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Torna Trump e l'Europa paralizzata non ha niente da mettersi

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Con la maggioranza Ursula che si sfalda, l'Ue è incapace di comprendere il nuovo corso tra bizantine discussioni sugli equilibri politici e incapacità di uscire dal vicolo cieco dell'ideologia climatista. All'orizzonte ci saranno una paralisi politica oppure il collasso di una coalizione superata dalla storia.

Attualità 18_11_2024

È tornato Trump e l'Unione europea ha scoperto di non avere niente da mettersi. Si potrebbe sintetizzare con questa formula la condizione in cui si trovano oggi le classi dirigenti del Vecchio continente, e in particolare quelle che fanno capo politicamente alla coalizione della vecchia "maggioranza Ursula" davanti alla brusca accelerazione impressa agli eventi e agli equilibri mondiali dall'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. 

La vittoria di Trump era un evento non sicuro, ma da considerare ampiamente tra gli esiti possibili della drammatica campagna elettorale statunitense del 2024. Eppure, se si osserva tutto ciò che è accaduto nella dialettica politica continentale dalle elezioni europee di giugno a oggi, l'impressione è che l'Ue abbia continuato a vivere in una sua "bolla" autoreferenziale, e che all'interno di essa non sia mai stato veramente messo a fuoco il problema della sua ricollocazione – dal punto di vista della politica estera come da quello economico – all'interno di uno scenario internazionale fatalmente in rapida evoluzione. 

Negli ultimi quattro anni – e in particolare a partire dallo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina – la politica dell'Unione si è sostanzialmente identificata con quella dell'amministrazione statunitense di Joe Biden, in una sovrapposizione quasi totale con il G7 e la Nato: muro contro muro nei confronti della Russia di Putin, raffreddamento dei rapporti con la Cina, sostegno a Israele in Medio Oriente dopo l'attacco del 7 ottobre 2023 ma marcando le distanze dal governo Nethanyau e tentando di non pregiudicare i rapporti con il mondo arabo-islamico, Iran incluso, linea "morbida" sull'immigrazione.

L'unico punto sul quale l'Ue guidata da Ursula Von der Leyen ha evidenziato una sua linea specificamente connotata è stato quello dell'ambientalismo ideologizzato sul tema del "cambiamento climatico", con i suoi catastrofici riflessi economici. In quel campo infatti, come sappiamo, la commissione Von der Leyen si è fatta portatrice di un'interpretazione radicale della riconversione energetica, con l'obiettivo dell'eliminazione totale dei combustibili fossili, la messa fuori legge dei motori termici, l'imposizione di draconiane misure di adeguamento ecologico per i proprietari di case. 

Alla luce dei risultati delle elezioni europee - che con l'avanzata delle destre sovraniste e conservatrici hanno segnalato il forte malcontento degli elettori del continente per questa linea - la Von der Leyen ha cercato, come è noto, di mettere in atto una strategia "trasformistica" funambolica: tenere insieme la sua vecchia coalizione ma allargarla prudentemente, con il contagocce, verso destra con la concessione di un incarico di commissario e di una vicepresidenza all'Ecr di Giorgia Meloni, nella persona di Raffaele Fitto. Un equilibrio già di per sé delicatissimo (Leggi QUI l'approfondimento odierno di Luca Volontè), messo a rischio da faide interne tra i vari paesi e interne ai singoli paesi (la crisi politica profonda in corso in Germania e in Francia, i tentativi di sgambetto del Pd italiano ai danni della Meloni), ma che ora rischia di subire un impatto traumatico con il nuovo assetto delineatosi, negli Stati Uniti e nel mondo, con il ritorno di Trump al comando. 

Nello scorso luglio, su queste stesse pagine, quando ancora non si erano definiti tutti i tasselli della campagna elettorale statunitense, delineavamo già il quadro di un'America che si muoveva rapidamente verso il futuro, contrapposta a un'Europa che sembrava rifugiarsi nel passato. Oggi quello scenario appare purtroppo decisamente confermato e consolidato. Il nuovo presidente americano ha già reso nota la sua "squadra", i cui nomi rafforzano l'idea, già ampiamente veicolata dalla storia di Trump e dalla sua campagna elettorale, di una strategia politica energica e personalistica caratterizzata dal protagonismo degli interessi statunitensi; dall'innovazione tecnologica più ardita (il ruolo centrale assegnato a Elon Musk parla chiaro in tal senso); dalla deregolamentazione e liberalizzazione economica interna unita a un uso senza remore delle barriere protezionistiche; dal sostanziale boicottaggio di ogni "green deal" vincolante; dalla lotta senza quartiere all'immigrazione clandestina; da una diplomazia tendenzialmente bilateralistica, pragmatica e "muscolare" al tempo stesso. In particolare, in questo ultimo campo, sono prevedibili una trattativa diretta (e per nulla scontata) Usa-Russia sulla conclusione del conflitto ucraino, un più deciso supporto a Israele, e parallelamente il tentativo di riprendere la strada degli "Accordi di Abramo" con l'inclusione dell'Arabia Saudita, un confronto molto duro, ma con qualche offerta di compromesso, con l'Iran e la Cina.

Come si collocherà l'Unione europea in questo nuovo contesto? Che posizioni prenderà su tutti questi punti, a partire dalla evidente percezione che tanto Trump quanto le altre parti in causa su tutti i dossier citati tenderanno sistematicamente a scavalcarla? Come ridisegnerà le sue politiche fondanti, cercando di non diventare il proverbiale, manzoniano "vaso di coccio" tra i vasi di ferro, e di ricavarsi un ruolo strategico? 

Sono tutte domande che al momento rimangono senza risposta. E le bizantine, contorte discussioni ancora in corso sulla configurazione della Commissione, e sugli equilibri politici al suo interno, non danno l'impressione che in tempi brevi l'Ue possa assumere una postura reattiva, o addirittura "proattiva", rispetto ai cambiamenti in corso sullo scacchiere globale: per esempio uscendo dal vicolo cieco dell'ideologia climatista, recuperando una sua naturale funzione di mediazione in merito ai rapporti con la Russia e alle questioni mediorientali, e trovando finalmente una linea unitaria sulla difesa dei confini dal traffico di immigrati illegali.

Anzi, lo scenario più probabile al momento appare quello di una paralisi politica. Da un lato, è ormai improponibile – ammesso che qualcuno ancora possa coltivarla – una ulteriore, pervicace riproposizione della "maggioranza Ursula", e si conferma indispensabile un'apertura della governance continentale alle forze dei raggruppamenti politici di destra, e ancor più alle loro idee e al loro approccio ai problemi internazionali, decisamente più in sintonia con la nuova trazione trumpiana dell'Occidente.

Dall'altro, però, le resistenze a questo nuovo corso potrebbero essere così forti da provocare una spaccatura al momento irrimediabile: il collasso di una coalizione e di una linea superate dalla storia, senza che però abbiano la forza di emergere pienamente alleanze e soluzioni nuove. Confinando sempre più il Vecchio continente in una posizione irrilevante nel mondo. Con effetti di declino economico e politico che sarebbero certamente rovinosi. 



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