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BIOETICA

Vaccini e aborti, obiezioni e risposte

La Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla moralità dell'uso di alcuni vaccini anti-Covid 19 ha generato diverse critiche ed è stata accusata di cedere sul fronte dell'aborto. In realtà si tratta di un documento di sintesi che rimanda a documenti precedenti e non legittima affatto l'aborto.

Vita e bioetica 23_12_2020

La «Nota sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-Covid-19» pubblicata due giorni fa dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) ha suscitato molto scalpore, quasi che la Chiesa non sia contraria all’aborto “senza se e senza ma”, sempre e comunque, ma lo accetti almeno nel caso in cui si possano salvare alcune vite. Le cose non stanno così e lo abbiamo spiegato diffusamente in alcuni precedenti articoli (clicca qui, qui, qui e, dal minuto 11,30, qui).

Ora però cerchiamo di ribattere ad alcune precise contestazioni mosse alla Nota. La prima: il documento della CDF avrebbe dolosamente omesso alcune condizioni scriminanti per l’uso dei vaccini presenti invece nel documento del 2005 della Pontificia Accademia per la Vita dal titolo «Riflessioni morali circa i vaccini preparati a partire da cellule provenienti da feti umani abortiti», e nei nn. 34 e 35 dell’Istruzione «Dignitas Personae» pubblicata dalla medesima CDF.

In via preliminare sottolineiamo il fatto che questa Nota è un documento di sintesi, ossia non vuole esaminare in dettaglio tutti gli aspetti del problema, bensì ricordare solo i criteri cardine della lecita collaborazione materiale. Consci che la Nota è solo una sinossi di una problematica complessa, giustamente gli estensori della stessa rimandano, per approfondimenti e spiegazioni più ampie, ai documenti del Magistero sopra indicati.

Veniamo alle cose che la CDF non avrebbe detto. La prima omissione sarebbe la seguente: la CDF non ha rammentato a tutti i soggetti coinvolti il dovere morale di trovare altre soluzioni eticamente accettabili al problema Covid, ossia, se non sussiste lo stato di necessità, le aziende farmaceutiche dovrebbero battere altre piste di ricerca che non fanno uso di linee cellulari provenienti da feti abortiti e il singolo cittadino, se disponibili, dovrebbe usare vaccini che non provengono da feti abortiti. Ma la CDF lo ha ricordato invece: «quando non sono disponibili vaccini contro il Covid-19 eticamente ineccepibili […] è moralmente accettabile utilizzare i vaccini anti-Covid-19 che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti nel loro processo di ricerca e produzione» (2). E in modo ancor più esplicito: «Si chiede, quindi, sia alle aziende farmaceutiche che alle agenzie sanitarie governative, di produrre, approvare, distribuire e offrire vaccini eticamente accettabili che non creino problemi di coscienza» (4).

La seconda omissione: la CDF non avrebbe ricordato che occorre sempre far sapere la propria contrarietà all’aborto anche nel caso in cui si usassero lecitamente questi vaccini. Ma anche in questo caso la CDF non ha tralasciato questa ammonizione: «É da sottolineare tuttavia che l’utilizzo moralmente lecito di questi tipi di vaccini, per le particolari condizioni che lo rendono tale, non può costituire in sé una legittimazione, anche indiretta, della pratica dell’aborto, e presuppone la contrarietà a questa pratica da parte di coloro che vi fanno ricorso» (3).

Appuntiamo che, pur consci che la tematica comprensibilmente tocca la sensibilità pro-life di molti, appare perlomeno curiosa questa levata di scudi contro la recente nota della CDF e non contro il documento della PAV del 2005, quando apertis verbis riteneva lecito, stante il rispetto del principio di efficacia e di necessità, l’uso dei vaccini contro la rosolia, vaccini anch’essi derivati da feti abortiti. Questa diversità di reazioni è forse spiegabile considerando il fatto che oggi la tematica “vaccino” interessa tutti da vicino.

L’altro fronte di critiche alla Nota è più radicale e in buona sostanza si potrebbe così sintetizzare: anche se tutti noi che ci vacciniamo collaborassimo, seppur remotamente, a provocare un solo aborto, che non ci sarebbe stato se non ci fossimo vaccinati, ciò imporrebbe il divieto di vaccinarsi.

Per provare che il divieto sia irragionevole, occorre verificare se, stante lo stato di necessità, vaccinandomi salvo più vite di quelle di cui provoco la morte vaccinandomi. Qui subentra la previsione di efficacia del vaccino. Se il vaccino fosse efficace, ossia salvasse molte vite, allora il gioco varrebbe la candela. L’astensione dalla vaccinazione di contro provocherebbe più morti di quelle che si vorrebbe evitare: e questo deve essere tenuto in conto da chi si oppone al vaccino per i motivi che qui stiamo esaminando. Se invece il vaccino provocasse più danni che benefici, non dovrebbe nemmeno entrare in commercio non solo per il tema aborto che stiamo qui trattando, ma anche in relazione alla tutela della salute e della vita di coloro che vorrebbero vaccinarsi.

