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Vita vs morte

A Modena prove di tirannia: gli abortisti vogliono le zone cuscinetto

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In corso, a Modena, 40 Giorni per la Vita: i volontari pregano davanti al Policlinico e offrono informazioni alle donne in cerca di un’alternativa all’aborto. Una presenza inaccettabile per politici e gruppi abortisti, che vogliono importare in Italia il sistema totalitario delle zone cuscinetto britanniche.

- Francia, nuove misure contro i nascituri, di Fabrizio Cannone

Vita e bioetica 14_03_2025
Volontari pro vita a Modena, marzo 2025 (foto da M.S. Martucci)

Guai a pregare vicino agli ospedali e guai a ricordare che esistono delle alternative all’aborto. In sostanza, è questo il messaggio che viene fuori dalle richieste di alcuni gruppi abortisti con base a Modena, nonché di politici di sinistra, che contestano lo svolgimento nella città emiliana della campagna internazionale 40 Days for Life (40 Giorni per la Vita), in programma dal 5 marzo al 13 aprile.

È la quarta voltadall’autunno del 2023 ad oggi – che a Modena si tiene la 40 Giorni per la Vita, nei pressi del Policlinico locale (ora su via Marzabotto). E in questo anno e mezzo è stato un crescendo di aggressività e dichiarazioni violente verso i volontari che aderiscono a questa iniziativa pro vita: basti vedere, a titolo d’esempio, le dichiarazioni incendiarie fatte nel settembre scorso dal sindaco Massimo Mezzetti, che si era spinto ad accusare di «subdola violenza» gli aderenti alla 40 Giorni per la Vita.

È allora bene ricordare in sintesi che cosa prevede questa campagna internazionale, che ha un formato ben preciso ovunque essa si svolga: i volontari pro vita si riuniscono per pregare per la fine dell’aborto; si impegnano con una dichiarazione scritta a non rispondere a eventuali provocazioni; se ricevono delle richieste di aiuto da parte di donne incinte (o chi per loro) danno dei volantini con numeri e informazioni utili; nel caso di domande particolari, queste vengono scritte e fatte avere al referente della campagna stessa.

Dunque, semplicemente, a queste veglie davanti agli ospedali si va per pregare e offrire una mano alle donne che scelgono di chiedere aiuto: donne cioè che hanno maturato l’intenzione di abortire solo perché, quell’aiuto, nessuno gliel’ha offerto prima; e che appunto, se aiutate, sarebbero ben felici di dare alla luce il bambino che portano in grembo.

Ma per qualche misteriosa ragione, la sola idea che le donne che vanno ad abortire possano in realtà voler evitare quell’aborto e avere bisogno di un’alternativa, manda in tilt gli abortisti senza se e senza ma. I quali ormai si spingono a chiedere, anche nella nostra Italia, uno strumento totalitario già presente nel Regno Unito: le zone cuscinetto intorno agli ospedali e alle altre strutture in cui si praticano aborti. È quanto si legge in un testo pubblicato dall’Unione Universitaria di Modena e Reggio Emilia – in pratica una raccolta firme, dal titolo “Aborto libero e sicuro” – in cui il collettivo studentesco dichiara di unirsi «alle altre realtà del territorio modenese, in primis Pro-Choice Modena, per richiedere nuovi strumenti legislativi (quali l’istituzione di “buffer zones” intorno ai presidi sanitari) per tutelare chi accede all’ospedale». Tutelare da chi e da che cosa lo abbiamo già detto: persone che pregano e danno volantini informativi a chi li vuole, sensibilizzando, con la loro presenza, sulla vita dei nascituri.

Ma è proprio questa semplice presenza a dare fastidio agli abortisti, che chiedono che «i luoghi di cura» rimangano «luoghi neutri e scevri da influenze ideologiche antiscientifiche», non accorgendosi delle contraddizioni in cui cadono. Innanzitutto perché, ahinoi, «i luoghi di cura», come gli ospedali, sono divenuti – con l’aborto legale – luoghi in cui si dà la morte ad esseri umani innocenti, persone come noi, che l’ideologia abortista riduce a meri “grumi di cellule”.

