40 Giorni per la Vita, «preghiamo per la fine dell’aborto»
Ascolta la versione audio dell'articolo
Per la prima volta in Italia, a Modena, la campagna internazionale 40 Days for Life. Preghiera e digiuno per porre fine all’aborto, offrendo un’alternativa alle donne. La Bussola intervista Maria Sole Martucci, referente per la campagna.
Dal 27 settembre e fino al prossimo 5 novembre è in svolgimento a Modena, per la prima volta in Italia, la campagna internazionale 40 Days for Life (40 Giorni per la Vita). In ragione dell’iniziativa, in questi giorni alcune centinaia di volontari si stanno dando il cambio, in turni di due (a coprire un’ora), nei pressi del Policlinico cittadino, presidiando l’area di via del Pozzo per 12 ore, dalle 7 alle 19. Attività principale: la preghiera. Il fine: sconfiggere l’aborto. Nel mezzo, anche consigli e informazioni, per le donne che ne fanno richiesta e in cerca di un’alternativa all’aborto. Tra i volontari, molti cattolici, ma anche aderenti ad altre confessioni cristiane.
È la prima volta, dicevamo, che la campagna si svolge nel nostro Paese, almeno in questo formato, visto che negli anni scorsi altre iniziative (come quella della Diocesi di Ventimiglia) si sono ispirate alla 40 Days for Life, condividendone il fine ma diversificando il modello di azione. «L’adesione alla 40 Days for Life significa attivarsi contemporaneamente ad altre città in tutto il mondo, quest’anno sono 681. È un po’ un franchising come idea, nel senso che si dà una piccola quota, simbolica, per aderire al modello, che praticamente ti offre o le 12 ore su 24, come stiamo facendo a Modena, o le 24 ore su 24, giorno e notte, come fanno in molti Paesi», ci spiega la referente per la comunicazione della campagna modenese, Maria Sole Martucci. La Nuova Bussola l’ha intervistata.
Può spiegare in che cosa consiste precisamente la 40 Giorni per la Vita? Che cosa fanno i volontari?
La 40 Giorni è partita con lo spirito di pregare perché i cuori si aprano all’accoglienza della vita nascente. Quindi è un’iniziativa di preghiera, spirituale, che vuole sensibilizzare l’opinione pubblica e smuovere le coscienze. Fin dall’inizio, abbiamo avuto l’appoggio del nostro vescovo, mons. Erio Castellucci. Come agisce la 40 Giorni si vede un po’ nel film Unplanned. La formula proposta da 40 Days for Life ha ottenuto grandi risultati: è alla base della chiusura di molte cliniche della Planned Parenthood e di molti bambini salvati. Nella campagna di quest’anno, a livello mondiale, contiamo già 100 bambini salvati; dal 2007 ad oggi, sono circa 23.000! E molti casi non li veniamo neanche a sapere, perché certe mamme cambiano idea già solo vedendo i volontari. Questa è la nostra speranza, chiaramente.
La preghiera può essere singola o condivisa, silenziosa, ma si può pregare anche a voce alta. È una presenza ispirata alla mitezza. Si firma prima una dichiarazione di pace, dove si dichiara di non reagire a eventuali provocazioni. Se ci sono domande vengono scritte e mandate al referente, se c’è qualche richiesta di aiuto abbiamo dei volantini con tutti i numeri di telefono, i numeri verdi, le informazioni sui Centri di aiuto alla vita (Cav), tutte le indicazioni per le varie necessità. E alla domanda “cosa fate qui”, noi rispondiamo: “Preghiamo per la fine dell’aborto”.
Dunque, credete molto nella potenza della preghiera. Ci sono volontari che vi uniscono – per lo stesso fine di vincere l’aborto – anche il digiuno, giusto?
Sì, preghiera e digiuno. Ognuno fa il digiuno nella forma in cui si sente di farlo, perché c’è chi lavora, chi è già in pensione, dipende un po’ dal ritmo di ognuno. Sicuramente si fa il venerdì, però in linea di massima l’iniziativa è del singolo, a sua misura.
Quanti volontari sono stati coinvolti finora?
Noi ci siamo imposti, di nostra iniziativa, di assicurare la presenza di due volontari all’ora per tutte le 12 ore, per tutti i 40 giorni. Due perché, per pregare insieme, è più indicato. Però, poi tanti si aggiungono, gente che magari va sul posto per altre ragioni, si ferma e si unisce alla preghiera. Anche perché con il passaparola aumenta il numero degli aderenti. Tra i volontari fissi, cioè coloro che ripetono i turni, ci sono un centinaio di iscritti. Però, più o meno a metà della campagna, abbiamo fatto un conteggio di 230 persone con almeno un turno.
A proposito di Modena, superate le prime tre settimane, potete già tracciare un primo bilancio? Donne incinte o altre persone che si sono fermate?
Si sono fermate sia persone favorevoli all’iniziativa che sfavorevoli, hanno chiesto informazioni. Abbiamo saputo che sono aumentate le persone che chiedono informazioni ai sanitari dentro l’ospedale a proposito di noi e di eventuali alternative. Sappiamo di aver mosso qualcosa, però la discussione non avviene in strada.
Quindi, la sola presenza si rivela un fattore determinante?
Sì.
Questo spiega anche perché, dal punto di vista di chi vuole promuovere l’aborto a tutti i costi, in Paesi come il Regno Unito si sia giunti a vietare la presenza di volontari pro vita e in certi casi perfino la loro preghiera silenziosa.
