un dialogo tra le parti, e nel 2017 aveva anche ospitato un incontro nel quale si proponeva la "soluzione dei due Stati"; proposta, questa, che è stata riformulata nel corso della recente visita di Abu Mazen e che potrà essere ripresentata in occasione di una conferenza di pace "su larga scala, più autorevole e influente".  Che la "soluzione dei due Stati" sia per Xi Jinping l’unica percorribile lo dimostra il fatto, che lo scorso mese di maggio, il governo cinese con una nota aveva invitato Israele a non proseguire nell’occupazione di altro territorio palestinese, riferendosi in particolare ai nuovi insediamenti illegali ai quali Netanyahu aveva dato il via libera.

Xi ha offerto ad Abu Mazen il pieno sostegno della Repubblica Popolare Cinese sia in materia di difesa, che di sviluppo economico. Proposta, questa, che rientrerebbe nel progetto della costruzione di un nuovo ordine internazionale, in contrapposizione a quello guidato dagli Stati Uniti d'America. La Cina sta approfittando, per diventare punto di riferimento, anche della normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Iran e Arabia Saudita; l’accordo infatti è stato siglato davanti al capo della diplomazia cinese, Wang Yi, nelle stesse ore in cui Xi Jinping veniva confermato presidente della Repubblica Popolare per la terza volta. Con queste iniziative diplomatiche Pechino vuole inserirsi negli spazi geopolitici lasciati liberi dagli Stati Uniti, mostrandosi così intenzionato a contribuire alla stabilità del Medio Oriente e guadagnare la fiducia degli altri paesi mediorientali.

Ovviamente gli Usa non apprezzano questo attivismo della Cina e sono molto critici in merito alla politica, sia interna che estera, del primo ministro Netanyahu. Al punto che sono trascorsi ormai sei mesi da quando è stato rieletto premier, ma non ha ancora ricevuto alcun invito ufficiale dalla Casa Bianca. Anzi, lo scorso mese di marzo, fonti americane hanno fatto trapelare che Netanyahu non sarebbe stato invitato negli Usa a breve termine. A più riprese, sia il portavoce della Casa Bianca, che Antony Blinken, segretario di Stato dell'Amministrazione di Joe Biden, hanno invitato Netanyahu a bloccare la costruzione di nuovi alloggi in territorio palestinese. Decisione, tra l’altro, presa in un momento di forte tensione tra israeliani e palestinesi.

L'amministrazione Biden è molto preoccupata per l'intensificarsi delle violenze nei territori occupati, mentre, in Israele, proseguono le manifestazioni di piazza per bloccare l'approvazione della riforma della giustizia, fortemente voluta dalla compagine governativa. Gli Stati Uniti e le Nazioni Unite hanno definito il piano un atto illegale e un ostacolo per il raggiungimento della pace. Anche il Regno Unito, il Canada e l'Australia hanno invitato Israele a revocare la decisione di approvare la costruzione di 5.700 unità abitative aggiuntive per i coloni ebrei in Cisgiordania, e si sono detti «gravemente preoccupati». È quanto emerso in una dichiarazione congiunta rilasciata dai ministeri degli Esteri dei tre Paesi, condannando la «continua espansione degli insediamenti» che è stata descritta come «un ostacolo alla pace e agli sforzi per raggiungere una soluzione negoziata a due Stati». Ad oggi, più di 700.000 coloni israeliani vivono nei territori occupati della Cisgiordania e a Gerusalemme Est.

Proseguono nel frattempo le proteste dei cittadini ebrei contro la riforma della giustizia voluta dal governo Netanyahu e in discussione alla Knesset. Almeno 130 mila persone si sono radunate lo scorso sabato sera a Kaplan Street, a Tel Aviv, mentre gli organizzatori delle manifestazioni hanno parlato di circa 286 mila partecipanti in tutto il Paese. Alcuni manifestanti hanno bloccato l’autostrada Ayalon in direzione sud e la polizia ha arrestato due persone per disturbo dell’ordine pubblico.



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