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UCRAINA

Volinia, riconciliazione fra ucraini e polacchi nel nome di san Giovanni Paolo II

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Zelensky e Duda, la Chiesa polacca e ucraina hanno reso omaggio alle vittime dello sterminio dimenticato dei polacchi in Volinia, ad opera degli ucraini nel 1943. Un percorso di riconciliazione avviato da san Giovanni Paolo II. 

Cultura 11_07_2023
Memoriale per le vittime polacche in Volinia

Verità e riconciliazione per la Volinia, la regione contesa fra Polonia e Ucraina, ora appartenente a quest’ultima. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il suo omologo polacco Andrzej Duda hanno reso omaggio alle vittime dello sterminio dimenticato, così hanno fatto la Chiesa polacca assieme a quella ucraina, a Lutsk, capitale della regione. Circa 100mila polacchi (secondo fonti di Varsavia) vennero sterminati dai miliziani dell’Upa, l’esercito indipendentista ucraino nell’estate del 1943, quando sia Polonia che Ucraina erano sotto occupazione nazista. Migliaia di ucraini vennero uccisi per rappresaglia dai partigiani polacchi.

La memoria dell’eccidio, che i polacchi definiscono “genocidio” (gli ucraini tuttora non lo riconoscono come tale) ha creato diffidenza e inimicizia a cavallo della frontiera dell’Ucraina occidentale, una di quelle storie proibite riaffiorate dopo il collasso sovietico. La memoria è stata celebrata nel giorno dell’80mo anniversario, nella cattedrale dei santi Pietro e Paolo di Lutsk, culmine di un percorso avviato in Polonia da san Giovanni Paolo II.

Nella dichiarazione congiunta di monsignor Stanisław Gądecki (arcivescovo metropolita di Poznan) e di Sviatoslav Shevchuk (arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina), si legge: “Il nostro patrono sulla via della riconciliazione polacco-ucraina è Santo Giovanni Paolo II. Dobbiamo ricordare la sua iniziativa e il suo patrocinio personale sull'avviamento di questo processo. All'inizio del suo pontificato egli disse: ‘Gli ucraini devono sentirsi valorizzati... La Chiesa non ha il diritto di sottrarre loro la verità storica nel nome dell'ecumenismo’ (Jasna Góra, 5 giugno 1979). Nella maturazione spirituale per superare l'egoismo individuale e popolare abbiamo bisogno di un santo patrono che ci guidi lungo le vie della conversione”.

Dopo aver sottolineato la differenza fra il perdono (“è un'esperienza interiore. Avviene nel profondo del cuore e non dipende dal prossimo”) e la riconciliazione (“richiede la partecipazione di tutte le parti coinvolte nel conflitto, e può basarsi solo sul perdono reciproco” e deve essere basata “sulla verità e sulla giustizia”), i due vescovi scrivono: “Dopo anni di azioni congiunte dei vescovi polacchi e ucraini di entrambi i riti possiamo dire che sulla carta la riconciliazione è già stata raggiunta. Non discutiamo dei fatti della storia recente e della loro valutazione. In questi tragici mesi questo si è tradotto in azioni concrete scaturite dal senso di vicinanza, anche affettiva, con i nostri fratelli di sventura. Milioni di polacchi hanno aperto le loro case e i loro cuori ai rifugiati ucraini”.

La guerra iniziata con l’invasione russa dell’Ucraina, insomma, ha portato a compimento il lento processo di riconciliazione fra i due popoli.  Anche per un fine comune. Quanto all’accoglienza in Polonia dei rifugiati ucraini e all’aiuto polacco all’Ucraina invasa, si legge nella nota: “Lo facciamo in vista del comandamento del Vangelo, ma anche nella consapevolezza che questa volta gli ucraini stanno lottando ‘per la nostra e la vostra libertà’. Paradossalmente, il risultato del tentativo russo di distruggere il popolo ucraino ha portato al riavvicinamento tra i nostri popoli”. La guerra in corso riecheggia anche in un altro passaggio importante della dichiarazione congiunta: “dopo l'apertura delle fosse comuni di Bucha, Irpin e Hostomel comprendiamo tutti quanto sia importante citare per nome i colpevoli, riesumare le vittime e onorare il loro diritto a una degna sepoltura e alla memoria”.

Resta ancora molto da lavorare per riportare a galla tutta la verità sulla pulizia etnica del 1943. Ma soprattutto serve riaccendere una luce sul quadro completo, per capire le dimensioni della tragedia provocata dai due totalitarismi del Novecento in quella terra martoriata.

Una “terra di sangue” come lo storico Timothy Snyder definì il pezzo di Europa che va dal Baltico al Mar Nero, occupato dai sovietici e dai nazisti: la Volinia, oggi in Ucraina occidentale, prima della Grande Guerra faceva parte dell’Impero Austro-Ungarico, dal 1918 entrò a far parte della nuova Polonia. La coesistenza di ucraini ed ebrei con le nuove autorità controllate dai polacchi fu da subito molto difficile e soprattutto fra gli ucraini si diffuse un forte sentimento nazionale.

