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IL PRESIDENTE

Dopo Mattarella, Draghi al Colle? Ipotesi di successione

Mattarella non vuol ripetere l'esperienza di Napolitano, che venne rieletto presidente provvisorio per altri due anni, in mancanza di una maggioranza. Anche con un parlamento così frammentato, fra otto mesi si eleggerà il successore. L'ipotesi che va per la maggiore è Draghi, strategico per il centrodestra. Il centrosinistra vorrebbe uno dei suoi.

Politica 21_05_2021
Sergio Mattarella e Mario Draghi

Nei giorni scorsi, per la quarta volta in pochi mesi, il Presidente della Repubblica ha ribadito che non succederà a se stesso. Sergio Mattarella fra otto mesi si ritirerà a vita privata. Questo almeno continua a ripetere e nulla lascia presagire che possa cambiare idea. Le sue parole vanno registrate come una manifestazione di intenti chiara e irrevocabile, ma vanno anche interpretate. La parola “stanchezza”, da lui utilizzata per motivare la sua indisponibilità a fermarsi al Quirinale fino alla fine della legislatura (2023), suona come un monito ai partiti, sempre più litigiosi, affinchè ritrovino lo spirito di unità nazionale che ha portato alla nascita del Governo Draghi, e si impegnino fin da ora per individuare un nuovo Capo dello Stato che, da febbraio dell’anno prossimo, possa guidare l’Italia verso il definitivo superamento della pandemia. Facile a dirsi, difficile da realizzarsi.

Gli scricchiolii nella maggioranza, al momento assai ampia, che sostiene il governo Draghi si percepiscono ogni giorno di più. Ci sono le elezioni amministrative in ottobre, che metteranno a dura prova la coesione degli schieramenti e in discussione i rapporti di forza al loro interno. C’è il Recovery Plan, che è atteso alla prova del fuoco, perché bisognerà capire se gli impatti benefici delle risorse in arrivo dall’Europa riusciranno a frenare il declino dell’economia e della società italiane, devastate dai prolungati lockdown e dalle scelte politiche sbagliate in materia di contrasto al Covid.

Le grandi città come Roma e Milano saranno un crocevia importante dei fondi in arrivo da Bruxelles e quindi sarà importante capire se quelle amministrazioni cambieranno colore politico o resteranno nelle mani della sinistra e dei Cinque Stelle. Mattarella, peraltro, non vuole passare alla storia come colui che ha fatto diventare regola un’eccezione, quella del suo predecessore. Giorgio Napolitano, infatti, alla scadenza del suo settennato, nel 2013, fu rieletto per un secondo mandato, durato soltanto due anni, per superare un impasse istituzionale che si era creato tra i partiti, incapaci di convergere su un nome alternativo. Se anche l’attuale Capo dello Stato acconsentisse a una ipotesi del genere, passerebbe l’idea che è sempre possibile prorogare il già lungo mandato del Presidente della Repubblica in nome della pacificazione (temporanea) tra le forze politiche.

Quindi, a questo punto, l’interrogativo è uno solo: Draghi a Palazzo Chigi o Draghi al Quirinale? Il centrosinistra è per la prima strada, cioè quella di prolungare la permanenza dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi fino alla fine della legislatura (2023), affinchè al posto di Mattarella possa essere eletto un altro esponente della sinistra (i nomi sono tanti, da Paolo Gentiloni a Dario Franceschini, da Romano Prodi a David Sassoli) e l’asse Pd-Cinque Stelle-Leu possa consolidarsi in vista delle elezioni politiche. Il centrodestra, invece, vorrebbe eleggere fin da subito Draghi al Colle, affinchè già l’anno prossimo si possa votare per le politiche, con un anno di anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura. Tutti i sondaggi vedono in testa Matteo Salvini, Giorgia Meloni e il resto del centrodestra, che a quel punto potrebbe governare per cinque anni (ma con quale premier?) e gestire la definitiva ripartenza dell’Italia dopo il Covid, anche grazie alle ingenti risorse finanziarie europee.

Probabilmente il diretto interessato, cioè Mario Draghi, a domanda secca, risponderebbe di preferire quest’ultima ipotesi, che lo blinderebbe per sette anni al Quirinale e gli consentirebbe di traghettare da una posizione di massima autorevolezza istituzionale l’Italia verso il mondo post-Covid. Il premier è peraltro consapevole che l’anno prossimo i partiti inizierebbero a scannarsi tra di loro in vista delle elezioni politiche del 2023 e quindi la coesione attorno al suo governo sarebbe molto meno forte.

D’altro canto, però, non è detto che ci sia l’unanimità su questa prospettiva. Avere per sette anni al Quirinale un Presidente “ingombrante” come Draghi, data la sua statura internazionale, potrebbe rivelarsi un intralcio per le ambizioni di governo di qualche leader di partito e per le smanie di potere di alcuni boiardi di Stato e personaggi dei cosiddetti “poteri forti”, magistratura compresa. Meglio per loro un “notaio” stile Mattarella, sobrio e poco presente, piuttosto che un “commissario straordinario” naturalmente incline a fare ombra a futuri presidenti del consiglio.

Ma, se la scelta non ricadesse su Draghi, chi potrebbe ambire alla Presidenza della Repubblica? Il nome di Marta Cartabia, attuale Ministro della giustizia, continua a circolare, forte dell’imprimatur quirinalizio. L’attuale guardasigilli è apprezzata a destra e a sinistra e non è divisiva neppure nel mondo della giustizia. Ma è solo un’ipotesi, che si fa strada con cautela insieme a quelle di un mediatore come Pierferdinando Casini, gradito al centrodestra ma anche a Matteo Renzi, o di un uomo delle istituzioni come Gianni Letta.

L’impressione è che anche questa volta la partita si giocherà su più tavoli. Le trattative per il dopo Mattarella si intrecciano, infatti, con il complicato puzzle della legge elettorale, destinato a incidere sul consolidamento o sulla disgregazione degli schieramenti. L’arrivo di Enrico Letta al timone del Pd ha fatto cambiare linea ai dem, passati da una propensione verso il proporzionale a una preferenza per il maggioritario. I partiti minori come Azione di Carlo Calenda, Italia Viva di Matteo Renzi e Leu di Pierluigi Bersani premono per un proporzionale con sbarramento contenuto. Di solito, in epoche di profonda ricostruzione nazionale, il sistema proporzionale meglio di altri consente di valorizzare gli apporti di tutti. Ma proprio per questo, al fine di bilanciare la rappresentanza diffusa con l’efficiente governabilità, sarebbe necessario avere al Quirinale un personaggio carismatico e decisionista, in grado di guidare, sia pure non formalmente, il gioco parlamentare. L’esatto profilo di Mario Draghi.