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PACE IN BILICO

Balcani, crescono le tensioni. E l’Europa è cieca

Si aggrava la situazione nei Balcani. Il presidente croato Milanovic usa parole incendiarie verso la Bosnia ed Erzegovina e accusa la Serbia per le violenze del 1995. A Sarajevo e Belgrado gli animi non sono tranquilli. E l’Ue ci mette del suo, biasimando duramente la Serbia sul Kosovo e facendo il gioco delle lobby.

Esteri 26_05_2022
Zoran Milanovic

La situazione è incandescente nei Balcani e nelle ultime settimane, come abbiamo descritto sulla Bussola, si sta aggravando. Rischiamo di pagare a caro prezzo la superficiale disattenzione nei confronti di ciò che sta avvenendo tra Serbia, Croazia, Kosovo e Bosnia ed Erzegovina. Sgombriamo il campo da ogni ambiguità, non c’è Paese dei Balcani che non desideri entrare a pieno titolo nell’Unione Europea, in primis la Serbia e la Bosnia ed Erzegovina che da anni attendono l’adesione. Questo il messaggio ribadito anche nell’incontro a Belgrado del 19 maggio tra il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e il presidente serbo Aleksandar Vučić.

L’idea promossa dal presidente Emmanuel Macron di una “Comunità politica europea”, che includa i 27 Paesi dell’Unione e tutti gli altri Paesi che abbiano già avanzato la richiesta di adesione, è sfiorita in poche settimane, visto che - oltre ai diretti interessati - anche la Germania ha dichiarato il suo impegno per la piena adesione dei Paesi balcanici.

La Croazia, con il presidente Zoran Milanovic, dal 19 maggio sta ‘bombardando’ la Bosnia con parole incendiarie. Dapprima ha dichiarato il proprio veto rispetto all’entrata di Svezia e Finlandia nella Nato, accusando i due Paesi scandinavi di promuovere sentimenti contrari alle comunità croate in Bosnia ed Erzegovina; poi ha auspicato l’approvazione di una “dichiarazione di indipendenza” di tali comunità dalla Bosnia e un pronto ricongiungimento con la madrepatria; infine, il 24 maggio, ha dichiarato apertamente il possibile scoppio di un conflitto armato in Bosnia. Ulteriore segnale inviato da Zagabria a Sarajevo è la scelta del governo croato di individuare, proprio ai confini con la Bosnia, un grande sito di raccolta e stoccaggio di materiali radioattivi.

Il presidente Milanovic, che è leader dei socialisti croati, non si è limitato agli strali contro i bosniaci: negli ultimi giorni, infatti, ha rinfocolato gli animi nazionalisti accusando e minacciando la Serbia di denunciarla per le violenze subite dai croati in Krajina nel 1995 e di bloccarne l’entrata nell’Ue.

Le dichiarazioni di Zagabria agitano animi per nulla tranquilli in Bosnia, dove il più noto analista politico musulmano, Zlatko Hadzidedic, ha descritto la realtà drammatica che il Paese sta vivendo: ciascuna comunità etnica sta pensando e collaborando con il proprio Paese di origine per costruire la Grande Serbia, la Grande Croazia. Altro aspetto, censurato ma palese nelle dichiarazioni: i musulmani di Bosnia, Kosovo e Albania stanno lavorando ad un grande Paese musulmano nel cuore adriatico dell’Europa. La stessa compagine dei partiti politici musulmani si è divisa nella scelta del proprio membro della “presidenza” trina, tra il socialista Denis Bećirović e il popolare e uscente Bakir Izetbegović. Non è nemmeno certo che le prossime elezioni in Bosnia ed Erzegovina siano la prima settimana di ottobre, come previsto dalla legge. Perciò protesta la Commissione elettorale centrale.

La Serbia si sta muovendo in una situazione difficile - come ha ribadito intervenendo a Davos il presidente Vučić - per tre ragioni: il suo rifiuto di sanzionare la Russia, la sua difesa dell’integrità territoriale contro le ambizioni indipendentiste kosovare, l’attenzione di Belgrado per la propria comunità che vive in Bosnia. Il rappresentante speciale della politica estera dell’Ue, Josep Borrell, ci ha messo del suo e ha duramente definito il ‘veto’ serbo, nei confronti del riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, come “un regalo alla Russia”. Il governo tedesco ha ammesso il proprio forte impegno per il riconoscimento internazionale del Kosovo come Paese indipendente. La presidenza italiana al Consiglio d’Europa si è salvata in corner e ha evitato, dopo l’espulsione della Russia, l’entrata a pieno titolo del Kosovo.

Tuttavia si rimane inquieti nel prendere atto come interi Paesi, autorevoli rappresentanti europei e, talvolta, organismi internazionali si pieghino ai voleri di lobby europee che inseguono proprie visioni geopolitiche e rispondono (direttamente o meno) ai propri finanziatori internazionali. Non può essere solo un caso che l’Esi (European Stability Initiative) sia stata la principale ispiratrice tre mesi or sono della scelta di espulsione della Russia dal Consiglio d’Europa (CoE) e, in queste settimane, la stessa Esi sia promotrice attiva dell’adesione del Kosovo, anche in sostituzione della Russia, al CoE. Il sospetto viene: dall’inizio della sua attività, l’Esi è stata sostenuta dall’Open Society di George Soros; di Borrell sono noti i trascorsi amichevoli con il magnate; il sostegno di Soros all’indipendenza del Kosovo risale almeno al 2013 e, infine, il suo intervento durissimo a Davos contro Mosca e i Paesi non ‘liberali’ è emblematico di chi è cosciente di essere ispiratore delle decisioni europee.

A questi ‘ordini’ perentori, cui l’Europa troppo spesso si piega, nei giorni scorsi Ungheria e Serbia hanno voluto rispondere clamorosamente, divulgando un video dell’incontro tra Orban e Vučić in cui i due presidenti si ripromettono lunga, sincera e granitica amicizia. L’incendio scoppia nei Balcani e, con un’Europa cieca o complice, rischiamo di scottarci tutti.