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L’INTERVISTA / MONS. NICOLA BUX

Guerra al rito antico, non furono i vescovi a scatenarla

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La volontà dell'episcopato, invocata da Francesco per "farla finita" con la Messa in latino, appare ben diversa stando ai documenti esaminati in La liturgia non è uno spettacolo. Nessuno voleva una guerra, spiega il coautore mons. Bux, anzi la Chiesa ha bisogno di pace liturgica.
- Una Messa da sogno: il Vetus Ordo nel Novus Ordo, di Riccardo Barile

Ecclesia 07_07_2025

Non fu l’episcopato mondiale a chiedere di “ingabbiare" la Messa in rito antico, come invece affermò Papa Francesco dichiarando che il motuproprio Traditionis Custodes era la risposta a una precisa richiesta dei vescovi consultati in merito. Uno scoop della giornalista Diane Montagna mostra invece, documenti alla mano, una realtà ben diversa su quella consultazione: nessuno chiese né l’abolizione totale del Summorum Pontificum  di Benedetto XVI (che aveva aperto quelle porte poi bruscamente chiuse da Francesco), né tantomeno la sparizione totale dell’antica liturgia (obiettivo esplicito di Traditionis Custodes). A far luce sulla documentazione intervengono anche mons. Nicola Bux e Saverio Gaeta, coautori del volume La liturgia non è uno spettacolo. Il questionario ai vescovi sul rito antico, arma di distruzione di Messa (Fede&Cultura, Verona 2025). Mons. Bux, intervistato da La Bussola, colloca la controversa genesi e le ripercussioni di Traditionis Custodes nell’ampio orizzonte della “pace liturgica” auspicata a suo tempo da Benedetto XVI e drammaticamente interrotta nel 2021.

Mons. Bux, dunque non era la maggioranza dei vescovi a spingere per “farla finita” con la Messa tradizionale?
Il primo a restarne stupito fu Papa Benedetto, come sappiamo dal libro di mons. Gänswein, Nient’altro che la verità. Ma anche per molti altri era sorprendente che i vescovi del mondo avessero una posizione così negativa nei confronti di un atto – il Summorum Pontificum – che effettivamente aveva restituito una pace liturgica,  auspicata dallo stesso Benedetto XVI, e nello stesso tempo aveva reso giustizia a un patrimonio prezioso e millenario. Tra l'altro non si comprende perché dappertutto si riscopra la tradizione, persino in ambito gastronomico (la “cucina tradizionale”), ma questo non debba valere per la liturgia. Non parliamo poi del grande patrimonio dei riti orientali, recentemente sottolineato da Leone XIV.

Le misure di Traditionis Custodes sono state giustificate anche facendo leva su presunti atteggiamenti anti-ecclesiali. Eppure, leggendo le risposte dei vescovi si ha l’impressione di casi limitati e non tali da reclamare l’abolizione del Summorum Pontificum...
È sempre arduo analizzare il senso della Chiesa e della fede del popolo. Si potrebbe fare allora anche un’analisi su tutte le persone che frequentano la Messa ordinaria: se hanno un senso della Chiesa, se sentono insieme alla Chiesa sulle verità di fede e di morale. Sappiamo bene che così non è. Quindi attribuire al rito straordinario un sensus Ecclesiae distorto non è corretto. I dissensi ci sono stati da ogni parte, anche in ambito progressista (pensiamo al Catechismo olandese) ma non è un buon motivo per tenere delle persone fuori della Chiesa.

Nel questionario alcuni vescovi prendono atto degli effetti positivi del rito antico anche per chi celebra il nuovo. Ma allora vietarlo sarebbe una perdita per tutti, non solo per questo o quel gruppo?
Certamente. Se la forma ordinaria o Novus Ordo – che dai suoi fautori è presentato come sviluppo dell'antico – ha conosciuto, come sappiamo «deformazioni al limite del sopportabile» (Benedetto XVI, 7 luglio 2007) evidentemente vuol dire che aveva bisogno di quel ripristino del senso del mistero che nelle liturgie orientali è ben presente (come ha ricordato Papa Leone) e che nel rito antico è altrettanto presente. Anche gli ortodossi che talvolta partecipano al rito cosiddetto straordinario o Vetus Ordo ne restano colpiti. Da studioso della liturgia bizantina posso dire che se c'è un rito molto simile al rito bizantino è il rito romano antico. Allora  perché recidere un rapporto che tra l'altro fa molto bene anche all'incontro con i cristiani d'Oriente? Voglio solo ricordare che quando uscì il motuproprio  Summorum Pontificum l'allora patriarca di Mosca, Alessio II, si complimentò con Papa Benedetto perché disse che soltanto recuperando le comuni radici, tradizioni e liturgie, i cristiani si riavvicineranno.

