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BALCANI

La guerra bussa ancora alle porte della Bosnia

A 27 anni dalla fine della guerra, i Bosniaci lottano ancora per cercare di costruire il loro Paese in cui vivere in pace. Ma forti segnali di destabilizzazione arrivano sia dalla Repubblica Srpska, sia dalla Croazia. Il Regno Unito manda suoi specialisti militari per fermare eventuali infiltrazioni russe.

Esteri 02_07_2022
Belgrado, graffito di Ratko Mladic

Sono passati 27 anni dagli accordi di Dayton, quando gli Stati Uniti mediarono l'accordo di pace che mise fine alla guerra tra Bosnia, Erzegovina, Serbia e Croazia. Le ombre di un oscuro passato tornano ad affacciarsi in Bosnia mentre i leader nazionalisti continuano ad alimentare le animosità etniche. A 27 anni dalla fine della guerra, i Bosniaci lottano ancora per cercare di costruire la pace e creare un paese dove le persone possono davvero vivere assieme, ma i segnali vanno in altra direzione.

Con quegli accordi, lo Stato della Bosnia-Erzegovina è stato costituito dalla Federazione di Bosnia-Erzegovina e dalla Repubblica Srpska. La Bosnia-Erzegovina è uno Stato completo e nessuna entità, seppur molto autonoma, potrebbe mai essere separata dalla Bosnia-Erzegovina se non attraverso un regolare processo legale. Giovedì la notizia che, improvvisamente, il Regno Unito  ha deciso di dispiegare in Bosnia, su richiesta della NATO, un gruppo di esperti militari, presumibilmente legati al servizio segreto militare britannico, per contrastare le influenze russe nel paese ed evitare ‘possibili e nuovi’ conflitti. "A tutti coloro che pensano di destabilizzare l'Europa e i Balcani occidentali, il mio messaggio è chiaro: l'Operazione [EUFOR] Althea è qui per impedirlo", dichiarava a Serajevo lo scorso marzo l’Alto rappresentante per la politica estera UE Josep Borrell, sottolineando che sostenere la pace e la stabilità in Bosnia-Erzegovina è diventato particolarmente importante, dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia.

Le tensioni, come abbiamo mostrato nelle scorse settimane su LaBussola, vengono da più parti e soprattutto dalla Croazia, paese dell’UE, non certo dalla Russia. Eppure lo scorso 12 giugno, i leader dei maggiori partiti della Bosnia avevano adottato a Bruxelles un accordo di principio che li impegnava a preservare uno Stato pacifico, stabile e indipendente e ad aderire ai valori dell'UE, anche in vista delle programmate elezioni del prossimo ottobre 2022. A pochi giorni dall’accordo, tra il 15 ed il 17 giugno scorsi il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik ha recentemente chiarito di non aver rinunciato al progetto di portare la metà serba della Bosnia-Erzegovina, la ‘Republika Srpska’, fuori dal Paese e chiesto un incontro con i leaders di Turchia, Croazia, Serbia e gli altri co-presidenti della Bosnia.

In un clima surriscaldato la NATO, manda le truppe inglesi, un bruttissimo segno ma, ahimè, non la sola notizia preoccupante. Infatti tra il 20 ed il 21 giugno, nell’incontro bilaterale tra Albania e Kosovo, oltre a sottoscrivere una ventina di accordi commerciali che confermano l’intenzione di una prossima ‘fusione’ tra i due paesi, il Premier Socialista albanese Edi Rama ha annunciato azioni forti per smantellare le accuse internazionali sui crimini di guerra, tra cui commercio di organi umani, compiuti dai leader kosovari durante la guerra con la Serbia, già condannati dal Tribunale Internazionale. Per altro verso, il vertice europeo per i Balcani occidentali del 23 giugno, è stato un completo fallimento: la Bosnia non ha ottenuto lo status di candidato, la Macedonia del Nord e l'Albania non hanno ottenuto i negoziati di adesione, il Kosovo non ha ottenuto la liberalizzazione dei visti, la Serbia non ha visto procedere il proprio dossier per l’adesione.

Tutti fortemente frustrati per la mancanza di progressi nel loro cammino verso l'UE e per la ‘perdita di tempo’. La Francia, proprio in queste ultimissimi minuti di Presidenza del Consiglio Europeo, sta annunciando di aver raggiunto un compromesso tra Bulgari e Nord Macedonia per l’accesso di quest’ultimo paese alla candidatura nella UE, ma anche ci si riuscisse, sarebbe un ben magro risultato perché a Bulgaria andrà ad elezioni anticipate nel prossimo autunno. Infatti, il governo guidato dalla ‘stella’ liberale Kiril Petkov e la sua coalizione, si è frantumato in pochi mesi ed i cittadini sono molto divisi e il sentimento pro Russia è diffusissimo. Secondo il ben informato sito di informazioni europee Euractiv, la ragione vera del deludente impegno di Commissione e Consiglio per l’allargamento ai Balcani è quella di una diffusa corruzione nell’area.

Tuttavia, non si vede la ragione per la quale questa ‘misura’ non sia applicata alla stessa Commissione europea che, dopo esser stata apertamente accusata di gravi opacità dall’ombudsman europeo per i rapporti intercorsi con la Pfitzer, ieri si è difesa confermando i sospetti. La Corte dei conti europea (CCE), ancora giovedì a denunciato sia l’abuso della Commissione per aver di aver utilizzato eccessivamente consulenti esterni per un valore 3,7 miliardi di euro dal 2017 al 2020 ed  i rischi connessi per l’autonomia europea da una così copiosa messe di consulenze esterne. Fatto sta che questa è l’Europa, totalmente disinteressata ai potenziali conflitti che stanno per scoppiare nei Balcani e pavidamente indifferente alla parole proccupanti e proccupate del Premier Serbo Aleksandar Vučić che negli ultimi giorni ha, dapprima denunciato il tentativo di Pristina di preparare un assalto militare alla zona a maggioranza serba del Kosovo e poi, venerdì, ha accusato Germania e Regno Unito di sostenere direttamente un conflitto tra Kosovo e Serbia che dal prossimo settembre potrebbe esplodere.

Una ‘tempesta’ senza precedenti:“Hanno bruciato decine di nostre chiese e monasteri e ucciso decine di persone, e come ricompensa hanno ottenuto un Kosovo indipendente”, ora basta. La guerra in corso tra Russia e Ucraina potrebbe estendersi alle porte dell’Italia, noi siamo assenti ingiustificati.