Usa e Russia, un incontro con le peggiori intenzioni
Oggi a Ginevra, con il Dialogo sulla stabilità strategica, fra Usa e Russia, si apre una settimana di negoziati. Mosca propone alla Nato di rinunciare ad ogni ulteriore espansione a Est e ritirare truppe dai Paesi Baltici. Putin si presenta da una posizione di forza dopo l'intervento rapido in Kazakistan. Biden è pronto a mollare anche l'Europa?
Oggi a Ginevra, con il Dialogo sulla stabilità strategica, fra Usa e Russia, si apre una settimana di negoziati, che proseguirà con il Consiglio Nato-Russia a Bruxelles e con il vertice Osce a Vienna. L’incontro ginevrino di oggi parte con le peggiori premesse. La Russia ha già annunciato di essere poco incline ai compromessi. Gli Stati Uniti, almeno ufficialmente, dichiarano di non voler fare alcun passo indietro sullo schieramento delle forze Nato in Europa orientale. Parrebbe un dialogo fra sordi.
Le proposte di Mosca, avanzate il 17 dicembre e oggetto del colloquio telefonico fra Biden e Putin del 30 dicembre, sono estremamente dure e ultimative: impegno formale e legalmente vincolante della Nato a non accettare nuovi membri ad Est della sua attuale frontiera (dunque niente Ucraina e Georgia); fine della rotazione dei contingenti Nato nei “Paesi ex sovietici” suoi membri, dunque nei Paesi Baltici; fine delle esercitazioni congiunte con Paesi ex sovietici; cessazione di tutti gli aiuti all’Ucraina; impegno a non schierare nuove basi missilistiche a tiro di Mosca. La presenza di oltre 100mila uomini dell’esercito russo ai confini orientali ucraini, con armi ed equipaggiamento completi, fanno pensare che, in caso di mancata accettazione di queste condizioni, Putin non garantisca più di “tenere i suoi”. Una guerra aperta fra Russia e Ucraina potrebbe anche scoppiare.
I vertici della Nato, comprensibilmente, considerano queste condizioni come “inaccettabili”. La Russia, oltre che negare a Paesi indipendenti a tutti gli effetti il diritto di chiedere l’adesione all’Alleanza Atlantica, si spingerebbe in questo modo a dettare regole anche ai Paesi che ne fanno già parte da un quindicennio (i Paesi Baltici). Dopo la fine del Trattato Inf, si ripresenta, inoltre, lo spettro di un confronto missilistico in Europa. Il riferimento ai futuri missili della Nato è chiaro in merito: già il Cremlino ha schierato missili Iskander a Kaliningrad, in grado di colpire la Polonia, ma potrebbe ricorrere alla minaccia di dispiegamento di missili anche di raggio intermedio (strategici, di teatro) capaci di colpire il resto dell’Europa, se dovesse ritenere che le garanzie occidentali non siano sufficienti.
La Russia si presenta a Ginevra, oggi, con un facile successo militare in tasca: il rapidissimo intervento di 3mila paracadutisti in Kazakistan. L’azione militare, chiesta poche ore prima dal presidente Tokaiev, per ripristinare l’ordine nel Paese in rivolta, ricorda da vicino gli interventi dell’Urss di Chrushev e Brezhnev nei Paesi dell’allora Patto di Varsavia, quando i regimi comunisti locali erano minacciati da ribellioni interne, come a Budapest nel 1956 o a Praga nel 1968, o anche in Afghanistan nel 1979. Di fatto è l’affermazione di una “sfera di influenza” con metodi militari. Da un lato la mossa di Tokaiev e Putin può incoraggiare un’ulteriore resistenza dei Paesi sul fianco orientale della Nato e anche nell’Ucraina stessa. Ma Putin ha ottenuto, sostanzialmente quel che desiderava: ha puntellato, almeno per ora, un regime “satellite” del Kazakistan e soprattutto ha ottenuto anche il plauso di Pechino. Il discorso di Xi Jinping sulla crisi kazaka, infatti, sposa in pieno la narrazione di Mosca, secondo cui la ribellione è solo frutto di una cospirazione occidentale e l’intransigenza militare è la risposta appropriata. Fjodor Lukjanov, consigliere del Cremlino, dichiarava ieri all’agenzia Bloomberg: «La Russia ha mostrato la sua capacità di prendere decisioni rapide e non convenzionali nella sua sfera di influenza militare, per influenzare gli eventi in luoghi del mondo che ritiene importanti». In questo caso, fra l’altro, si è trattato di un intervento militare aperto e visibile, mentre l’anno scorso, in Bielorussia, pur se invisibile, la mano militare russa ha aiutato il traballante regime di Lukashenko a restare in sella e a schiacciare la rivolta post-elettorale.
Di fronte a una Russia ancor più assertiva, quanta sarà la determinazione occidentale a resistere alle sue richieste? Intanto l'amministrazione Biden si presenta, non da una posizione di forza, ma di debolezza, dopo il precipitoso ritiro dall'Afghanistan. Poi, secondo un servizio della Nbc, l’amministrazione Biden si starebbe preparando a fare rinunce. In particolare, nei colloqui «Potrebbero essere affrontati argomenti quali lo scopo delle esercitazioni military tenute da entrambe le potenze, il numero delle forze statunitensi dislocate nei Paesi Baltici e in Polonia, il preannuncio del movimento di truppe e lo schieramento dei missili russi Iskander, con capacità nucleare, nel territorio di Kaliningrad, fra Polonia e Lituania» (corsivo nostro). Il reportage dell’emittente americana ha comprensibilmente provocato un piccolo terremoto diplomatico e ha obbligato la Casa Bianca a smentire: «Le notizie sul fatto che l’amministrazione stia valutando opzioni per il ritiro di forze statunitensi dall’Europa orientale, in vista dei colloqui con la Russia, non sono precise», ha dichiarato un portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale.
È possibile che la Nbc abbia visto giusto (come dice un vecchio adagio del giornalismo: una notizia smentita è data due volte) e che l’amministrazione Biden, per evitare un’escalation in Europa, sia disposta anche a ritirare o quantomeno ridimensionare la presenza statunitense nel Baltico. Putin ha già ottenuto il primo dei suoi obiettivi, che è quello di trattare direttamente con gli Usa sul destino dei suoi vicini (Ucraina e Baltici), saltando a piè pari l’Ue, che è ancora impegnata a Minsk per la pace nel Donbass e soprattutto il governo di Kiev stesso. Putin punta ad una spartizione, di fatto, delle nuove sfere di influenza. Ma dal punto di vista occidentale, sarà come una nuova Jalta (1945)? O una nuova Monaco (1938)? La fine di un conflitto, o il preludio di uno nuovo?