Un 15 agosto di preghiera e di negoziati per la pace nel Medio Oriente
Ascolta la versione audio dell'articolo
«Invito tutti a un momento di intercessione per la pace presso la Beata Vergine Maria», Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini invita alla preghiera il 15 agosto, lo stesso giorno in cui si terrà il prossimo negoziato con Usa, Israele, Qatar ed Egitto per un cessate il fuoco a Gaza.
«Di fronte alle tante parole di odio che vengono troppo spesso pronunciate, vorremmo offrire la nostra preghiera, che consiste in parole di riconciliazione e di pace». «Invito tutti a un momento di intercessione per la pace presso la Beata Vergine Maria. (...) Nelle parrocchie, nelle comunità religiose contemplative e apostoliche, e anche i pochi pellegrini che sono tra noi si uniscano nel comune desiderio di pace che affidiamo alla Beata Vergine». È quanto si legge in un messaggio indirizzato dal cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, a tutti i fedeli in occasione della festa dell'Assunzione.
Una preghiera nella festività del 15 agosto; nello stesso giorno in cui è previsto un incontro tra le delegazioni degli Stati Uniti, Egitto e Qatar con i rappresentanti di Israele. Un nuovo sforzo, fortemente voluto dalla diplomazia, per trovare un'intesa per il cessate il fuoco e per la liberazione degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. Israele ha confermato, dopo una lunga riunione tenutasi nei rifugi sotterranei del ministero della Difesa a Tel Aviv, che invierà una delegazione. Il governo israeliano è consapevole che l’adesione all’incontro spingerà l’Iran a ripensare la rappresaglia per l’omicidio di Haniyeh sul suo territorio, magari rendendola meno virulenta. L’ipotesi dell’accordo è quella presentata dal presidente americano Joe Biden e approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
«Sono ormai trascorsi molti mesi dall'inizio di questa terribile guerra. La sofferenza causata da questo conflitto e lo sgomento per ciò che sta accadendo non solo non si placano, ma sembrano essere alimentati ancora e ancora da odio, risentimento e disprezzo, che non fanno che intensificare la violenza e allontanare la possibilità di trovare soluzioni», ha scritto nel messaggio Pizzaballa.
Giorni difficili per Israele e la Palestina, ma anche per tutto il Medio Oriente. Dopo dieci mesi di guerra le popolazioni sono allo stremo. Un blocco alle ostilità probabilmente riuscirebbe a riportare a casa quanti più ostaggi possibili ancora in vita e ridarebbe una boccata di ossigeno ad una popolazione che vaga da un posto all'altro nella Striscia alla ricerca di un rifugio.
Hamas invece, dopo un iniziale assenso, ha annunciato ieri sera che non parteciperà all'incontro, invitando piuttosto ad applicare la proposta Biden senta ulteriori negoziati. Ad ogni modo Yahya Sinwar, nuovo leader politico di Hamas dopo l'uccisione di Ismail Haniyeh, a Teheran il 31 luglio scorso, rilancia le richieste e chiede la liberazione di Marwan Barghouti, l’ex esponente di Fatah, in carcere dal 2002. La richiesta di scarcerazione era già stata fatta lo scorso mese di marzo, poco prima dell'attacco dell'esercito israeliano a Rafah, la città di Gaza al confine con l’Egitto. Barghouti sta scontando, nelle prigioni israeliane, qualcosa come cinque ergastoli, per il suo ruolo di primo piano in alcuni attentati terroristici durante la Seconda intifada. È un esponente politico palestinese amato dalla gente e probabilmente l'unico che possa unire, nelle future consultazioni elettorali, le varie anime del popolo palestinese. Barghouti è accettato anche dagli abitanti di Gaza, e questo potrebbe essere il segnale che Sinwar stia pensando anche al dopoguerra. La richiesta della liberazione di Barghouti pare sostenuta anche dagli Stati Uniti, Egitto e Qatar.
