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LA DENUNCIA DI SANGUINETI

Covid, un vescovo (finalmente) critica il terrorismo pandemico

In un’intervista con La Verità, mons. Corrado Sanguineti denuncia le gravi conseguenze sociali generate dalle durissime restrizioni anti-Covid. Accettate «forse troppo passivamente» anche dalla Chiesa, che non ha saputo affrancarsi dal «mainstream culturale». Il vescovo di Pavia critica l’impostazione idolatrica che ha segnato la gestione del virus e che porta al transumanesimo.

Attualità 03_11_2022

È un’intervista ad ampio raggio, lucida e onesta quella che mons. Corrado Sanguineti, vescovo della diocesi di Pavia, ha rilasciato a Martina Pastorelli per il quotidiano La Verità. Classe 1964, consacrato vescovo dal cardinale Angelo Bagnasco il 9 gennaio 2016, dopo la nomina conferitagli da papa Francesco il 16 novembre 2015, mons. Sanguineti tocca molti punti dolenti di questi ultimi due anni e mette in guardia dalla direzione presa da un certo modo decisamente malato e luciferino di pensare l’uomo.

Il lascito della pandemia è pesantissimo e non solo in termini di persone decedute che potevano essere curate. Le misure draconiane prese fin dall’inizio e protratte per mesi e mesi, insieme alla narrazione sempre pesantemente allarmista, hanno lasciato sul campo «una società più sfilacciata e individualista, con forti ricadute a livello psicologico tra i giovani»; ma anche tra gli anziani, «costretti a lunghi periodi di isolamento e solitudine».

Ma è soprattutto di quello che non ha funzionato all’interno della Chiesa cattolica che finalmente un vescovo accetta di parlare. A partire dalla denuncia di «una forte disaffezione alla vita liturgica», provocata anche dall’amara verità che, come Chiesa, «forse abbiamo accettato troppo passivamente le restrizioni dei primi mesi sulla presenza alle celebrazioni». Per non dimenticare: chiese chiuse, Sante Messe proibite, Triduo Pasquale del 2020 solo in streaming, Messa di mezzanotte anticipata per ottemperare ad un coprifuoco senza alcun senso, imposizione della Comunione sulla mano, abolizione dell’acqua benedetta, divieto di inginocchiarsi, mascherine, distanziamento, gel disinfettante, e così via. Ancora oggi sono moltissime le persone che non sono più tornate in chiesa, che si sentono più sicure e a loro agio nel seguire una Messa in streaming, vantandosi persino di riuscire ad ascoltare ben due o tre Messe, tanta è ormai l’offerta in merito. Sono infatti aumentati esponenzialmente le chiese, i santuari che trasmettono le celebrazioni; persino i sacerdoti che celebrano da soli, o con una o due persone, si sentono in dovere (e in diritto) di essere presenti anche sul bazar di Internet (per una valutazione del fenomeno delle Messe in streaming, vedi qui).

C’è un altro ambito nel quale occorre riconoscere gli errori compiuti: «Come Chiesa, non sempre abbiamo saputo dire parole “nuove”, diverse dal mainstream culturale». Per oltre due anni, dai pastori non si è sentito dire altro se non dell’obbligo morale, prima, di indossare la mascherina, igienizzarsi le mani e non diffondere il virus, facendo la Comunione sulla lingua e poi il martellante invito, concretizzatosi in vere e proprie costrizioni, di andare a compiere il ben noto “atto d’amore”. L’atteggiamento della Chiesa cattolica italiana è stato contrassegnato dalla paura, dall’ansia, dalla mancanza di una parola che permettesse di superare la lettura medico-scientifica, o presunta tale, di quanto abbiamo vissuto. In parole povere, è mancata una coraggiosa risposta di fede.

Mons. Sanguineti ha riconosciuto altresì la necessità di abbandonare «una comunicazione ansiogena sul Covid e superare una politica sanitaria fondata sulle limitazioni e tarata solo sui vaccini, che ha creato attese esagerate e favorito delusioni e tensioni» ovunque. E poi l’esortazione ad andare avanti, con la consapevolezza che «la vita non può essere schiacciata sul problema del Covid».

Questi due anni hanno accelerato il processo di diffusione e radicamento di una concezione dell’uomo falsa e pericolosa. Il vescovo di Pavia accenna all’oscillazione tra l’affermazione dell’uomo come padrone assoluto della creazione e l’eccesso opposto di «far diventare l’uomo un problema» per l’ambiente, per la sicurezza, per le risorse. Entrambe le posizioni sono, a ben vedere, il frutto dello smarrimento dell’antropologia cristiana e della realtà di Dio all’interno del vivere sociale e politico. Espulso Dio, l’uomo può iniziare il suo tragico gioco di voler essere come Lui; ma nello stesso tempo, eliminato Dio, l’uomo perde la ragion d’essere e il custode della sua specifica dignità.

La sezione più interessante e stuzzicante dell’intervista deve ancora venire. Mons. Sanguineti si è reso conto che, a non aver funzionato in questi due anni, non sono semplicemente alcune infelici decisioni, ma un’impostazione che è frutto dell’adesione ad una vera e propria idolatria. Un’idolatria, ovviamente, aggiornata al XXI secolo. Richiamando l’appello di Benedetto XVI ad allargare i limiti della ragione che ci siamo auto-imposti, il vescovo di Pavia ricorda che «la scienza è una forma di conoscenza molto preziosa, ma non è l’unica né è in grado di esaurire il reale». Per questo fa un appello ai “camici bianchi”: «La storia insegna che la medicina va pensata dentro un quadro etico. La scienza è una risorsa, ma non può diventare un idolo. Dare tutto in mano agli scienziati o ai medici senza porsi troppe domande di tipo morale significa prepararsi a un domani espropriato della centralità dell’uomo». Un domani che conduce verso la realizzazione del sogno transumanista, che «in realtà, è un incubo».

Affermazioni decisamente condivisibili, ma alcune domande ulteriori andrebbero poste: siamo certi che questo “domani” non sia già presente? Non è forse già accaduto che si sia dato tutto in mano a scienziati e medici auto-accreditatisi come fedeli rappresentanti del verbo scientifico? Non è forse già accaduto che si sia accettato di somministrare e assumere farmaci sperimentali, senza porsi domande sulla loro efficacia e la loro sicurezza (vedi qui e qui), aspetti che portano chiaramente con sé il tema morale e non solo quello strettamente sanitario? Non è già accaduto che si siano imposte certe misure, con la pretesa di un’adesione incondizionata, come se fossero de fide, ma nel contempo con una radicale proibizione di riflettere, contrariamente ad un autentico atteggiamento di fede e assecondando invece il peggiore fideismo di ogni tempo?

Di nuovo, ancora delle domande: la modalità con cui è stata creata e gestita la pandemia non è parte, a pieno titolo, delle tappe per la realizzazione piena del transumanesimo? Dietro a quelle scelte che hanno portato a ritenere ovvio che intere nazioni dovessero essere forzatamente sottoposte a terapie geniche, non si cela forse una concezione dell’uomo come di una cosa tra le cose? Possiamo prendere in seria considerazione l’ipotesi che già ci troviamo di fronte al Leviatano, che non ammette soggetti di fronte a sé, ma solo utili e stupidi oggetti?