Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
INTERVISTA / FABRIZIA RAGUSO

«Io, abusata, denuncio padre Rupnik per salvare altre donne»

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«Rupnik e sr. Ivanka Hosta sono pericolosi, vanno fermati definitivamente». «Molte sorelle ancora pagano le conseguenze degli abusi subiti, non abbiamo mai avuto nessun aiuto, né materiale né psicologico». «I vescovi devono capire che occultare il male distrugge la Chiesa». Intervista esclusiva della Bussola a Fabrizia Raguso, una delle vittime del gesuita sloveno e tra le prime a dar vita alla Comunità Loyola.
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Ecclesia 23_09_2023 English Español
Fabrizia Raguso

Non poteva esserci manovra più maldestra. La fantasiosa Nota del Vicariato di Roma che dipinge il Centro Aletti come un luogo idilliaco e semina dubbi sulla modalità con cui l’allora Congregazione per la Dottrina della Fede era giunta alla scomunica di Rupnik, prontamente rimossa da papa Francesco, sta gettando sempre più discredito sul cardinale De Donatis, che fin dall’inizio ha difeso ad oltranza Rupnik, provocando la rottura con mons. Libanori. E sul Papa stesso. Il visitatore, don Giacomo Incitti, ha indagato su un delitto riservato al Dicastero per la Dottrina della Fede, non al Vicariato; e si è pure permesso di fare insinuazioni sull’operato di quest’ultima. È probabile che sia stata questa Nota a colmare la misura di sopportazione dell’ex-Prefetto, il cardinale Ladaria, portandolo a ritirarsi dalla partecipazione al prossimo Sinodo (vedi qui).
Nel frattempo, alcune delle vittime di don Rupnik e suor Ivanka hanno deciso di esprimere pubblicamente il loro sconcerto. Abbiamo raggiunto la prima firmataria della Lettera aperta, Fabrizia Raguso, Professore associato di Psicologia alla Universidade Católica Portuguesa, CR Braga.

Prof.ssa Raguso, qualche cenno sulla sua storia in relazione a don Marko Rupnik e sr. Ivanka Hosta.
Ho conosciuto Rupnik nel ’90, invitato ad un convegno del settore giovani dell’Azione Cattolica nazionale a Roma. All’epoca, già laureata in psicologia, continuavo la formazione in psicoterapia familiare. Ero stata molto coinvolta nella mia diocesi (Taranto) nel settore giovani dell’Azione Cattolica. Tra vita in diocesi e passione per la mia (futura) professione, mi chiedevo, ormai da qualche anno, come vivere più in pienezza la mia vita. Dopo il Congresso in cui Rupnik era stato invitato da Maria Campatelli a parlare della sua esperienza di “riconciliazione” che stava portando avanti al Centro pastorale Stella Matutina di Gorizia, lei stessa continuò a mantenere contatti con lui. E mesi dopo, durante l’estate, io e alcuni collaboratori del settore giovani fummo invitati a fare la prima settimana degli esercizi spirituali ignaziani. Lì cominciò subito la “pubblicità” di Rupnik sulla comunità ancora in formazione, la futura Comunità Loyola. Dopo pochi mesi, sia io che Campatelli avevamo conosciuto Ivanka e alcune altre sorelle; decidemmo di entrare nella comunità. Ad agosto del ’91 io avevo già lasciato il lavoro ed ero in Slovenia per iniziare il noviziato.

Perché avete deciso di scrivere questa lettera pubblica?
Io personalmente non riesco a rimanere inerme ad aspettare che tutto si decida alle nostre spalle, senza essere informate di alcunché e senza che ci si permetta di partecipare al nostro destino. Sebbene io abbia già chiesto e ricevuto l’indulto e quindi sia completamente sciolta dalla comunità, sento tuttavia una responsabilità civile oltre che ecclesiale, perché tutto quello che è successo in questi trent’anni venga alla luce e si faccia giustizia. Molte delle sorelle stanno ancora piuttosto male e non hanno mai ricevuto nessun aiuto, né materiale né di tipo psicologico. Le altre che con me hanno firmato, in qualche modo, con sfumature certamente personali, sentono lo stesso.