Sempre lo scorso mese di marzo, Hamas aveva chiesto anche la liberazione di Ahmad Saadat, capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, condannato a trent’anni, per l'uccisione nel 2001, del ministro israeliano del Turismo, Rehevam Zeevi. Ma in Israele non tutti vogliono il cessate il fuoco. È il caso del ministro delle finanze Bezalel Smotrich, di estrema destra, secondo il quale un accordo di cessate il fuoco equivarrebbe a una resa ad Hamas, e sempre secondo Smotrich, gli ostaggi non dovrebbero essere scambiati con i prigionieri. Immediata la reazione dell'Amministrazione Biden che attraverso il portavoce della Sicurezza nazionale, John Kirby, ha accusato il ministro israeliano di false affermazioni. «Smotrich dovrebbe vergognarsi per aver messo in dubbio le intenzioni del presidente degli Stati Uniti, affermando che Biden possa sostenere un accordo che mette a rischio la sicurezza di Israele. È semplicemente sbagliato, scandaloso e assurdo».
In soccorso di Smotrich arriva il ministro della Sicurezza nazionale, anche lui di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, che in un post su X scrive che Israele dovrebbe occupare in modo definitivo Gaza, e che gli aiuti umanitari e il rifornimento del carburante dovrebbero essere interrotti fino a quando tutti i prigionieri trattenuti da Hamas non saranno rilasciati.
Un accordo, quello proposto per il 15 agosto, che potrebbe spegnere, in parte, la miccia nel nord di Israele dove Nasrallah (Hezbollah) vuole vendicarsi dell’omicidio di Shukr, con un attacco che rischierebbe di far sprofondare il Paese dei cedri in uno scontro frontale con Israele. Ma l’esercito israeliano, purtroppo, continua nelle sue provocazioni.
La tensione è tornata a crescere a causa di un nuovo attacco di Israele nel sud del Libano, durante il quale è stato ucciso Samer al-Hajj. Al-Hajj era il comandante delle forze militari di Hamas nel campo profughi palestinese di Ein el-Hilweh, nelle vicinanze di Sidone, e responsabile del reclutamento e dell’addestramento di terroristi per attaccare lo Stato di Israele.
Ma non solo il Libano. I militari con la stella di Davide tornano a colpire a Gaza City: secondo le autorità palestinesi le vittime dell’attacco sarebbero novanta, tra cui undici bambini e sei donne. L’esercito israeliano afferma di aver colpito la scuola di Al-Tabeen, nella zona di Al-Sahaba con quattro bombe di precisione e di non aver ucciso civili, bensì diciannove terroristi di Hamas e della Jihad Islamica, compresi gli alti comandi che operavano all’interno di un centro di controllo, situato nella scuola e nell'adiacente moschea. Diversa la versione delle autorità locali legate al movimento palestinese, che negano la presenza dei miliziani. «Confermiamo che tra le persone uccise nel massacro non c'era un solo uomo armato, ma solo civili presi di mira mentre recitavano la preghiera dell'alba». si legge in una nota ufficiale diffusa dal portavoce di Hamas.
«Ancora una volta, l’esercito di occupazione israeliano ha commesso un enorme massacro che si aggiunge a una serie di crimini in corso a Gaza», ha affermato l’ayatollah Ali al-Sistani, il più influente religioso sciita iracheno. E il ministro degli Esteri iraniano ad interim, Ali Bagheri, in una conversazione telefonica con il ministro degli Esteri belga, Hadja Lahbib, ha riferito che l’Iran è determinato a far pagare al regime israeliano il prezzo dell’assassinio di Ismail Haniyeh a Teheran.
Anche Egitto e Qatar, si sono scagliati contro il primo ministro Netanyahu che con l’attacco alla scuola dimostra la mancanza di “volontà politica di siglare la pace”. Infine, da registrare il ritorno in piazza delle associazioni dei familiari degli ostaggi, secondo le quali il premier Netanyahu «gioca d’azzardo» con la vita dei prigionieri israeliani e lo fa «per garantire la sopravvivenza sua e del suo governo».