L’auspicio di un ritorno al prestigioso passato del Marchesato del Saluzzo
Densa di memorie letterarie, Saluzzo è legata al Decameron di Boccaccio e al Cavaliere Errante del marchese Tommaso III (quest'ultima storia è affrescata nel castello della Manta). L'intero, suggestivo borgo testimonia però anche la necessità di valorizzare adeguatamente le infinite risorse culturali presenti nella penisola.
Nell’attuale Piemonte, per più di quattro secoli (dal 1175 al 1601), il Marchesato di Saluzzo conservò la sua autonomia, premuto da una parte dagli Stati sabaudi e dall’altra dalla Francia, fin quando non passò al Duca di Savoia con la pace di Lione.
Nella memoria letteraria il marchesato di Saluzzo è legato al Decameron. Boccaccio pone a degno congedo del corpus novellistico una Madonna tutta terrena, che presenta, senza dubbio, alcune somiglianze con Maria. Prima di sposarla, Gualtieri chiede a Griselda «s’ella sarebbe obbediente, e simili altre cose assai». Lei risponde «sì» come la Madonna all’angelo. L’avventura matrimoniale inizia solo dopo quel «sì».
«Di persona e di viso bella», Griselda risponde al marito che vuole sperimentare la sua virtù: «Fa’ di me quello che tu credi che più onore e consolazion sia, ché io sarò di tutto contenta […]; io non era degna di questo onore al quale tu per tua cortesia mi recasti». La donna emerge in tutta la sua umiltà e pazienza. Accetta anche il sacrificio dei figli e, quando viene ripudiata dal marito, gli dice: «Io vi priego, in premio della mia verginità, che io ci recai […], che almeno una sola camicia sopra la dote mia vi piaccia che io portar ne possa». L’ultima prova cui Griselda è sottoposta è quella di acconciare la novella sposa di Gualtieri. Allora lei chiede al marito che l’ha ripudiata di non sottoporre la futura moglie a prove dure come quelle che ha dovuto sperimentare lei.
Solo a questo punto Gualtieri rivela che il suo comportamento è stato messo in atto ad arte per sperimentare la virtù di lei, che si è dimostrata la moglie migliore che uomo possa avere, «sopra tutti savissima», l’unica che avrebbe potuto sperimentare le «rigide e mai più udite prove da Gualtieri fatte».
Se il marchese di Saluzzo, che sottopose la sposa a queste prove, viene definito dal narratore Dioneo «non una cosa magnifica ma una matta bestialità”, Griselda appare come la più virtuosa donna che sia mai esistita in terra (dopo la Madonna) e proviene, secondo gli studi del secentista Agostino Della Chiesa, dal paese Villanovetta di Verzuolo, vicino a Saluzzo.
Quasi cinquant’anni dopo la stesura del Decameron, probabilmente tra il 1394 e il 1396, durante la prigionia a Torino, il marchese Tommaso III di Saluzzo (1356-1416), figlio di Federico II del Vasto, scrisse Il cavaliere errante, in lingua francese, uno dei poemi più importanti del Medioevo, che racconta il viaggio di un cavaliere nei mondi dell’amore, della fortuna e della conoscenza. Il cavaliere incontra grandi protagonisti della storia antica (Ettore, Alessandro Magno, Cesare), degli Ebrei (Giosuè, Davide, Giuda Maccabeo) e del Medioevo cristiano (Artù, Carlo Magno, Goffredo di Buglione). Il protagonista del poema entra così nella lunga teoria dei grandi cavalieri medioevali, da Perceval a Tristano, da Lancillotto a san Galgano, figure percepite dalla sensibilità popolare e dalla cultura dominante come figure ideali, cui improntare la propria vita.
