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IL PUNTO MORALE

“Vaccino per tutti”, dove sbaglia la nota vaticana

Il documento pubblicato dalla Commissione Vaticana Covid-19 in collaborazione con la PAV difetta dell’analisi di un criterio essenziale per verificare la liceità dell’uso dei vaccini ricavati da feti abortiti, cioè lo stato di necessità. La nota manca anche laddove arriva a formulare quasi un comando morale di vaccinarsi, perché non tiene conto che non c’è certezza sull’efficacia dei vaccini anti-Covid.

Vita e bioetica 06_01_2021

Torniamo a parlare della nota «Vaccino per tutti. 20 punti per un mondo più giusto e sano» pubblicata dalla Commissione Vaticana Covid-19 in collaborazione con la Pontificia Accademia per la Vita. In questo documento vi sono molte indicazioni e riflessioni interessanti, ma quello che fa difetto è, per l’appunto, ciò che manca. Già Stefano Fontana, da queste colonne, ha rilevato alcune deficienze di questa nota. Oggi ne vogliamo evidenziare altre di carattere etico.

Il focus valoriale della nota è incentrato sull’accesso universale al vaccino: questa è l’esigenza e l’urgenza principale di carattere morale. La questione dei vaccini ricavati da feti abortiti (su cui siamo intervenuti in più occasioni: clicca qui, qui, qui, qui e qui) viene sì affrontata, ma più con l’intento di superare le obiezioni ricorrenti che con l’intento di richiamare le coscienze dei credenti e non credenti alla tutela della vita nascente. Ma al di là della questione di dove si pone il baricentro della riflessione morale della nota, occorre rilevare che, laddove questa mette a tema la problematica dei vaccini ricavati da feti abortiti, l’analisi morale difetta di un criterio essenziale per verificare la liceità dell’uso di questi vaccini, il criterio dello stato di necessità. In altri termini la Commissione non dà risposta al seguente interrogativo: è necessario usare questi vaccini per sconfiggere il Covid? Tale principio viene assai blandamente richiamato dalle espressioni «in assenza di alternativa» e «a precise condizioni» (n. 13), locuzione, quest’ultima, che allude allo stato di necessità ancor più implicitamente. Troppo poco.

Perché questi riferimenti sono insufficienti? Se la nota di qualche giorno fa della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) aveva il compito di indicare, in modo sintetico, i criteri che legittimano l’uso di un vaccino messo a punto usando linee cellulari provenienti da un aborto, questa Commissione ha invece il compito, tra gli altri, di articolare maggiormente questi stessi criteri. La Commissione infatti nasce per dare indicazioni e risposte ai molti quesiti, non solo morali, che riguardano il Covid, indicazioni più pratiche e più particolari di quelle che potrebbe dare una CDF che giustamente non deve scendere molto nello specifico, ma indicare i principi generali di azione. In questa prospettiva era suo dovere affermare, relativamente al problema dei vaccini ricavati da feti abortiti, che, se vi sono altri vaccini che non sollevano questi problemi morali e sono ugualmente efficaci, si devono usare quelli e che non esiste soltanto il vaccino per sconfiggere il Covid ma si può far ricorso ad alcune terapie e a particolari stili di vita. Inoltre, tenuto conto dello spazio dedicato dalla Commissione al principio di proporzione in materia di vaccini provenienti da feti abortiti e a diverse tematiche minori, occorreva assegnare un congruo spazio di approfondimento al tema dello stato di necessità appena indicato.

Vi è poi un secondo rilievo da appuntare a questa nota, un rilievo che interessa nuovamente una mancanza, ossia una serie di considerazioni che si dovevano articolare e che non si sono articolate. Il tema è quello dell’obbligo morale di vaccinarsi (un nota bene: non si parla nel documento dell’obbligo giuridico di vaccinarsi, di cui abbiamo trattato in questo articolo, ma del dovere morale del singolo di vaccinarsi). La nota non parla esplicitamente di dovere morale, ma di responsabilità morale della vaccinazione. Detto ciò, però, lo sforzo persuasivo contenuto nella sezione dedicata a questo tema è così intenso che sfiora il comando.

Ora domandiamoci: esiste un obbligo morale di vaccinarsi contro il Covid? Il dovere di compiere un bene esiste, innanzitutto, se siamo ragionevolmente certi che l’azione oggetto di dovere è, per l’appunto, un bene, ossia, nel nostro caso, che vaccinarsi arrechi più benefici che danni. Ora quel che è certo è che la questione è incerta perché dibattuta. Ossia, prendendo in esame i vaccini eticamente accettabili (sia provenienti da feti abortiti che non), non abbiamo quel grado di certezza o probabilità che ci permette di affermare che il vaccino sia efficace, sia in termini di tutela dal Covid per sé e per gli altri sia in termini di effetti indesiderati sulla salute.