Oltre al passato, avete pensato anche al presente e al futuro?
Sì. Sentiamo una responsabilità per tutte le altre persone che possono ancora essere coinvolte nelle trame di Rupnik e di Ivanka, soprattutto se giovani. Oltre ai modi subdoli di Rupnik di insinuarsi nella vita civile, culturale ed ecclesiale, anche Ivanka ha sempre continuato a cercare ancora “vocazioni”; era angosciata che la comunità non solo non crescesse, ma che molte nel corso del tempo fossero uscite. Sono veramente pericolosi; vanno fermati, definitivamente. Ora, dinanzi a questo maldestro ma anche arrogante tentativo di riabilitare Rupnik ed il Centro Aletti, abbiamo sentito che attendersi verità e giustizia dalle autorità ecclesiali era tempo perso. Dovevamo fare un passo deciso: scrivere una lettera aperta e mettere i nostri nomi e i nostri titoli accademici voleva essere un modo per dare un volto e un nome alle vittime e contrastare il preconcetto che le vittime sono “vulnerabili” perché poco consapevoli o poco istruite.

Un modo facile per screditare le accuse, è anche quello di ritenere che si tratti di donne con problemi di natura psicologica. Lei è psicologa e le conosce personalmente: cosa può dirci?
Siamo persone che hanno sviluppato difficoltà psicologiche dopo gli abusi; e alcune durante la permanenza in comunità, per le pressioni psicologiche eccessive, per il non senso di molte decisioni e imposizioni. Come sempre avviene. In fondo, la ricaduta psicologica di queste esperienze è molto simile sia nel contesto della vita religiosa, che in quello dell’abuso familiare o nelle relazioni intime. Perché ciò di cui si abusa è della fiducia, dell’“abbandono” fiducioso al tuo superiore, o, nel nostro caso, ad un’amica: così consideravamo Ivanka, essendo noi, pioniere della Comunità, quasi tutte coetanee. E ad un amico con cui avevamo desiderato fare una esperienza spirituale forte, nuova, di cui eravamo convinte. Nella vita spirituale, l’abuso distrugge il rapporto della persona abusata con Dio; è un aspetto che ritorna frequentemente nelle testimonianze di vittime di abusi spirituali. Sto cercando di approfondire dal punto di vista teorico i contesti relazionali e psicosociali che possono facilitare le relazioni di abuso psicologico, nella vita religiosa come in altre relazioni esistenzialmente importanti. Perché ciò che apre la strada all’abuso sessuale è soprattutto l’abuso psicologico che si serve anche del controllo della vita spirituale.

Supponga di non aver mai letto nulla di quanto uscito sulla stampa. In base alla sua esperienza diretta e alle confidenze che ha ricevuto, che cosa può dire di Rupnik e Ivanka?
Direi che sono due persone che, per motivi diversi, che sinceramente non conosco, hanno sviluppato quasi un delirio “mistico” di onnipotenza. Mistico non nel senso di “visioni”, ma di sentirsi investiti di una missione, di un carisma, che in realtà era solo un progetto personale. Rupnik l’ho sempre visto veramente narcisista e con molta sete di affermarsi, di guadagnare fama e potere; molto collerico quando contrastato. Ivanka ho come l’impressione che abbia a sua volta subito violenza o qualche forma di abuso, e che si sia poi costruita “una storia parallela”: oltre all’autoritarismo con cui ha condotto la comunità dopo la separazione da Rupnik, aveva creato un mito sulla sua famiglia quasi fosse perfetta e la società dei cattolici sloveni come fossero gli unici veramente credenti. Perciò erano imposti come modelli assoluti, soprattutto per noi italiane. 

Un elemento comune alle due vicende è quello di aver scelto la via amministrativa e di aver evitato il processo canonico.
È stato un modo di procedere poco saggio e molto aperto alla manipolazione. C’è chi dice, fra canonisti, che è un modo comune di procedere, partendo dal presupposto che “la pena” serva alla conversione. Ma in questo caso, siccome nessuno dei due si è mai aperto al confronto né con la Chiesa né con le vittime, ed entrambi sostanzialmente negano ogni fatto e ogni responsabilità, non averli sottoposti ad un giusto processo non ha aiutato né a fare verità e chiarezza, né a far sì che veramente si “convertissero”. 

La Nota del Vicariato di Roma ha forse avuto l’effetto contrario a quello sperato: non sono pochi i media che ritengono il caso Rupnik come il più pesante macigno su questo pontificato. Tra poco più di una settimana ci sarà un nuovo concistoro: pensa che qualche cardinale possa finalmente sollevare la questione?
Lo spero, vivamente. Così come credo che, come ci ricordano il Vangelo ed ogni sana teoria relazionale, “una casa divisa in sé stessa non può sussistere”; penso che una Chiesa così lacerata anche da queste trame poco chiare non potrà reggere ancora molto. Sinceramente mi addolora che i vescovi ancora non comprendano che occultare il male distrugge la Chiesa; non la preserva affatto.

 



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