Sottolineiamo un aspetto importante: la CDF, giustamente, non entra nel merito della questione se il vaccino sia o no efficace - «Non si intende giudicare la sicurezza ed efficacia di questi vaccini, pur eticamente rilevanti e necessarie, la cui valutazione è di competenza dei ricercatori biomedici e delle agenzie per i farmaci» - ma afferma che se il vaccino fosse efficace e quindi se  salvasse molte vite allora gli effetti positivi della vaccinazione sarebbero maggiori degli effetti negativi della collaborazione materiale al male. Alla CDF spetta un giudizio morale su dati scientifici, ma l’elaborazione dei dati scientifici non spetta a lei. Dunque il giudizio della CDF è condizionato dalla validità dei dati offerti dalla comunità scientifica. La CDF esprime allora un giudizio morale che si poggia su una ipotesi scientifica.

Il vero discrimen della questione, oltre allo stato di necessità su cui torneremo tra breve, è il criterio di proporzionalità/efficacia. Al fine di verificare se la vaccinazione è atto efficace in relazione al tema della collaborazione all’aborto dobbiamo verificare quali sono gli effetti negativi che produce la vaccinazione relativamente alla materia “aborto” e in quale grado la vaccinazione favorisce il prodursi di questi effetti. In breve: se io uso un vaccino sicuro produco più benefici o più danni tenendo in conto la questione della collaborazione all’aborto?

Ancor più in sintesi: se mi vaccino quanto favorisco l’aborto? Gli effetti negativi in merito alla collaborazione sono almeno due: favorire future ricerche su feti abortiti (NB: le aziende non procurano aborti, ma usano linee cellulari provenienti da aborti già avvenuti) quindi favorire una mentalità che reifica il nascituro. Secondo effetto: favorire una mentalità abortista nelle persone e dunque incrementare il numero di aborti. Qualcuno infatti potrebbe pensare: «Se possiamo usare dei vaccini provenienti da feti abortiti vuol dire che l’aborto non è poi così un gran male». Gli effetti, in quanto tali, sono gravi, ma – e qui sta il punto – in che misura io concorro a produrli quando mi vaccino?

Passiamo dunque alla incidenza della collaborazione nel produrre questi effetti negativi, ossia, quando qualcuno si vaccina, quanto incide questa sua scelta nel produrre i due effetti negativi prima indicati? In modo assai minimo (collaborazione remota). Le aziende comunque farebbero ricerca su feti abortiti anche se una manciata di cattolici si opponesse. Occorrerebbe una campagna mondiale e massiva contro queste ricerche per sperare di ottenere qualche risultato positivo. In merito al secondo effetto negativo, l’incentivo a diffondere una mentalità abortiva sarebbe di minimo grado anch’esso. Non si è generalmente favorevoli all’aborto e non si abortisce perché la gente si vaccina.

Teniamo poi conto che l’incentivo potrebbe esistere nella misura in cui le persone sanno che questi vaccini provengono da feti abortiti, cosa che quasi nessuno sa, eccetto una quota di cattolici pro-life che, si spera, mai abortirebbero. In conclusione questi due effetti collaborativi sono sì possibili, ma di assai tenue intensità (stiamo sempre parlando della “forza” collaborativa dell’atto di vaccinarsi, non della pratica abortiva che rimane grave). E dunque a fronte di una debolissima collaborazione ad un male grave, vince la qualità e soprattutto la quantità di effetti positivi prodotti dalla vaccinazione, posto che questa sia efficace, a cui si somma la doverosa denuncia dell’aborto da parte di chi si vaccina che fa da controspinta all’incentivo alla produzione degli effetti negativi di cui sopra.

Ultima nota sullo stato di necessità: se esistono altri vaccini efficaci e/o altre cure prive di queste criticità morali occorre usarli. In merito ai vaccini lo stato di necessità sussisterebbe anche nel caso che questi vaccini non eticamente problematici arrivassero sul mercato non subito, bensì a distanza di tempo. In questo lasso di tempo, esistendo solo il vaccino proveniente da feti abortiti, ricadremmo nello stato di necessità. Stesso discorso se i vaccini eticamente non problematici fossero disponibili in alcuni Paesi e in altri no (o presenti in alcune regioni del Paese e in altre no): in questi ultimi, di necessità, si potrebbero usare solo i vaccini provenienti da feti abortiti. Stesso discorso se i vaccini non eticamente problematici fossero vietati dal governo.
Così la CDF: lecito usare vaccini efficaci provenienti da feti abortiti «ad esempio in Paesi dove non vengono messi a disposizione dei medici e dei pazienti vaccini senza problemi etici, o in cui la loro distribuzione è più difficile a causa di particolari condizioni di conservazione e trasporto, o quando si distribuiscono vari tipi di vaccino nello stesso Paese ma, da parte delle autorità sanitarie, non si permette ai cittadini la scelta del vaccino da farsi inoculare» (2).