Detto ciò, però una persona, prendendo come riferimento sempre il criterio di efficacia/proporzione, potrebbe lecitamente sentirsi obbligata in coscienza a vaccinarsi perché potrebbe mettere su un piatto della bilancia lo stato di incertezza in merito ai benefici sperati dal vaccino e sull’altro piatto la sua condizione personale. Ad esempio una persona molto anziana gravata da un quadro patologico severo, ma compatibile con la vaccinazione, potrebbe scegliere di vaccinarsi perché, sebbene non vi sia certezza sulla bontà del vaccino ma nemmeno certezza sulla sua dannosità, il gioco per lei varrebbe la candela e, in tal modo, soddisferebbe il dovere morale di tutela della propria salute e vita. Potrebbe poi lecitamente scegliere la vaccinazione rispetto alle cure, nel caso in cui si dovesse ammalare, proprio a motivo delle patologie che già intaccano il suo organismo, le quali le consiglierebbero di affrontare il rischio della vaccinazione rispetto al rischio del Covid, assai più grave per lei.

Un’altra persona poi potrebbe sentirsi obbligata in coscienza a vaccinarsi perché, nonostante giovane e senza patologie rilevanti, vive con persona che non può vaccinarsi, ad esempio paziente immunosoppresso, dovendosi precisare che in quella regione dove entrambi vivono gli unici vaccini disponibili non sono quelli di tipo «mRNA», ma quelli con agenti infettivi depotenziati non iniettabili agli immunosoppressi. Sentirebbe quindi il dovere morale di tutelare il prossimo, sebbene vi sia un certo grado di incertezza in merito all’efficacia del vaccino nell’impedire che il vaccinato contagi altri. Terzo caso: una giovane donna, senza patologie importanti, non sente il dovere di vaccinarsi perché ritiene un rischio remoto, se infettata, di andare incontro ad espressioni patologiche severe e perché confida più nelle cure precoci che nel vaccino.

Questi esempi ci fanno comprendere quando può scattare un dovere morale di vaccinarsi stante l’incertezza sull’efficacia del vaccino: quando la qualità/incidenza degli effetti positivi e la probabilità che questi si verifichino viene giudicata di maggior peso rispetto alla qualità/incidenza degli effetti negativi e alla probabilità che questi si verifichino. Per determinare la qualità/incidenza degli effetti, sia positivi che negativi, e la probabilità che questi si verifichino riveste un ruolo rilevantissimo, come abbiamo visto, la condizione personale: età, malattie presenti e pregresse, condizioni di vita, esigenze professionali, etc. Le variabili sono infinite e quindi, se è predicabile un dovere del singolo di vaccinarsi, non è predicabile, allo stato attuale, un dovere generale di vaccinarsi, proprio perché è la condizione particolarissima che può indicare un dovere di vaccinazione. In caso contrario la vaccinazione diventerebbe quasi un dovere morale assoluto, ma nessun dovere affermativo (obbligo di fare qualcosa) è mai assoluto, ma sempre contingente, ossia non può valere per sempre e per tutti.

Queste riflessioni rimandano poi ad un problema che necessariamente sta a monte. La comparazione tra qualità/incidenza/probabilità degli effetti - in breve: il giudizio se valga la pena vaccinarsi - non dovrebbe ricadere sul singolo perché non di sua competenza, ma dovrebbe spettare alle autorità sanitarie governative. Il singolo cittadino non ha gli strumenti per giudicare della bontà dei vari vaccini, né dovrebbe essere chiesto a lui di avere simili competenze. Allo stato attuale cosa succede? Che il privato, giustamente (è così che insegna il diritto naturale), si fida/affida alle autorità competenti e queste oggi dicono a tutti indistintamente di vaccinarsi. Ma, come abbiamo già avuto di appuntare, le incertezze sull’efficacia dei vaccini sono così diffuse che simili preparati, secondo gli standard usuali, non sarebbero dovuti nemmeno entrare in commercio, potendo affrontare l’epidemia con altre soluzioni sia di carattere sociale che sanitario.

Torniamo alla nota della Commissione Covid. Questo documento non articola tutti questi distinguo e pare che aleggi sulle teste di tutti i credenti un monito generale a vaccinarsi, ma così non deve essere, come abbiamo notato. Il fumus che pervade la nota sembra quello di un’accettazione, non acritica, ma perlomeno abbastanza sbrigativa del vaccino. In definitiva lo spirito che innerva il documento pare il seguente: vaccinatevi tutti e non andiamo tanto per il sottile.