A pochi km da Saluzzo, la storia del cavaliere errante venne affrescata nel magnifico Castello della Manta, ereditato nel 1416 da Valeriano, figlio illegittimo di quel Tommaso III che aveva scritto Il cavaliere errante. Proprio per omaggiare il padre il nuovo proprietario del borgo e del Castello della Manta fece realizzare quel ciclo di dipinti ancor oggi ottimamente conservati, uno dei più significativi nel panorama del gotico internazionale non solo in ambito italiano, ma anche europeo. L’artista, purtroppo sconosciuto, rappresentò nove eroi (sopra ricordati) e nove eroine (Delfile, Sinope, Ippolita, Semiramide, Etiope, Lampeto, Tamiris, Teuca, Pentesilea), presenti nel poema Il cavaliere errante, che si possono riconoscere per i versi in francese antico collocati al di sotto di loro. Gli abiti dei personaggi sono portati secondo la moda di corte.
All’interno del castello nel salone baronale, sopra il grande camino, troviamo il motto della famiglia, Leit (dal verbo tedesco «guidare», «comandare»), lo scudo, l’elmo e la corona. Valeriano, per alcuni anni reggente del Marchesato del Saluzzo, viene ritratto nelle vesti dell’eroe troiano Ettore.
Il castello era già esistente nel 1227, anche se il nucleo originario non è più riconoscibile. Si possono oggi riconoscere il palazzo voluto da Valeriano all’inizio del Quattrocento, l’edificio fatto erigere da Michele Antonio Saluzzo nella seconda metà del Cinquecento e il palazzo di Valerio Saluzzo della fine del Cinquecento. Con l’estinzione della famiglia dei Saluzzo della Manta alla fine del Settecento il castello iniziò la sua fase di declino, divenendo prima ospedale militare e poi proprietà della famiglia Radicati di Marmorito nell’Ottocento, che iniziò un lavoro di restauro che fu completato dal FAI quando nel 1984 ricevette il castello in dono da Elisabetta de Rege Provana.
Solo una visita può rendere merito delle bellezze che si trovano all’interno del castello e del panorama che si può ammirare da lì.
Vicino al castello della Manta il borgo medioevale di Saluzzo si affaccia sul Monviso ed è dominato dalla fortezza della Castiglia, residenza dei marchesi di Saluzzo, roccaforte e al contempo dimora signorile, trasformata in carcere nell’Ottocento e nel Novecento fino al 1992.
Salendo per le vie che s’inerpicano verso il castello, s’incontra la casa natale di Silvio Pellico, trasformata in museo nel 2011, in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’unificazione italiana. Incarcerato tra il 1820 e il 1830 dagli Austriaci per aver partecipato ai moti carbonari, nel 1831 Pellico avviò la scrittura delle memorie Le mie prigioni (pubblicato l’anno successivo) che documentava con grande precisione la durezza della prigionia sotto gli Austriaci. L’opera ebbe un successo editoriale senza precedenti sollevando interesse sul «caso italiano» in tanti Stati d’Europa e danneggiando in maniera considerevole l’immagine dell’Austria, come riconobbe Metternich.
Se fosse restaurato e curato come dovrebbe, il borgo di Saluzzo potrebbe competere con i tanti affascinanti borghi medioevali italiani, meta di turisti da tutto il mondo.
Vicino a Saluzzo, un altro castello, in corso di restauro, meriterebbe di tornare al fasto e alla bellezza di un tempo, quello di Lagnasco, proprietà prima dei marchesi di Brusca e poi di quelli di Saluzzo.
Uno Stato come il nostro, così povero di materie prime, ma ricco d’arte e di cultura come nessun altro Paese al mondo, dovrebbe trovare strategie per restaurare, valorizzare, far conoscere la vastità della tradizione italiana su tutto il territorio, ben al di là dei soliti percorsi turistici. Numerosi castelli e ville rischiano di divenire un cumulo di macerie, borghi antichi si spopolano, invece di tramutarsi in un polo di attrazione. Non è possibile studiare un piano integrale di promozione culturale, artistica e turistica che, partendo da un censimento di tutti i beni in decadimento, promuova un ripristino che porti un beneficio all’economia e al territorio? Vi sono Stati europei che sanno valorizzare risorse ben inferiori alle nostre trasformandole in motori dell’economia; noi preferiamo non riconoscere la nostra vera materia prima che è la nostra storia artistica, invidiata da tutti.