Quali sono stati ad oggi gli effetti di Traditionis Custodes?
Credo che complessivamente l'effetto non sia stato poi così impressionante. Certo, quell'obbedienza che deve caratterizzare vescovi e sacerdoti ha ovviamente rallentato la celebrazione del rito romano antico ma difficilmente potrà fermarlo. La realtà della traditio è come l'acqua del fiume che si arricchisce man mano che scorre. Ma se noi rifiutiamo questa ricchezza della fede, della preghiera, della liturgia che abbiamo ricevuto, come pretendiamo che le nuove generazioni possano riavvicinarsi alla Chiesa cattolica? Guardiamo invece ai giovani che partecipano ai pellegrinaggi tradizionali, come Parigi-Chartres o Covadonga in Spagna, e altri che si preannunziano. L'auspicio è che si abbandoni una volta per tutte l'ideologia che tende ad appiccicarsi all'ecclesiologia e alla liturgia, perché la Chiesa è sempre una realtà che viene dall'alto, la Gerusalemme celeste che scende tra noi, non qualcosa che si “fa”. Su questo Papa Benedetto ha molto insistito: la liturgia non è frutto del nostro arbitrio di sacerdoti o di vescovi e nemmeno del Papa e della Sede Apostolica. Perché anche il Papa è soggetto alla Parola di Dio e quindi alla tradizione che questa Parola in due millenni ha fatto giungere fino all'attuale generazione.

È per questo che il volume si apre con un excursus sulla Messa nel corso dei secoli?
Esatto, è per dimostrare – con un excursus necessariamente sintetico – che quello che noi professiamo proviene dalla tradizione apostolica, non dall'inventiva di qualcuno. Nel libro abbiamo voluto incastonare la questione delle valutazioni del questionario all'interno del suo giusto contesto e poi concludere con le vicende recenti, dal Summorum Pontificum a Traditionis Custodes e quindi rivolgere un appello al Papa.

È presto per dire come si muoverà Leone XIV ma cosa si può auspicare per il futuro della “pace liturgica”?
Bisogna riprendere la strada della “riforma della riforma”, nel senso in cui l’aveva intesa Benedetto XVI, partendo dalla constatazione che la riforma liturgica non ha propriamente decollato, o ha volato molto basso, al punto che ha potuto consentire deformazioni, arbitrii, Messe sul materassino e così via. Questo perché non è stata “blindata” da normative canoniche e sanzioni, malgrado Sacrosanctum Concilium fosse molto chiara al riguardo, ammonendo che nessuno «anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica» (22,3). Chiediamoci cosa è successo invece in questi sessant’anni e riprendiamo a studiare come è andata. Faccio una proposta direttamente al Papa e al prefetto del Culto Divino: si abbia il coraggio di studiare i documenti del Consilium istituito da Paolo VI per l’esecuzione della riforma liturgica, o le Memoires di Louis Bouyer, uno dei grandi periti che vi hanno partecipato... si abbia il coraggio di fare verità. E quindi di recuperare, non attraverso l’imposizione ma con la pazienza della carità, quanto è rimasto a terra, di reinnestare i tralci recisi, per usare un’immagine agostiniana.
È questo il lavoro che definirei “riforma della riforma”, senza pretesa ideologica ma come un fatto, un confronto rispettoso, che certamente non può avvenire dall’oggi al domani. Nel frattempo lasciamo “fermentare” le due forme rituali – come gran parte dei vescovi ha detto rispondendo al questionario e come auspicato dal Summorum Pontificum.
Se Gesù parla dello scriba sapiente che trae dal suo tesoro nova et vetera, cose nuove e cose antiche, non si capisce perché non dovremmo poterlo fare per il grandissimo patrimonio tradizionale della liturgia.



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