Mozambico e Nigeria in balìa del jihad. Vescovi angosciati
In Mozambico diverse province sono infestate da al-Shabaab e il capo della polizia chiede ai civili di difendersi con ogni mezzo. In Nigeria, alle violenze dei jihadisti, si aggiungono quelle dei banditi comuni. Esempi di “Stati falliti”. E i vescovi dei due Paesi si dicono preoccupati.
Dal 2017 in Mozambico il nord è sotto la minaccia di un gruppo armato jihadista affiliato all’Isis, Ansar Al-Sunna Wa Jamma, più noto localmente come al-Shabaab. La più colpita è la provincia di Cabo Delgado, che confina con la Tanzania. A causa dell’inerzia, della corruzione e persino della complicità di autorità e forze dell’ordine, al-Shabaab, in origine composto da poche centinaia di uomini, è cresciuto al punto che ormai neanche con l’aiuto dei militari inviati da diversi Stati africani è possibile impedire che compia attentati e attacchi. Durante uno dei più recenti, quello alla missione comboniana di Chipele, è stata uccisa la suora italiana Maria De Coppi. Tutte le strutture della missione, inclusi la chiesa, l’ospedale e due scuole, sono state distrutte.
Dopo un periodo iniziale in cui limitavano le loro azioni a villaggi e aree rurali remote, i jihadisti hanno esteso il loro campo d’azione fino a minacciare i grandi centri urbani della regione. Solo nei giorni scorsi è stato riaperto il porto di Mocimboa da Praia, inutilizzato da tre anni perché la città di 70.000 abitanti è stata attaccata ripetutamente a partire dal 2020 e persino occupata dai terroristi per mesi. Il jihad in cinque anni ha già provocato la morte di 4.000 persone. Gli sfollati nella sola provincia di Cabo Delgado sono almeno 800.000, circa metà della popolazione. Il fallimento di esercito e forze di polizia nel proteggere i civili è totale. Le autorità mozambicane stesse lo ammettono con la decisione di reclutare le milizie di difesa spontanee costituitesi nel corso degli anni: in particolare i giovani dell’etnia Makonde, prevalentemente cristiana.
L’atto di resa più clamoroso è arrivato dal capo della polizia che alla fine di settembre ha chiesto agli abitanti delle province del Mozambico infestate dai jihadisti di difendersi con ogni mezzo a disposizione. “Adesso non è tempo di scappare. È tempo di resistere - ha detto Bernardino Rafael incontrando a più riprese la popolazione locale -. Quando arrivano i jihadisti dovete resistere e cacciarli usando coltelli, machete e lance. Poi uno di voi corra a chiedere alle forze di sicurezza di intervenire per aiutare a disperdere i jihadisti”. In risposta la popolazione, i giovani soprattutto, chiedono armi per difendersi perché gli avversari dispongono di equipaggiamenti moderni: esplosivi, armi da fuoco automatiche, mezzi blindati. Affrontarli con coltelli, machete e lance è andare al massacro.
I vescovi cattolici del Mozambico si dicono preoccupati che in questo modo - armando i civili, inducendoli a difendersi da soli e accrescendo di fatto la sfiducia nei confronti delle autorità - si corra piuttosto il rischio di un inasprimento del conflitto. Da tempo inoltre protestano che la risposta militare non sia sufficiente, se al tempo stesso non si attuano strategie di lotta alla povertà che favorisce il reclutamento dei giovani di religione islamica da parte dei jihadisti.
È la stessa preoccupazione espressa con sempre maggiore urgenza in Nigeria dai vescovi cattolici di fronte al dilagare della violenza - comune, interetnica e interreligiosa - nel Paese e al moltiplicarsi di gruppi di vigilantes, formati da giovani che cercano di proteggere le vite e i beni delle rispettive comunità e che i governatori di alcuni Stati della federazione incoraggiano e sostengono, rassegnati all’inerzia, e peggio, delle forze di sicurezza federali. “Non sappiamo dove siano le forze di sicurezza - ha affermato di recente l’arcivescovo metropolita emerito di Abuja, il cardinale John Onaiyekan -. La situazione della sicurezza in Nigeria sta sfuggendo di mano. Nessuno è al sicuro, non solo i cristiani. È come se il governo avesse perso il controllo”. “Sappiamo tutti che il dovere primario del governo è proteggere le persone che lo hanno eletto - sostiene monsignor Luka Sylvester Gopep in un’intervista rilasciata all’agenzia Fides lo scorso agosto - e invece, in alcuni casi, sospettiamo che ci siano membri dell’esercito e della polizia collusi con i banditi. Ora assistiamo al fenomeno della cosiddetta «giustizia della giungla» che avviene quando i gruppi di vigilanti locali arrestano i banditi, non li consegnano alle autorità locali, ma compiono esecuzioni extragiudiziali”. In realtà gli interventi delle milizie popolari spesso vanno oltre la difesa e, invece di sedarla, intensificano la conflittualità etnica e religiosa.
Mozambico e Nigeria sono casi estremi di quello che per prima Madeleine Albright, segretario di Stato degli Usa dal 1997 al 2001, ha definito “Stato fallito”, caratterizzato dalla mancanza di controllo fisico del territorio e dalla perdita del monopolio dell’uso legittimo della forza fisica a causa delle quali l’esistenza stessa dello Stato viene messa in discussione. Altri indicatori sono la perdita di legittimazione da parte delle autorità e delle istituzioni, l’incapacità di fornire servizi pubblici adeguati, il fallimento sociale, politico ed economico: tutti elementi ricorrenti in entrambi i Paesi e in altri Stati africani, tra i quali, per citare altri casi estremi, la Repubblica Centrafricana, la Somalia, il Sudan del Sud.