Questo ci dice che abbiamo toccato il nervo giusto, ci dice anche a che punto di gravità sono giunti nel Regno Unito e che è giusto prendersi tutto lo spazio che ci è concesso, per cambiare le cose finché siamo in tempo.
Al di là del fatto che non avvengono discussioni in strada, siete in grado di dire quali bisogni emergono, se a livello di sostegno morale, materiale o entrambi?
Qualcosa è emerso perché, in fase di allestimento della campagna, qualche persona ci aveva avvicinato discretamente. Abbiamo già incontrato qualche mamma che avendo abortito cercava un aiuto psicologico: e in questi casi possiamo indirizzare alla Vigna di Rachele o ad altre realtà di aiuto. Ci siamo anche appoggiati un po’ alla Comunità Papa Giovanni XXIII.
Nel caso di bisogni materiali, quindi, indirizzate le donne ai Centri di aiuto alla vita?
Sì, consegniamo i volantini, con gli orari e i numeri di telefono. Esiste ad esempio il Progetto Gemma, che è un progetto di finanziamento per il mantenimento del bambino per un anno e mezzo, dal terzo mese dal concepimento fino all’anno di età in genere, un contributo di 200 euro al mese.
Avete fatto un’iniziativa, La voce delle donne, in cui vi siete interrogate sulla “libertà” delle donne che intendono abortire, che in realtà è un mito, oltre che una falsa libertà. Molte donne cercano invece un’alternativa?
Certo, abbiamo avuto delle testimonianze molto toccanti in questo senso e ci hanno tutte confermato che nessuno, proprio nessuno le spingeva a tenere il bambino né proponeva loro un’alternativa. Abbiamo incontrato una mamma a cui gli operatori sanitari hanno proposto un colloquio col Cav: e lei il suo bambino lo ha avuto. Ma di norma questo non succede. E anche questo è un punto che vorremmo ritirare fuori, perché è fuorviante parlare di “libertà” se nemmeno si offre alle donne la completezza dell’informazione, spiegando loro che le alternative all’aborto ci sono.
Ma quest’ultimo messaggio spesso non viene fatto passare…
Esatto. Il senso è proprio di interpellare le coscienze, da essere umano a essere umano, e offrire alle donne tutto l’aiuto possibile. Questa, secondo me, è una strada che si può percorrere con un certo successo, anche perché veramente ci mettiamo nelle mani del Signore, collaborando con il Suo amore per porre fine all’aborto: noi ci offriamo come strumento e Lui vedrà cosa fare di noi.
«Io, dall’abisso dell’aborto alla vita nuova in Dio»
«Non c’è nessun peccato e nessun male che non venga perdonato se l’uomo si pente. E veramente il Signore, dal male più grande, sa trarre il bene più grande. Io vedo questo nella mia vita…». Daria, trentottenne, racconta alla Nuova BQ il baratro in cui era sprofondata dopo aver abortito a 20 anni e da cui è venuta fuori grazie alla sua conversione e a un ritiro con la Vigna di Rachele. E oggi dice: «Questo bambino mi protegge e mi guida dal Cielo»
«Io, pro-vita, arrestata perché pregavo in silenzio»
Il 6 dicembre 2022 è stata arrestata a Birmingham perché pregava, nella sua mente, davanti a una clinica per aborti, quel giorno chiusa. Andrà a processo per aver violato l’ordine che di recente ha istituito una zona cuscinetto attorno alla clinica. «Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito oltre cento donne», ma ora il divieto «ci impedisce di essere lì nel momento in cui hanno più bisogno di noi». La Nuova Bussola intervista Isabel Vaughan-Spruce.
- VIDEO: C'È GIÀ LA POLIZIA DEL PENSIERO E NESSUNO SE NE PREOCCUPA, di Riccardo Cascioli
Ru486, donne che raccontano l’inferno. E come ne sono uscite
Dopo il ribaltamento della Roe v. Wade, l’industria abortista spinge sempre più sull’invio di pillole come la Ru486. I dati della FDA testimoniano il pericolo per le donne (almeno 20 morte dal 2000 al 2019). Chi c’è passata conferma: Krissy Spivey e Dora Esparza si raccontano al Christian Post, svelando i traumi fisici e psichici legati all’aborto con pillola. E come si sono tirate fuori dall’abisso.
«Io, veterano di guerra britannico, sfido il "dovere" di aborto»
Ha combattuto per la libertà in Afghanistan, e ora è sotto processo in Inghilterra per aver pregato in silenzio per il suo figlio abortito vicino a una clinica per aborti. Adam Smith-Connor spiega alla Bussola la sua battaglia per difendere la vita e la libertà di pensiero. Che nasce dalla sua conversione.
Come rinascere dopo l'aborto, il "lutto proibito"
"Ci siamo trovati con persone che dopo aver vissuto un aborto hanno tentato di chiudere questa vicenda, di risanarla, senza però trovare il tempo e lo spazio necessari. Non si tratta solo di una ferita psicologica, è una profonda ferita spirituale che va guarita, con l'aiuto di Gesù". Intervista a Monika Rodman, responsabile in Italia della Vigna di Rachele, un apostolato che organizza periodicamente ritiri di tre giorni per favorire la guarigione interiore di uomini e donne che portano dentro di sé il dolore di un aborto, aiutandoli a riconciliarsi con il figlio perduto.