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MORTE VS VITA

L’aborto in mare, ovvero: l’abortismo USA è alle corde

A seguito della sentenza Dobbs della Corte Suprema, Meg Autry, una dottoressa californiana, sta cercando di piazzare una nave per aborti davanti alle coste meridionali degli USA, così da aggirare il divieto di diversi Stati pro vita. Un’idea infelice, ma per altro verso mostra che il male indietreggia.

Vita e bioetica 18_10_2022

L’evangelista Giovanni nell’Apocalisse parla di una «bestia che sale dal mare», riferendosi all’Anticristo. E dal mare oggi vengono anche gli aborti. Meg Autry, una dottoressa californiana, ostetrica, ginecologa e docente presso l’Università della California, sta cercando di mettere in acqua una abortion boat, una nave per far abortire quelle donne che trovano difficile farlo negli Stati americani dove risiedono, a seguito della sentenza Dobbs della Corte Suprema. La nave ormeggerebbe di fronte alle coste meridionali degli USA, dove vi sono Stati pro life come Alabama, Mississippi, Louisiana e Texas, e in acque federali. In tal modo l’imbarcazione sfuggirebbe al rispetto delle leggi antiaborto varate sul continente. La Autry vorrebbe così replicare l’esperienza di una Ong olandese che al largo del Guatemala e Messico imbarcava donne e nascituri e faceva sbarcare solo le prime.

La dottoressa abortista illustra così il suo progetto: «L’idea è di fornire una struttura a bordo di una nave in acque federali che offra aborti chirurgici nel primo trimestre, contraccezione e altre cure. Nel nostro Paese c’è stato un assalto ai diritti delle donne e io sono da sempre una sostenitrice della salute e della scelta riproduttiva. Dobbiamo creare opzioni ed essere premurosi e creativi per aiutare le persone che vivono in Stati con legislazioni restrittive a ottenere l’assistenza sanitaria che meritano». La proposta è solo in fase embrionale e attualmente la Autry sta cercando fondi grazie all’organizzazione no-profit PRROWESS, che, tradotto, sta per «Protezione dei diritti riproduttivi delle donne minacciate dagli statuti statali».

Rimarrebbe aperto il quesito se sia più facile per una donna che vuole abortire prendere un treno, un aereo o addirittura un’auto per recarsi in uno Stato che permette l’aborto oppure imbarcarsi su un gommone e raggiungere l’abortion boat. Ma l’iniziativa ha più valore sul profilo della propaganda che su quello della sua efficacia pratica: rendere noto che esiste una clinica abortiva galleggiante dipinge un quadro fosco dove le donne che vogliono abortire vengono rappresentate come naufraghe dopo la collisione con la sentenza Dobbs, in costante pericolo di affogare perché gravate dal peso del loro bambino. Ma ecco l’arca della Autry che le aiuta a sgravarsi di quel fardello e a portarle felicemente a terra.

L’infelice trovata della clinica per aborti galleggiante ci conferma nell’impressione che il mondo post-Dobbs sia connotato dall’aptofobia. L’aptofobia è la paura di essere toccati. I giudici della Corte Suprema hanno “toccato” la Roe vs Wade e ciò ha comportato profondi isterismi della cultura progressista: proteste di piazza, attacchi fisici e verbali ai pro life, bonus economici da parte delle aziende per le dipendenti che vogliono abortire, un disegno di legge per estendere il diritto di aborto in tutti gli USA, proposte made in Europe di dichiarare l’aborto diritto universale e ora una nave per superare gli scogli imposti dai giudici. Da noi la Meloni non ha detto di voler toccare la 194, ma solo di volerla sfiorare. Infatti ha affermato che non è sua intenzione cancellare la 194, ma ha dichiarato l’opposto, ossia vuole applicarla integralmente, rendendo così effettive anche quelle parti in cui si propongono soluzioni diverse dall’aborto (purtroppo la leader di FdI non si è accorta che la 194 è costruita in modo tale che l’aborto sia l’unica scelta possibile) ed ecco stracciarsi le vesti e gridare che la salute delle donne è in pericolo, che si ritorna ad un medioevo maschilista per mano di una donna, che i diritti civili sono messi in pericolo dagli estremismi pro life di matrice fascista.

Il diffondersi dell’aptofobia in merito ai principi non negoziabili è un bene. Su un certo versante è dunque un buon risultato che gli abortisti siano stati costretti a varare una nave per praticare l’omicidio prenatale. È segno che la terraferma è diventata per loro inospitale. E allora è positivo respingere in mare chi vuole praticare gli aborti. Scacciamo gli abortisti dalle nostre terre, mettiamoli all’angolo, facciamo terra bruciata intorno a loro, costringiamoli all’opposizione in Parlamento e nella vita, a berciare dai loro social, a delirare con montagne di post sempre uguali. Facciamo sì che l’abortismo finisca davvero in alto mare. Se l’aborto, l’eutanasia, la fecondazione artificiale, le unioni civili e molto altro vengono praticati in tranquillità significa che il male ha preso comodamente dimora nelle nostre coscienze ed è stato assorbito pienamente dai nostri cuori. Se al contrario i pro choice schiumano rabbia e si devono inventare l’aborto acquatico è segno che stanno mangiando la polvere. Se poi la Bestia dal mare vorrà tornare sul continente, noi sulla terra ferma saremo pronti a darle filo da torcere.