Viaggio a Ravenna, città imperiale
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Per ben tre volte capitale, l'aria dorata dei suoi mosaici riecheggia anche nel Paradiso di Dante, che qui è sepolto. Vi si respirano la storia dell'arte e della Chiesa e un'atmosfera unica da assaporare in silenzio.
D’Annunzio l’ha inserita nelle città del silenzio, quelle città che hanno goduto nel passato di un’epoca d’oro dal punto di vista culturale, politico e artistico e che nella contemporaneità trasmettono la nostalgia del tempo che fu. Nel novero compaiono, tra le altre, anche Ferrara, Pisa, Urbino, Padova, Lucca, Assisi, Todi, Spoleto, Rimini.
Ravenna fu nella sua storia per ben tre volte capitale. L’impero romano d’Occidente, diviso da quello d’Oriente nel 395 ad opera dell’imperatore Teodosio, ebbe prima come capitale Milano dal 395 al 402, poi Ravenna dal 402 al 455, Roma dal 455 al 473 e, infine, di nuovo Ravenna dal 473 al 476. Il 476 fu l’anno ufficiale della fine dell’impero romano d’Occidente con la deposizione dell’imperatore Romolo Augustolo. Gli Ostrogoti, che subentrarono ai Rutuli di Odoacre, vi posero la capitale del loro regno dal 493 al 540. Infine, l’Esarcato di Ravenna, circoscrizione amministrativa dell’impero romano d’Oriente, ebbe il suo centro nella città romagnola dal 584 al 751.
Insomma, a Ravenna ben si addice il titolo di città imperiale, insieme a Roma. E non sarà un caso se Ravenna segue Roma tra le città d’Italia più estese: più di 600 km quadrati.
Montale ne aveva colto come tratto distintivo l’orientalità quando scriveva in Dora Markus che nella città “un’antica vita/ si screzia in una dolce/ ansietà d’Oriente”.
Nel 535 l’imperatore d’Oriente Giustiniano aveva promosso una campagna militare di riconquista dell’Africa settentrionale e dell’Italia per riportare l’impero all’antica grandezza ed estensione territoriale. L’esercito, guidato dal generale Belisario prima e da Narsete più tardi, riuscì a riconquistare parte dell’Italia e del precedente impero romano d’Occidente, ma solo per poco tempo. Solo Ravenna ed altre città rimasero sotto l’impero d’Oriente e costituirono più tardi l’Esarcato.
I magnifici mosaici di Sant’Apollinare Nuovo cantano la grandezza dell’impero orientale, di Giustiniano. Eretta da Teodorico, re dei Goti, tra il 493 e il 526, dopo la cacciata dei Goti ariani la chiesa fu convertita all’ortodossia cattolica. Fu dapprima dedicata a san Martino, vescovo di Tours, e solo in un secondo momento, a metà del IX secolo, a sant’Apollinare, quando le reliquie del primo vescovo vennero ivi traslate dalla basilica di Sant’Apollinare in Classe, ove i resti non erano più al sicuro per gli assalti dei pirati.
I mosaici rappresentano i momenti salienti della vita di Cristo, la teoria dei martiri e delle vergini, i santi e i profeti, il Palazzo di Teodorico (indicato con la scritta Palatium), l’imperatore Giustiniano, il porto di Classe, all’epoca il più grande di tutto l’Adriatico e una delle maggiori sedi della flotta imperiale, la Madonna Madre di Dio (Theotókos), Gesù in trono tra gli angeli.
Componendo la terza cantica Dante ha respirato l’aria dorata dell’arte musiva ravennate. Tanti canti del Paradiso risentono di una sorta di ravennità. Il canto VI, in cui parla Giustiniano, ne è un esempio, come pure i richiami al martire san Lorenzo del IV canto, rappresentato nel Monumento di Galla Placidia mentre si affretta al martirio verso la graticola per dare testimonianza di fede. Il santo si muove senza che nessuno lo spinga al martirio offrendo uno straordinario esempio di forza d’animo. Nei mosaici ravennati non vengono mai rappresentati né il male né tanto meno gli autori del male.
Il martire Lorenzo patì il supplizio nel 258 d. C. durante le persecuzioni dell’imperatore Valeriano che emanò un decreto per cui dovessero essere messi a morte vescovi, presbiteri e diaconi. Il 6 agosto fu la volta di Papa Sisto II, il 10 agosto seguì Lorenzo, probabilmente bruciato su una graticola messa sul fuoco.
Sant’Apollinare in Classe, la più grandiosa basilica ravennate, consacrata nel 549, ospita nel catino absidale e nell’arco trionfale una delle più vaste superfici musive giunteci dall’antichità. Vi sono raffigurate la Trasfigurazione di Gesù e la figura di sant’Apollinare mentre prega tra due schiere di agnelli in un ampio prato ricco di vegetazione e di animali.
Ai lati dell’abside troviamo a sinistra l’imperatore bizantino Costantino IV che conferisce alla Chiesa di Ravenna i privilegi per l’autocefalia, mentre a destra Abramo, Abele e Melchisedech che offrono un sacrificio al Signore.
Era chiamata Sant’Apollinare in Classe, perché in latino classis significa “flotta”, perché in epoca romana nelle vicinanze c’era il porto che ospitava la seconda flotta permanente della marina militare dell’impero romano.
Boccaccio ambientò vicino a Classe una delle novelle più celebri, quella di Nastagio degli Onesti che, innamorato di una giovane nobile della famiglia dei Traversari, non ricambiato, decide di trasferirsi fuori città. La novella appartiene alla quinta giornata e l’infelice amore di Nastagio approda finalmente alla corrispondenza della donna. La pineta che si trova vicino a Classe diventa il palcoscenico teatrale dell’intreccio.
Possiamo ammirare l’arte musiva ravennate, il più grande patrimonio al mondo, anche nella Basilica di San Vitale, nel Mausoleo di Galla Placidia, nel Battistero degli Ariani, nel Battistero dei Neoniani (l’edificio battesimale meglio conservato al mondo).
La visita di questi luoghi non è solo un viaggio nella storia dell’arte, ma permette anche un incontro significativo con la storia della Chiesa delle origini e con le vicende di secoli della nostra penisola.
Ma Ravenna è ben di più. L’atmosfera che vi si respira è unica. Bisogna ascoltarla e assaporarla anche nel silenzio.
Bisogna percorrere le vie, le piazze, rivivere le vestigia antiche, pensare ai grandi che hanno calpestato quelle strade, recarsi come “in pellegrinaggio” sulla tomba di Dante che ivi riposa al fondo della via omonima. A Ravenna Dante morì nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. Il signore della città Guido Novello da Polenta lo fece seppellire in un piccolo tempietto con la promessa di fare costruire poi un grande mausoleo. Uscito dalla città, Guido Novello non poté più far ritorno. A Ravenna rimase il corpo di Dante per tutti i secoli successivi.
Ancora oggi la tomba rimane uno dei luoghi più visitati della città. Firenze cercò tante volte di avere le ossa del poeta per collocarle in Santa Croce, ove riposavano i grandi, per dirla col Foscolo. Ma la città non riuscì mai ad avere con sé il Sommo Poeta. I Francescani che risiedono nel convento vicino alla tomba nascosero le sue ossa ogniqualvolta i fiorentini mandavano una spedizione per recuperarle.
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