Rivolta in Kazakistan, un avvertimento per l'Europa
Durissimi scontri tra dimostranti e forze di sicurezza con decine di morti, a causa dell'aumento dei prezzi del gas liquido, in un Kazakistan che è tra i principali produttori di petrolio e gas. Un monito per l'Europa che sta attraversando una grave crisi energetica, con una drammatica carenza di gas naturale e prezzi in rapido aumento.
Le violente proteste di piazza, con decine di morti fra i manifestanti e le forze di sicurezza, che da alcuni giorni stanno sconvolgendo le principali città del Kazakistan stanno suscitando preoccupazione a livello internazionale e sono un avvertimento per l’Europa.
La protesta è iniziata il 2 gennaio nella città occidentale di Zhanaozen, in un’area ricca di impianti di estrazione petrolifera, e si è rapidamente estesa alle principali città kazake; gli incidenti più gravi si sono verificati nella più grande città del paese, la ex capitale Almaty, con assalti diretti agli edifici governativi e con le forze di sicurezza che hanno sparato sui dimostranti provocando un numero imprecisato di morti e almeno un migliaio di feriti. A quanto riportano le agenzie internazionali soprattutto ad Almaty molte zone sono nell’anarchia più completa.
Chiamate dal presidente Qasym-Yomart Tokayev, mercoledì sono arrivate le truppe della Collective Security Treaty Organization (CSTO), la forza intergovernativa creata dopo lo sfaldamento dell’Unione Sovietica a cui partecipano Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tajikistan. Ad Almaty sono arrivati soldati russi per quella che il presidente Tokayev ha definito una «operazione limitata nel tempo per riportare il paese alla normalità».
Il motivo che ha innescato la rivolta è l’aumento del prezzo del gas liquido (GPL), più che raddoppiato dopo che il governo ha liberalizzato il prezzo. Inizialmente il governo ha cercato di riabbassare il prezzo del GPL, portato a 50 tenge al litro (circa 10 centesimi di euro) dopo che era arrivato a 120 tenge (il salario medio mensile è di 42.500 tenge, circa 99 euro). Da considerare che in Kazakistan la maggior parte delle auto sono a GPL proprio per il basso costo del carburante. La misura comunque non ha sortito effetto e le dimostrazioni sono continuate con ancora più veemenza. Il presidente Takayev ha anche costretto due giorni fa il governo alle dimissioni, ma la situazione non si placa.
Del resto la rivolta per il costo del carburante, unita anche al forte aumento del prezzo dell’elettricità, fa emergere una tensione già esistente in un paese che dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica (1991) è stato governato dall’uomo forte Nursultan Nazarbayev, che solo due anni fa ha passato la presidenza a Takayev, suo uomo di fiducia. Proprio Nazarbayev, che a 81 anni ha ancora grande influenza sulla guida del paese, è diventato uno degli obiettivi dei dimostranti che chiedono la fine del suo potere (ci sono voci che stia brigando per mettere sua figlia Dariga alla presidenza).
La stragrande maggioranza della popolazione del Kazakistan – 18 milioni di abitanti distribuiti su una superficie che è 4 volte la Francia – è in condizione di povertà malgrado il paese sia tra i più importanti produttori di petrolio e gas naturale, un business che evidentemente avvantaggia soltanto una ristretta oligarchia. Appare infatti paradossale che una crisi per il carburante scoppi proprio in un paese che ne produce in quantità di molto superiore al fabbisogno nazionale. A provocare l’improvviso rialzo del prezzo del GPL è stata invece la politica del governo che ha per lungo tempo imposto un prezzo minimo, al di sotto dei costi di produzione, per favorire le esportazioni. Il che ha però provocato una penuria sul mercato interno, a cui il governo ha cercato di porre rimedio liberalizzando il prezzo.
La gravità della crisi kazaka ha immediate ripercussioni internazionali, soprattutto preoccupa i “giganti” vicini, Russia e Cina. La Russia ha subito accusato forze terroristiche esterne quali responsabili della rivolta kazaka, versione sostenuta anche dal presidente Takayev. Dall’altra parte anche gli Stati Uniti hanno dichiarato di seguire da vicino la situazione, mettendo in guardia Kazakistan e Russia dall’evitare violazioni dei diritti umani.
Ma anche l’Europa guarda con preoccupazione quanto avviene in Kazakistan perché sta attraversando anch’essa una grave crisi energetica dalle conseguenze imprevedibili. Già nel 2020 l’Europa ha prodotto 219 miliardi di metri cubi di gas che rappresentano meno della metà del suo fabbisogno, con un’impennata dei prezzi con cui i consumatori europei devono ancora fare i conti: a dicembre 2021 i prezzi all’ingrosso dell’elettricità erano di 10 volte superiore all’anno precedente. I governi europei si affannano quindi a cercare il modo di tenere controllati i prezzi destinati ai consumatori, ma l’aumento dei costi per le famiglie e per le industrie è comunque notevole in tutti i paesi europei (va dal 40 al 100%).
Questo inverno la situazione si presenta ancora più drammatica per quel che riguarda l’approvvigionamento del gas: il freddo prolungato che aumenta la domanda, la scarsità delle riserve (nel 2021 erano già il 25% in meno rispetto all’anno precedente) e la fornitura limitata dalla Russia, sono i fattori fondamentali di questa crisi. Ma alla base c’è anche la follia della transizione energetica perseguita dall’Unione Europea che impone un drastico passaggio alle energie rinnovabili e alla rinuncia dei combustibili fossili in nome della lotta ai cambiamenti climatici. Ma pensare che solare ed eolico possano sostituire fonti stabili di energia è pura illusione, e il venir meno della disponibilità del gas naturale è una delle conseguenze che vediamo ora. Tanto è vero che proprio nei giorni scorsi la Commissione Europea ha fatto un clamoroso dietrofront annunciando che il gas naturale rientrerà, insieme al nucleare, tra le energie verdi che sarà possibile finanziare con i fondi della UE. È un tentativo estremo di evitare il disastro, ma probabilmente è troppo poco, troppo tardi per pensare di evitare una crisi energetica che gli analisti si aspettano duri molti anni.