Altrettanto rivelatrice è l’idea di “scelta” espressa dall’Udu modenese. Il collettivo universitario, a proposito della 40 Giorni per la Vita, parla più volte di «presidi anti-scelta», che configurerebbero «una violenza» e «una pressione psicologica tanto su chi accede ai servizi [abortivi, ndr] tanto su chi li eroga». Nonostante la totale mistificazione del linguaggio – vedi il libero aiuto alle donne bollato come “violenza” e “pressione psicologica” nonché l’adozione della terminologia trans (tra asterischi e «persone gestanti») – i cosiddetti pro choice si autosmascherano, rivelando che per loro l’unica scelta possibile è l’aborto. A riprova del totale ribaltamento linguistico e morale, gli abortisti dell’Udu, dopo aver deplorato anche l’obiezione di coscienza e la presenza di «associazioni anti-scelta nei consultori», lamentano che «tutto ciò rappresenta un ostacolo a una scelta libera e consapevole, anche a causa della difficoltà nel reperire informazioni esaustive riguardo ai servizi di IVG». È l’ulteriore conferma: per questi gruppi la «scelta libera e consapevole» contempla solo l’aborto. Ogni alternativa, favorevole alla vita, è per loro da rigettare.

Una mentalità evidentemente totalitaria, che trova nella politica di sinistra una pericolosa sponda (basti vedere, ad esempio, gli interventi in questi giorni dell’ex parlamentare del PD, Giuditta Pini, o del consigliere regionale Lorenzo Casadei, del M5S). E se una mentalità simile continuerà a diffondersi, senza i necessari anticorpi, rischiamo di cadere rapidamente in un nuovo e più profondo abisso, quale quello del Regno Unito, dove le persone vengono arrestate (vedi qui e qui) solo per il fatto di pregare in silenzio davanti alle cliniche per aborti.

È del tutto retorico il riferimento che sempre l’Udu fa al «diritto di accedere ai servizi garantiti dal SSN». Fermo restando che l’aborto procurato è sempre un male, queste iniziative non impediscono certo alle donne di abortire. «A nessuna persona abbiamo mai impedito l’accesso in ospedale», ci spiega al telefono Maria Sole Martucci, referente per la comunicazione della 40 Giorni per la Vita di Modena: «Noi non impediamo niente a nessuno, piuttosto offriamo aiuti in più. Manteniamo un atteggiamento di preghiera pacifica e silenziosa. Se non veniamo interpellati non diciamo niente. La nostra preoccupazione è che la scelta sia veramente una scelta: le donne che vanno ad abortire sono tormentate ed è chiaro che sia così, perché l’aborto non è un diritto ma è un ripiego. A quelle persone che vivono questo tormento, noi diamo la possibilità di approfondire le loro motivazioni attraverso un confronto libero: per esperienza diretta, sappiamo che le mamme che arrivano lì per abortire, il più delle volte, non hanno ricevuto nessuna offerta d’aiuto per proseguire la gravidanza né un semplice incoraggiamento».

Tra gli aiuti offerti attraverso la 40 Giorni per la Vita, la Martucci sottolinea l’aiuto dato alle mamme colpite dalla sindrome post-aborto (un vero lutto da elaborare, vedi qui per approfondire). Per il resto, ci dice ancora la referente, è difficile sapere quante abbandonano l’idea di abortire, perché alle donne che chiedono aiuto vengono date le informazioni, i numeri per le varie necessità, indicati i Centri di aiuto alla vita (Cav) più vicini, eccetera, poi ognuna si muove da sé. In mezzo c’è qualche riscontro più sicuro, come quello di «una mamma che è tornata indietro e ci ha detto: “Volevo abortire e vedendovi ho cambiato idea”. C'è chi ringrazia, chi ci saluta, ci offre il caffè, ci danno segni di apprezzamento, ma non sappiamo la loro storia. Semplicemente, noi ci rendiamo presenti».



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