La prima annessione avvenne nel 1939, quando Germania nazista e Unione Sovietica, a seguito del Patto Ribbentrop-Molotov si spartirono la Polonia. Le regioni orientali, inclusa la Volinia, vennero annesse da Mosca. Il 17 settembre, quando l’Armata Rossa varcò il confine, l’esercito polacco era stato quasi del tutto distrutto dall’invasione nazista. Senza dichiarazioni di guerra, i sovietici invasero dietro il pretesto di “proteggere le popolazioni ucraina e bielorussa” (le parole sono di Molotov) in uno Stato in via di disintegrazione.

I sovietici non persero tempo a realizzare il loro programma di violenta trasformazione sociale. Tutte le manifestazioni religiose vennero vietate, 400mila polacchi furono arrestati e deportati sulla base della loro mera appartenenza di classe. Proprietari terrieri, sacerdoti, insegnanti, funzionari, poliziotti, prostitute, esperantisti, filatelici… erano tantissime le categorie sociali e le professioni ritenute “nemiche”. Venne decapitata l’intera classe degli ufficiali, deportati in Russia e fucilati in massa, poi sepolti nelle fosse comuni di Katyn. Con la loro liquidazione, Stalin distrusse il meglio della società polacca, ventimila uomini fra i più influenti, colti, militarmente preparati.

La seconda invasione avvenne due anni dopo, il 22 giugno 1941, con l’inizio dell’Operazione Barbarossa la Volinia fu una delle primissime regioni ad essere occupate dai tedeschi. I nazisti si concentrarono soprattutto sullo sterminio degli ebrei, che vi abitavano in gran numero. Entrarono in azione le squadre della morte, le Einsatzgruppen della polizia militare: fucilavano intere comunità e le seppellivano in fosse comuni, in quella che viene ricordata come la “Shoah delle pallottole”. Furono circa 1 milione e 300mila gli ebrei assassinati nella regione. Quelli che si salvarono si diedero alla macchia, assieme ai partigiani sovietici.

La guerra partigiana contro l’occupante nazista si dimostrò da subito molto frammentata e per questo portò a crimini e violenze di massa sempre peggiori. L’Armija Krajova (Ak) polacca si batteva per la restaurazione dell’indipendenza polacca nei suoi confini d’ante guerra, i partigiani sovietici per l’annessione di quelle terre all’Urss e infine i partigiani ucraini, che rispondevano al governo clandestino dell’Oun di Stepan Bandera, miravano all’indipendenza sia dai polacchi che dai sovietici e accettarono anche l’alleanza con i nazisti.

Nel 1943, dopo la battaglia di Stalingrado, gli indipendentisti ucraini incominciarono a non credere più all’alleanza con la Germania e a scalpitare per l’indipendenza. E fu proprio in questo contesto che maturò la decisione di compiere la pulizia etnica dei polacchi che abitavano in Volinia. I miliziani dell’esercito indipendentista, l’Upa, rasero al suolo circa 150 villaggi, assassinando decine di migliaia di polacchi, fino a 100mila secondo Varsavia, soprattutto civili oltre che membri dell’Ak. Per rappresaglia, i partigiani polacchi uccisero circa duemila ucraini, soprattutto contadini locali.

Nel settembre del 1944, l’Armata Rossa completò la “liberazione” della Volinia. Stalin e i comunisti polacchi strinsero un patto fra ineguali (come tutti i partiti comunisti, anche quello polacco prendeva ordini da Mosca) per uno “scambio di popolazioni”. Paradossalmente, fu proprio Stalin, il “liberatore” a completare il lavoro dei nazionalisti ucraini, scacciando circa 780mila polacchi dalle loro case in Volinia, per spedirli nella nuova Polonia comunista. Una nazione completamente nuova che aveva perso metà del suo territorio a Est, per guadagnare le regioni tedesche di Prussia e Slesia. I polacchi scacciati dalle terre che vennero annesse dall’Ucraina sovietica andarono infatti a riempire il vuoto lasciato da milioni di tedeschi, scacciati dalle loro case dopo la guerra.

A coronamento di questa vicenda di sangue, il nuovo regime comunista polacco espulse tutti gli ucraini che abitavano entro i suoi confini. Con un’unica operazione di “trasferimento”, mezzo milione di cittadini di origine ucraina vennero cacciati dalla Polonia verso la nuova repubblica sovietica. Subito dopo la guerra, circa 180mila ucraini furono deportati nei Gulag sovietici.

Per questo, con l’imposizione del controllo sovietico su tutto il territorio conteso, la storia degli eccidi in Volinia venne archiviata dal nuovo potere. Nessuno aveva l’interesse politico a raccontarla, se non a scopo propagandistico per alimentare l’odio contro il nazionalismo ucraino, contro cui Stalin dovette combattere per anni anche dopo la guerra. Cancellando o distorcendo la memoria, il regime comunista ha reso molto più lunga e ardua la riconciliazione.