Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
IL QUADRO

Balcani in subbuglio. E le mosse dell’Ue non aiutano

Iniziati i colloqui, sospesi dal 2020, con la Macedonia del Nord e l’Albania per la loro adesione all’Unione europea. Ma Bruxelles, che ragiona come l’ex Urss, guarda ai Balcani in funzione anti-russa e ciò destabilizza ancora di più la regione. Si temono strascichi per la Bosnia ed Erzegovina. E intanto si riaccendono le tensioni tra Croazia e Serbia.

Attualità 21_07_2022 English Español
Michel, Macron, von der Leyen_vertice sui Balcani del 23 giugno 2022

I negoziati di adesione per la Macedonia del Nord e l’Albania sono iniziati l’altro ieri a Bruxelles: un momento storico per i due Paesi dei Balcani occidentali e per l’Unione europea, dopo il fallimento della conferenza del mese scorso, descritta sulla Bussola. Un cambio di passo, impresso da Bruxelles, per paura dell’influenza russa, ma anche per imporre una comunità politica (Epc) dal sapore sovietico.

Il processo per la candidatura della Macedonia del Nord era iniziato nel 2005. Il primo ostacolo era arrivato dalla Grecia, che aveva chiesto di cambiare il nome del Paese, problema risolto con gli accordi di Prespa del 2018, in cui Skopje ha accettato di aggiungere “Nord” al suo nome. In seguito, la Bulgaria ha chiesto il riconoscimento dei legami culturali e storici della minoranza bulgara nel Paese; per far ciò il Parlamento di Skopje dovrà modificare la propria Costituzione come richiesto, dopo un viaggio lampo, dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Nonostante la firma di un protocollo bilaterale tra Macedonia e Bulgaria, il cui governo è dimissionario, la modifica della Costituzione macedone potrebbe avere tempi lunghi, vista la forte contrapposizione e le tensioni accese tra l’attuale governo di minoranza dei socialisti (e minoranza albanese) e i conservatori, assolutamente contrari alle modifiche costituzionali che riconoscano le ragioni storiche delle minoranze bulgare. Il governo di Sofia ha comunque ribadito che l’Europa non potrà mai accettare il macedone come lingua ufficiale dell’Ue, essendo un dialetto.

La candidatura dell’Albania, presentata nel 2009, è stata da sempre legata a quella macedone e ora potrà progredire parallelamente, anche se dovrà affrontare una montagna di riforme sullo “Stato di diritto”. Il primo ministro ceco Petr Fiala, il cui Paese detiene attualmente la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea, ha dichiarato che tutti i Paesi dell’Ue hanno concordato l’apertura dei colloqui di adesione con l’Albania e la Macedonia del Nord, colloqui che erano sospesi dal 2020. Le prossime elezioni politiche in Macedonia del Nord saranno nel 2024 e i conservatori sono in crescita. Le proiezioni elettorali per le elezioni in autunno in Bulgaria vedono i conservatori in vantaggio. Cosa succederà se entrambi i governi socialisti e liberali verranno sconfitti dal voto popolare?

Il processo per diventare uno Stato membro dell’Ue è lungo, ma da quando la Russia ha invaso l’Ucraina l’importanza strategica dei Balcani occidentali per l’Ue e gli Usa è aumentata e tutta in chiave anti-russa. Ciò, insieme al mancato riconoscimento del Kosovo, è la ragione del blocco politico subito dalla Serbia nel percorso di adesione. Il voto del Parlamento europeo sulle relazioni di Serbia e Kosovo, pur non essendo vincolante, rimarca l’importanza dell’allineamento anti-russo (inaccettabile per Belgrado) e vincola i due processi di adesione al reciproco riconoscimento della sovranità, condizione inaccettabile per la Serbia.

Le tensioni si sono riaccese anche tra Croazia e Serbia. Il presidente serbo Aleksandar Vučić avrebbe voluto, domenica scorsa, visitare privatamente il memoriale di Jasenovac, un campo di concentramento della Seconda guerra mondiale in Croazia, dove sono morti migliaia di serbi. Ebbene, con la scusa delle ragioni diplomatiche e di sicurezza, la Croazia ha impedito la visita. Nei giorni seguenti, sono emerse le ragioni politiche vere contro la Serbia. Il primo ministro croato Andrej Plenković ha detto che la visita del presidente serbo sarà permessa “nel tempo giusto” e il ministro degli Esteri di Zagabria ha ribadito che continuerà a insistere affinché la Serbia applichi l’accordo bilaterale del 2005 sulla protezione della minoranza croata che vive nella regione della Voivodina. Il terrorismo europeo messo in atto contro la Serbia non potrà che avere strascichi in tutti i Balcani e in particolare in Bosnia ed Erzegovina. Con troppa superficialità si considerano i distinguo del governo di Belgrado, dopo le parole del ministro degli Interni serbo Aleksandar Vulin che, nei giorni scorsi, ha invocato la necessità di una patria comune per tutti i popoli serbi, di fatto un’unificazione tra l’attuale Serbia e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (che rappresenta il 49% dell’intero territorio della Bosnia ed Erzegovina e il 33% circa della popolazione).

Intanto, il 16 luglio, il presidente Vučić ha incontrato il membro, di etnia serba, della Presidenza della Bosnia-Erzegovina, Milorad Dodik, e Porfirije, il patriarca della Chiesa ortodossa serba, per informarli “sull’andamento dei colloqui che si stanno svolgendo sotto gli auspici dell’Unione europea sul Kosovo”. Lo stesso giorno si è avuta notizia della lettera generica di risposta del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, al presidente sloveno Borut Pahor che gli chiedeva di accelerare sull’adesione della Bosnia all’Ue. A pochi mesi dal voto, la situazione nel Paese è incandescente. Il ministro degli Esteri polacco Zbigniew Rau (presidente di turno dell’Osce), in visita in questi giorni nei Balcani, ha dovuto ricordare che il destino della Bosnia è nelle mani della sua classe dirigente. L’altro ieri il presidente del Comitato militare della Nato, l’ammiraglio statunitense Rob Bauer, ha ribadito da Sarajevo che la sicurezza della Bosnia ed Erzegovina è fondamentale per la stabilità dei Balcani occidentali e del resto d’Europa.

La raffazzonata proposta di Macron e Michel di promuovere una Comunità politica europea (Epc), tutt’altro che chiara e non alternativa al partenariato e all’adesione all’Ue, vista solo in chiave anti-russa ed eurocentrica, evoca gli spettri sinistri dei Paesi satelliti dell’ex Urss. L’acronimo Epc traccia un futuro comunista per l’Europa… Bruxelles sta ancora una volta sbagliando tutto.