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Zone cuscinetto, cosa dice la risoluzione totalitaria dell’Emilia

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La risoluzione approvata dai consiglieri regionali dell’Emilia-Romagna attacca direttamente la preghiera vicino ai centri dove si abortisce. La “sponda” offerta da Castellucci. Le falsità del testo e il Regno Unito come modello implicito.

Vita e bioetica 20_09_2025
40 Giorni per la Vita (Modena)

L’Emilia-Romagna guidata dal centrosinistra vuole che in tutto il nostro Paese ci siano le zone cuscinetto attorno alle strutture dove si praticano aborti. Insomma, un’Italia sul modello totalitario del Regno Unito, dove si rischia di essere arrestati e indagati anche per una semplice preghiera silenziosa e solitaria. L’obiettivo della sinistra era già chiaro almeno dallo scorso autunno e inverno (vedi qui e qui), ma la risoluzione approvata dall’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna ha dato il marchio di ufficialità a quanto già si capiva dalle esternazioni di alcuni esponenti politici e gruppi abortisti.

La risoluzione è anche peggio di quello che era emerso sui media subito dopo la sua approvazione. Già nella sua premessa, è presa di mira direttamente la preghiera vicino ai luoghi dove si abortisce, pur con un’abile manipolazione del linguaggio e della realtà: il testo, riferendosi genericamente a «diverse realtà italiane», parla infatti di «pressioni psicologiche e intimidazioni, spesso celate sotto forma di “preghiere”, da parte di attivisti anti-aborto, cosiddetti “pro life”, nei pressi dei luoghi di tutela della salute delle donne e segnatamente della salute riproduttiva».

Un concetto – quello della «salute», della «salute psichica», del «benessere psicofisico» – ripetuto più volte nella risoluzione, in cui si afferma pure che «tra il diritto di manifestare e il diritto alla salute, sancito dall’articolo 32 della Costituzione, deve prevalere quest’ultimo». In che modo si tuteli la salute uccidendo il bambino nel grembo materno resta un mistero, tanto più considerando che la sindrome post-abortiva è una realtà documentata. Non per nulla esistono gruppi di guarigione dalle ferite dell’aborto (come ad esempio la Vigna di Rachele); e quest’ultima, peraltro, è una delle informazioni che i volontari pro-vita danno fuori dagli ospedali alle donne già passate da un aborto e che chiedono aiuto in questo senso.

Altra frase a effetto della risoluzione: «Il diritto di manifestare deve essere garantito a chiunque, ma non ovunque». Frase apparentemente giusta, ma che va calata nel contesto specifico: molte donne intenzionate o pressate ad abortire – magari ignare dell’esistenza di Centri d’aiuto alla vita e realtà simili – trovano spesso l’unica mano tesa ad aiutarle proprio vicino a ospedali e cliniche per aborti. È lì che spesso, sia in Italia che all’estero, si giocano i destini di tante mamme e figli. Impedire quindi una presenza pro-vita in questi luoghi significa togliere alle stesse donne quelle alternative che perfino la legge 194 indica di dare loro.

Occorre ricordare che questa spinta liberticida della sinistra emiliano-romagnola nasce a seguito dell’avvio a Modena, per la prima volta in Italia, dall’autunno 2023 in avanti, della campagna internazionale 40 Days for Life (40 Giorni per la Vita). La quale ha uno standard ben preciso, centrato sulla preghiera. Come già spiegava alla Bussola la referente per la campagna modenese, Maria Sole Martucci: «Si firma prima una dichiarazione di pace, dove si dichiara di non reagire a eventuali provocazioni. Se ci sono domande vengono scritte e mandate al referente, se c’è qualche richiesta di aiuto abbiamo dei volantini con tutti i numeri di telefono, i numeri verdi, le informazioni sui Centri di aiuto alla vita (Cav), tutte le indicazioni per le varie necessità. E alla domanda “cosa fate qui?”, noi rispondiamo: “Preghiamo per la fine dell’aborto”». In breve, si offre aiuto a chi lo chiede.

Ma è proprio contro questa presenza pacifica che si è scatenata la sinistra. Tra i primi, il sindaco di Modena, Massimo Mezzetti, citato nella risoluzione, che ha parlato di «manifestazioni politiche non spirituali». Il testo cita però a suo sostegno anche l’arcivescovo di Modena-Nonantola, Erio Castellucci (già al centro delle cronache per aver difeso la mostra blasfema “Gratia Plena”), che pochi giorni dopo le dichiarazioni incendiarie dello stesso sindaco ha messo in discussione l’opportunità di manifestare davanti al Policlinico, finendo così per fare il gioco degli abortisti che vogliono limitare i diritti dei pro-vita.

E la sinistra dell’Emilia-Romagna, come accennato, non vuole solo vincere in casa, bensì essere il laboratorio per l’imposizione delle zone cuscinetto in tutta Italia. La risoluzione chiede infatti «una legge nazionale che preveda queste misure di protezione», per «rafforzare il diritto delle donne di accedere ai servizi sanitari senza subire forme di condizionamento, in linea con le migliori pratiche a livello internazionale». Si può scommettere che le «migliori pratiche» a cui si ispirano i promotori del testo sono quelle del Regno Unito, che sta facendo scuola in tema di repressione della libertà di chi cerca di offrire un’alternativa all’aborto.

Sul piano pratico, la risoluzione impegna la Giunta regionale «a invitare i direttori generali delle aziende sanitarie (…) a mettere in discussione nei Comitati Consultivi Misti la questione della “opportunità” e “compatibilità”» delle manifestazioni pro-vita vicino alle strutture dove si abortisce; e in caso di quella che il testo definisce «auspicabile valutazione negativa» delle stesse manifestazioni (si immagini, quindi, quanta libertà di dissentire avranno le aziende sanitarie…), «di segnalare il parere alla locale Prefettura». Stessa procedura per i Comitati Territoriali Sociali e Sanitari (CTSS). Al punto f) si chiede poi alla Giunta di «promuovere azioni di monitoraggio» delle manifestazioni e «valutare l’adozione di eventuali provvedimenti aggiuntivi per tutelare i pazienti e il personale medico».

Per farla breve, nel solco delle scene surreali che oltremanica stanno diventando la “nuova normalità”, in Emilia-Romagna si potrebbe presto assistere a poliziotti che interrogano e addirittura arrestano volontari pro-vita per il solo fatto di sostare in preghiera in una zona dove gli abortisti non vogliono che stiano. Una criminalizzazione degna dei peggiori totalitarismi.



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