UE, USA e lobby: tutti contro l’Ungheria che cerca la pace
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Il belga Verhofstadt chiede di sospendere il diritto di voto di Budapest nei Consigli europei, dopo la decisione ‘attendista’ del Parlamento ungherese sull’ingresso della Svezia nella Nato. È l’ultimo di una serie di attacchi contro l’Ungheria conservatrice e cristiana, avversata dall’UE, dagli USA di Biden e dalle lobby Lgbt.
Le istituzioni europee e americane, non contente delle battaglie che si combattono nel nostro continente, da qualche settimana hanno ripreso i “bombardamenti” ideologici sull’Ungheria cristiana, che non si rassegna alla guerra permanente, non accetta di abdicare ai propri valori identitari, non asseconda l’omologazione ideologica.
L’ultimo oggetto del contendere è la decisione del Parlamento ungherese di assecondare l’entrata della Finlandia nella Nato, ma allo stesso tempo di voler approfondire la posizione della Svezia. Questo perché, sebbene l’Ungheria ritenga assolutamente ragionevole la richiesta svedese (lo ha detto recentemente la presidente Katalin Novak, con il sostegno dei partiti di Governo), i parlamentari vogliono confrontarsi con i colleghi svedesi per chiedere conto delle ragioni che nell’ultimo decennio hanno portato proprio la Svezia a promuovere e diffondere falsità e malignità contro la politica dei conservatori ungheresi. È infatti da 10 anni che la Svezia (tra Consiglio di Europa, Commissione di Venezia e Parlamento Europeo), sino a qualche mese fa governata dai socialisti, ha chiesto di mettere sotto tutela il Governo Orbán, dapprima per le riforme costituzionali che modificavano la vecchia Costituzione comunista, poi per ogni riforma strutturale ed educativa che Budapest ha approvato. Non manca l’osservazione che l’attuale ministro svedese degli Esteri, Tobias Billström (moderato ma più volte ministro nei governi di coalizione di sinistra), abbia un forte legame con George Soros e le sue organizzazioni. Sospetti e timori possono essere più che giustificati.
Ebbene, nonostante la collaborazione del Governo e del Parlamento della Svezia in vista della visita di una delegazione di parlamentari ungheresi in programma il 7 marzo, il politico belga Guy Verhofstadt, un paladino di Soros, ieri ha avanzato l’assurda richiesta di sospendere il diritto di voto di Orbán in vista dei prossimi Consigli europei, proprio a causa del dibattito parlamentare in corso in Ungheria. Ovviamente, il diritto di voto nelle istituzioni europee non c’entra nulla con il voto degli aderenti alla Nato sull’ingresso di un nuovo membro. Né c’è da stupirsi dell’avversione di una autoproclamatasi leadership liberale e democratica nei confronti delle decisioni “non conformi” ai diktat di Bruxelles prese autonomamente dai parlamenti nazionali.
Nei giorni scorsi, l’attacco al Governo Orbán si è svelato in tutta la sua potenza transatlantica. C’è il denaro americano, che aveva rimpinguato le casse della campagna elettorale delle opposizioni e continua ad arrivare alle stesse formazioni politiche minoritarie; ci sono le sconcertanti dichiarazioni del neo ambasciatore degli USA in Ungheria, David Pressman, circa il regime autoritario di Orbán; ci sono le accuse di antisemitismo rivolte a Budapest e proclamate dall’ambasciatrice statunitense all’Onu, Linda Thomas-Greenfield; c’è ancora la visita nella capitale ungherese del capo dell’Usaid, Samantha Powell, per sostenere le Ong pro aborto ed Lgbt, nonché i mass media anti-Orbán. Tutti elementi che mostrano appunto la guerra mossa da Biden & compagni contro Orbán, come l’ha descritta il Washington Examiner.
Istituzioni e lobby europee non vedevano l’ora di colpire Orbán. Così, negli stessi giorni, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha deciso di assecondare la denuncia fatta dalla Commissione contro la legge anti-pedofilia ungherese, denuncia sostenuta anche dall’esecutivo del Belgio e dalle lobby Lgbt. Purtroppo per i promotori europei dell’indottrinamento arcobaleno, dopo lo scandalo di San Valentino e l’indagine nei confronti di un professore ungherese (Zsolt Bite) dettosi orgoglioso di avere una relazione omosessuale con un quindicenne, il ministro Gergely Gulyás ha informato sulle indagini in corso, anche da parte dell’Autorità per la protezione dei minori, e sull’urgente necessità di riformare la legge anti-pedofilia per tutelare meglio bambini e ragazzi. Un appello per rafforzare la protezione dei minori, i diritti dei genitori e aggravare le sanzioni contro i criminali, è stato fatto anche dal primo ministro Orbán pochi giorni or sono, rivolgendosi a tutti i gruppi parlamentari.
Invece, la vicepresidente della Commissione Europea, Vera Jourová, ha dapprima ribadito che i fondi europei non andranno a Budapest né negli altri luoghi dove non è assicurato il «rispetto per lo stato di diritto, [e] dove la vita è molto difficile per le persone Lgbt o altre minoranze». E, poi, si è lamentata del fatto che ci siano politici europei che trattano l'Ungheria con «inutile correttezza», mentre il Paese guidato da Orbán dovrebbe essere, secondo la stessa Jourová, richiamato più spesso, in particolare per quanto riguarda le sue posizioni sulla Russia e sulla guerra, confermando che l'esecutivo dell’UE continuerà il procedimento avviato contro l'Ungheria per le asserite violazioni dello Stato di diritto.
Con il "bombardamento" di Washington e Bruxelles contro l’Ungheria, cosa si vorrebbe ottenere da Orbán? Le dimissioni, la rinuncia a difendere gli interessi e i valori cristiani e nazionali? Si vuole che Orbán rinunci all'ambizione di cercare la pace con la Russia, pur sostenendo l’Ucraina? Ebbene, l’annuncio del viaggio del Papa a Budapest è un evidente sostegno a Orbán, che i politici conservatori e popolari dovrebbero condividere.